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Lucciole, libertà e benessere

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Messaggio Da cireno Gio 10 Ott 2013, 19:33

La discussione sul “si stava meglio prima di oggi” e sulla libertà che sembrerebbe, da certi scritti, essere oggi maggiore che non una volta, non ha portato ad alcun accordo tra noi. Sono venute fuori perfino le lucciole, non a caso, a dimostrazione che il cielo di cento anni fa era davvero il cielo al contrario di oggi che è solo un bagliore giallo irradiato da  lampade stradali.

A me quei temi, libertà, benessere, ecologia, stanno molto a cuore e allora, su giusto suggerimento di Lara, apro questo thread.

La libertà (e il benessere).
E’ vero, bisogna riconoscere che chi sostiene che vita oggi è meno difficile che non quella del passato, ha le sue ragioni. Però io ho domanda da porre ai miei amici “cosa comporta questo molto relativo benessere conquistato”?.

Penso che tutti ci si renda conto che la relativa prosperità esistente nella società consumistica viene pagata ad un prezzo troppo alto, che consiste non soltanto in forme di lavoro disumano che mortificano il corpo e la mente, forme di lavoro richieste dall’attuale industria automatizzata, nella quale un operaio per otto ore di seguito non fa altro che avvitare lo stesso bullone, premere lo stesso pulsante, fissare lo stesso pezzo ad un altro. Queste forme di lavoro che mortificano il corpo e la mente sono davvero un prezzo troppo alto, se si considera che, al contrario del tempo passato, questa lotta per l’esistenza non sarebbe più necessaria, che grazie alla ricchezza  esistente e alla possibilità di sfruttare e distribuire razionalmente le risorse disponibili la maggior parte di questo lavoro potrebbe essere soppresso. E ciò  comporterebbe, fra l’altro, l’eliminazione dell’insensato spreco tipico della società consumistica,  a vantaggio   dell’obiettivo più urgente, la soppressione della povertà e della miseria, purtroppo sempre più presente, ma è proprio questo spreco che nella società capitalistica avanzata continua a sussistere e ad essere senza tregua riprodotto.
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Messaggio Da Vargas Gio 10 Ott 2013, 21:15


Io credo, Cireno, che debbano essere considerati due diversi aspetti, in quanto scrivi.
Il primo è dato dalla qualità globale della vita, dalla bellezza del mondo, dal rispetto dell'ambiente, e non posso che darti ragione. Pur un tantino più giovane, ho anch'io nostalgia delle lucciole e delle stelle in un cielo pulito, anch'io le accolgo con commozione quando le ritrovo, sulle Ande (le stelle), in Africa o nel giardino di mia madre, sulle rive del Mediterraneo (entrambe). Dobbiamo recuperare la bellezza, il gusto della lentezza, del silenzio, ribellarci a questo horror vacui che ci spinge a riempire ogni spazio vuoto con l'estetica del kitsch e che ci impedisce perfino di godere di un viaggio di poche ore in treno senza avvertire l'insana urgenza di affidarci al chiasso di un cellulare.
Il secondo si riferisce ai diritti e al benessere individuali e collettivi, e su questo, mi spiace, proprio non riesco a seguirti. Dei due sei tu il marxista, Lucciole, libertà e benessere 780668378 sei tu più a sinistra: come puoi parlare di catene di montaggio, di otto ore ai bulloni, di alienazione del lavoro, dimenticando che cos'era quest'ultimo nel XIX secolo, prima delle lotte operaie, con turni di sedici ore, non otto, senza sciopero né altri diritti, con lavoro minorile senza limiti d'età? Sono d'accordo, c'è molto ancora da fare, ci sono intollerabili ingiustizie, anch'io tocco con mano ogni giorno la disperazione dei disoccupati, l'avvilimento di precari e sottopagati, ma ricordiamo che cos'era una fabbrica del 1840. Ancor più, so che distanza ancora ci separi dai paesi in via di sviluppo, ma cento e più anni fa in quelle regioni c'era il colonialismo europeo, c'era la schiavitù non solo economica, ma giuridica. No, io preferisco l'oggi, con i suoi mali e le sue imperfezioni. Preferisco darmi da fare per cercare di superare quelle che mi trovo ad affrontare nel presente.
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Messaggio Da cireno Ven 11 Ott 2013, 07:29


