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Messaggio Da Arzak Sab 11 Gen 2014, 17:56

Nell'intento di contribuire ad animare queste pagine, anche in base a qualche parola scambiata con alcuni amici, ho pensato di proseguire la pubblicazione dei racconti già apparsi in altra sede. Perchè non si dica che le mie tematiche vedono solo affascinanti protagoniste scandinave in ambiente esotico ho soffocato il desiderio di pubblicare una storia finlandese già pronta, e vi offro al suo posto un racconto ambientato in Italia con protagonisti italiani.
Un'altra novità consiste nel taglio moderatamente erotico. Per questa ed altre ragioni considero l'exploit del tutto sperimentale, la cui prosecuzione è quindi legata all'accoglienza che troverà la storiella. I commenti sono perciò particolarmente graditi. Meglio se ferocemente critici, così mi metto il cuore in pace e non ci penso più.


Ultima modifica di Arzak il Sab 11 Gen 2014, 20:13 - modificato 1 volta.
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Messaggio Da Arzak Sab 11 Gen 2014, 17:58

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1
Era la fine di dicembre. Ero capitato a quella festa assieme a Luciana, una ragazza che concupivo inutilmente da così tanto tempo da averne dimenticato i motivi. Col risultato che ormai la consideravo quello che si dice una "buona amica" identificandomi con la volpe esopiana. D'altra parte, quando era libera da impegni lei accettava volentieri la mia compagnia, col risultato che gli amici ci consideravano una specie di coppia informale, ma in segreto votata alla più assoluta castità.

Era un palazzo austero di corso Buenos Aires, lontano dal nostro usuale habitat. L'ambiente si rivela comunque assai animato. Eccettuati quei due o tre che ci avevano invitato gli altri erano sconosciuti, ragione per cui restavamo un po' in disparte senza intervenire nella conversazione. Ci eravamo installati su di un divano, ma in ogni angolo dell'ampia sala erano accampati gruppetti di persone che chiacchieravano, bevevano, fumavano, mangiavano e pomiciavano ovunque. Anche il resto della casa era occupato da una quantità di ospiti assortiti. Alcuni si preparavano qualcosa in cucina, altri parlottavano nelle camere da letto, chi strimpellava un piano scordato nel corridoio, il tutto in un andirivieni continuo e irrequieto grazie anche al tasso alcolico e cannabinolico collettivo.
Il cuore della festa era però nella sala, dove si stava svolgendo un animato dibattito. Il tema, come spesso accadeva, era di natura sessuale. Tutti ci ritenevamo abbastanza emancipati da poter discorrere liberamente di certi argomenti, ed il loro carattere scabroso teneva senz'altro vivo l'interesse di gran parte dei presenti. Una ragazza cicciottella ma disinibita si era addirittura spinta a svelare pubblicamente il tipo e la varietà dei propri rapporti sodomitici col partner, che seduto accanto sprofondava per l'imbarazzo raggiungendo colorazioni pervinca. Poi è il turno di un altro, che inizia a discettare sulla liceità del sesso libero, teorizzando con fervore lo scambio di coppie e la libertà di fornicare a piacimento senza doverne rispondere a nessuno.

Figurarsi se il tema non era accattivante. Era però la figura dell'oratore a rendere poco credibili le sue tesi. Bellino ma azzimato, un classico figlio di papà che concionava con spocchia, ma mostrava una conoscenza dell'argomento più che altro teorica. Sembrava insomma che parlasse più dei propri desideri proibiti che in difesa della libertà individuale oppressa dal conformismo della società. Normale però che altri lo appoggiassero acriticamente, facendo parte della stessa categoria sociale e mentale. Non mancavano fra i sostenitori alcune ragazze, che con un'eloquenza colta ma retorica confondevano la liberazione della donna con la facoltà di concedersi a chiunque comunque e dovunque. Non che disapprovassi tanta lodevole magnanimità, ma mi indisponeva il loro tono fatuo, di chi da ultimo arrivato si fa bello presentando come dirompenti trasgressioni che nel nostro ambiente erano tranquillamente in voga da anni.  

Se già io iniziavo a provare un certo fastidio per quei toni saccenti, c'era