Certo, la nostalgia per quel mondo, quello delle lucciole, dell’aria che sapeva di aria e non di benzina bruciata, è forte ma è un sentimento transitorio, già i miei figli, e figurati i miei nipoti, non possono sentire quella nostalgia: per loro le lucciole non esistono (che sono?) e il cielo è giallo o biancastro o nero.
Per quel che riguarda il benessere collettivo, di chi lavora e di chi non trova un lavoro, è vero: io sono molto a sinistra. E lo sono per un semplice ragionamento che cerco di sviluppare.

Una volta si lavorava dodici ore (non esageriamo con sedici) e si lavorava nelle stesse condizioni che si lavora oggi nel 70% del mondo: senza difese, senza diritti, quasi schiavizzati. Chiediamoci il perché la rivoluzione industriale vedeva queste forme di lavoro quasi da schiavi, come ho detto, e troveremo che c’era un motivo: si dovevano costruire imprese e il padrone chiedeva quello sforzo ai suoi operai perché anche lui partecipava, anche fisicamente, allo stesso sacrificio. Era una situazione del tutto diversa. Oggi c’è un'altra storia, oggi il padrone è un fantasma che lavora solo attraverso management super pagati, e tutto quello che le imprese potrebbero dare ai dipendenti viene invece tranquillamente messo in cassaforte alla faccia di chi si rompe la schiena per quattro soldi, cioè per stipendi che quando va bene aiutano solo a sopravvivere. Ma comunque non è solo questa la finta libertà che io discuto. Parlando della libertà dei popoli, e mi riferisco solo a quella dei popoli occidentali per ovvii motivi, punto anche il dito sulla finta democrazia in cui viviamo, una democrazia manipolata e limitata. Guardiamo per esempio agli Usa, cioè al Paese che viene  definito “la patria della democrazia”: bene, negli USA non esiste nessuna reale opposizione che possa disporre dei mezzi di comunicazione di massa. Ad esempio non c’è alcun giornale realmente contestatario. La sinistra, negli Usa, non ha in genere nessun accesso ai mezzi di comunicazione semplicemente perché non possiede il denaro che invece lobbies e privati interessati danno ai due grandi partiti di governo. La sinistra in questa democrazia è svantaggiata in partenza. E su questo punto devo sottolineare che la campagna di Grillo per abolire il finanziamento pubblico ai partiti è una iniziativa di destra, perché è evidente che i partiti che rappresentano il potere non hanno bisogno di nessuna sovvenzione pubblica, disponendo dei vari Berlusconi con il portafoglio aperto.
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Messaggio Da Vargas Ven 11 Ott 2013, 07:49


D'accordo su quasi tutto, caro Cireno, comprese le tue giuste osservazioni sul finanziamento ai partiti, che condivido. Un po' meno sulla tua immagine del sistema produttivo del XIX secolo: le dodici ore e il padrone che condivide la fatica fisica forse si verificavano in piccole filande o in altre strutture artigianali delle aree rurali, ma nelle grandi industrie inglesi, francesi e via via sparse in tutta Europa, o nelle miniere e nei grandi latifondi, non era affatto così. Basta leggere Dickens, o gli storici dell'epoca, marxisti, socialisti pre-marxisti ma perfino liberali, o le semplici cronache dell'epoca. Per i paesi in via di sviluppo vale lo stesso discorso: situazione ancora drammatica, ma paradossalmente migliore di quella che si viveva cento anni fa. Tutto insomma è traslato in modo analogo, a velocità e parametri diversi.
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Messaggio Da Rom Sab 12 Ott 2013, 11:47

cireno ha scritto:La discussione sul “si stava meglio prima di oggi” e sulla libertà che sembrerebbe, da certi scritti, essere oggi maggiore che non una volta, non ha portato ad alcun accordo tra noi.

Come dicevo già prima, non vedo la tua tesi alternativa a quella di Vargas: avete ragione entrambi, perché la storia non è una bottiglia, ma una clessidra.
La bottiglia nasce per essere piena, e se lo è solo a metà, siamo liberi di vederla mezza vuota.
La clessidra nasce per essere sempre mezza piena e mezza vuota, e in effetti ogni riempimento crea un vuoto, e ogni svuotamento produce un pieno: quello che fa la differenza, ossia che genera discussioni, è il tempo, ossia il ritmo con il quale avvengono le due operazioni, in rapporto con il tempo della nostra vita e con la percezione che abbiamo delle trasformazioni.
Il tempo e le percezioni, appunto.
Quando Vargas afferma che il livello di vita, globalmente, è comunque migliore oggi di quanto sia mai stato in passato, ha ragione oggettivamente, ma non altrettanto vale per la coscienza che ne abbiamo, perché su questo piano entrano in gioco le aspettative e la memoria, che sono oltre tutto selettivi.
Le trasformazioni ancestrali avevano tempi quasi geologici,  e di conseguenza per intere sequenze di generazioni la sensazione era quella di stare fermi, accentuata dal fatto che il territorio abitato aveva intorno a sé spazi interminati assolutamente vergini, che esaltavano il senso di eternità.
A mano a mano che il saltus era sostituito dall'ager, ossia il selvaggio dal coltivato, e la civilizzazione accorciava i tempi della propria trasformazione, la memoria ha cominciato a ricomprendere ciò che era e che non è più, e le aspettative hanno cominciato ad allargarsi al concetto di "possibile" e ad avere coscienza dei meccanismi della trasformazione, nei quali avevano un ruolo importante sia la "volontà" sia la "finalità".

Il "fine", da una certa epoca in poi, ha affiancato il "dato di fatto" nella percezione, individuale o condivisa, e nel gioco delle generazioni: il progresso non è più stato solo misurato sul paragone col "prima", ma anche con le aspettative deluse, o rimaste sospese attraverso le generazioni, sovrastate, illuse, condizionate dal concetto del "possibile".
Un fenomeno, questo, reso più evidente nel momento in cui i dati di fatto (per intenderci, quelli di cui parla Vargas, inoppugnabilmente) hanno travalicato la sfera della pura sopravvivenza, ossia dei valori fondamentali dell'esistenza materiale, e così facendo hanno dato spazio alla percezione di un problema: dobbiamo continuare a misurarci con la realizzazione della "società del benessere", e a ritenerci soddisfatti, o dobbiamo desiderare, immaginare qualcosa di più e di diverso?
Una domanda che sembra rivolta al futuro, ma che in realtà riguarda "il futuro che comincia adesso", cioè anche il presente.
Una domanda ambigua, che prende atto delle conquiste realizzate e che allo stesso tempo - per le stesse ragioni per cui queste conquiste sono state realizzate - ne riconosce i limiti e ne immagina una fase evoluta.
E' evidente che, in questo gioco della coscienza, ha un ruolo essenziale i susseguirsi delle genrazioni, con un ritmo stringente sconosciuto nel passato: la "nostalgia" diventa uno slancio verso il futuro, proprio perché depositaria dei "fini non raggiunti" e, più metodologicamente, di una coscienza comunque inattuale, e perciò "diversa" dal "dato di fatto", cioè dall'esistente.
Così mi sembra.

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Messaggio Da cireno Sab 12 Ott 2013, 14:23

Bello ROM, molto interessante.
Ecco, questo forum sarà anche "abitato" da pochi, ma quasi sempre un post di questo forum vale più di trenta pagine di battute vuote di senso che si leggono in altri spazi forum.
Per risponderti, caro amico romanista, devo rifletterci sopra.
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Messaggio Da cireno Dom 13 Ott 2013, 12:09

Rom ha scritto:
Come dicevo già prima, non vedo la tua tesi alternativa a quella di Vargas: avete ragione entrambi, perché la storia non è una bottiglia, ma una clessidra.
La bottiglia nasce per essere piena, e se lo è solo a metà, siamo liberi di vederla mezza vuota.
La clessidra nasce per essere sempre mezza piena e mezza vuota, e in effetti ogni riempimento crea un vuoto, e ogni svuotamento produce un pieno: quello che fa la differenza, ossia che genera discussioni, è il tempo, ossia il ritmo con il quale avvengono le due operazioni, in rapporto con il tempo della nostra vita e con la percezione che abbiamo delle trasformazioni.
Il tempo e le percezioni, appunto.
Quando Vargas afferma che il livello di vita, globalmente, è comunque migliore oggi di quanto sia mai stato in passato, ha ragione oggettivamente, ma non altrettanto vale per la coscienza che ne abbiamo, perché su questo piano entrano in gioco le aspettative e la memoria, che sono oltre tutto selettivi.
Le trasformazioni ancestrali avevano tempi quasi geologici,  e di conseguenza per intere sequenze di generazioni la sensazione era quella di stare fermi, accentuata dal fatto che il territorio abitato aveva intorno a sé spazi interminati assolutamente vergini, che esaltavano il senso di eternità.
A mano a mano che il saltus era sostituito dall'ager, ossia il selvaggio dal coltivato, e la civilizzazione accorciava i tempi della propria trasformazione, la memoria ha cominciato a ricomprendere ciò che era e che non è più, e le aspettative hanno cominciato ad allargarsi al concetto di "possibile" e ad avere coscienza dei meccanismi della trasformazione, nei quali avevano un ruolo importante sia la "volontà" sia la "finalità".

Il "fine", da una certa epoca in poi, ha affiancato il "dato di fatto" nella percezione, individuale o condivisa, e nel gioco delle generazioni: il progresso non è più stato solo misurato sul paragone col "prima", ma anche con le aspettative deluse, o rimaste sospese attraverso le generazioni, sovrastate, illuse, condizionate dal concetto del "possibile".
Un fenomeno, questo, reso più evidente nel momento in cui i dati di fatto (per intenderci, quelli di cui parla Vargas, inoppugnabilmente) hanno travalicato la sfera della pura sopravvivenza, ossia dei valori fondamentali dell'esistenza materiale, e così facendo hanno dato spazio alla percezione di un problema: dobbiamo continuare a misurarci con la realizzazione della "società del benessere", e a ritenerci soddisfatti, o dobbiamo desiderare, immaginare qualcosa di più e di diverso?
Una domanda che sembra rivolta al futuro, ma che in realtà riguarda "il futuro che comincia adesso", cioè anche il presente.
Una domanda ambigua, che prende atto delle conquiste realizzate e che allo stesso tempo - per le stesse ragioni per cui queste conquiste sono state realizzate - ne riconosce i limiti e ne immagina una fase evoluta.
E' evidente che, in questo gioco della coscienza, ha un ruolo essenziale i susseguirsi delle genrazioni, con un ritmo stringente sconosciuto nel passato: la "nostalgia" diventa uno slancio verso il futuro, proprio perché depositaria dei "fini non raggiunti" e, più metodologicamente, di una coscienza comunque inattuale, e perciò "diversa" dal "dato di fatto", cioè dall'esistente.
Così mi sembra.

Bella questa della clessidra, che però non è mai ferma nel suo misurare il tempo. E quindi seguendo il tuo suggerimento il tempo che verrà misurato non sarà mai uguale a quello di quando la clessidra, nella sua parte superiore, era più piena di sabbia.
Il tempo e le percezioni, appunto.
Vargas ha ragione quando afferma che oggi si vive meglio e Cireno ha ragione quando sottolinea che oggi si vive “apparentemente” meglio. E tu stesso confermi che ambedue abbiamo ragione laddove ricordi che prima di questo secolo di grandi trasformazioni, il tempo sembrava immobile, o quasi, perchè le città avevano intorno grandi spazi verdi, poco abitati, grandi campagne coltivate con gli stessi gesti e quasi gli stessi arnesi di sempre, e questo dava appunto un senso di eternità, come tu hai scritto.
Dopo l’esplosione della società industriale la sabbia della clessidra ha cominciato a scendere più velocemente, e il tempo degli uomini è mutato come sensazione. La velocità del nuovo tempo, quella che ha indotto poeti come Marinetti e artisti come Boccioni e Balla ha dare testimonianze della nuova realtà, ha portato anche quei miglioramenti alla condizione umana che abbiamo visto ma, nello stesso tempo, anche la frustrazione di dover correre, per stare al tempo con la sabbia della clessidra, e quindi di essere “fuori” dalla precedente calma dell’apparente eternità del paesaggio, e quindi della società che lo abitava.
Mentre da una parte l’uomo poteva godere delle nuove conquista della scienza, veder annientate certe epidemie per esempio, dall’altro la realtà dei nuovi tempi che si rincorrevano sempre più velocemente, lo costringevano a un ritmo di vita che definire naturale sarebbe come parlare di naturalità del lavoro ripetitivo, monotono, che alla fine ha preso il sopravvento sulla faticosa ma anche idilliaca fatica “nella” natura.
E’ di questo che discuto. E’ questo che io giudico un arretramento della condizione umana. Per questo credo giusto presumere di avere ragione tanto quanto ha ragione il mio amico Vargas.
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Messaggio Da Vargas Dom 13 Ott 2013, 13:43

Proprio così, caro Cireno. Aggiungo che è curioso, e lo dico divertito, che a difendere gli aspetti materiali del progresso scientifico ma anche sociale sia un poeta assai poco marxista come me.
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Messaggio Da Rom Dom 13 Ott 2013, 17:00

Vargas ha scritto:Proprio così, caro Cireno. Aggiungo che è curioso, e lo dico divertito, che a difendere gli aspetti materiali del progresso scientifico ma anche sociale sia un poeta assai poco marxista come me.
C'è stato il tempo in cui ci sembrava importante essere marxisti, mentre eravamo soprattutto poeti che non si rendevano conto di esserlo.
Adesso ci è rimasta la poesia e, come capita a te, non ci rendiamo conto di essere marxisti anche quando non ne avremmo l'intenzione.
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Messaggio Da cireno Dom 13 Ott 2013, 20:55

Vargas ha scritto:Proprio così, caro Cireno. Aggiungo che è curioso, e lo dico divertito, che a difendere gli aspetti materiali del progresso scientifico ma anche sociale sia un poeta assai poco marxista come me.
Ho molto casino in testa. Istintivamente credo che essere marxisti sia un dovere assoluto, poi guardo come il marxismo è stato tradito dall'arroganza e dall'ignoranza di certi "comunisti" quando hanno avuto l'occasione di renderlo praticabile e siccome non ho una grandissima fiducia nel genere umano mi "perplimo", cioè vengo assalito dai dubbi: riusciranno una buona volta i nostri eroi (leggi comunisti) a far vivere il marxismo ove ne avessero l'occasione?
E non sono nemmeno un poeta, porco cane......
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Messaggio Da Tarzan Ven 29 Nov 2013, 22:17

Dici:
per noi va male.
Il buio cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni noi siamo ora in una condizione più difficile di quando si era appena cominciato.
E il nemico ci sta innanzi più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze.
Ha preso una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori, non si può più mentire.
Siamo sempre di meno.
Le nostre parole d'ordine sono confuse.
Una parte delle nostre parole le ha travolte il nemico fino a renderle irriconoscibili.
Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto ?
Su chi contiamo ancora?
Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente?
Resteremo indietro, senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi?
O contare sulla buona sorte?
Questo tu chiedi.
Non aspettarti nessuna risposta
oltre la tua.

(Bertold Brecht)
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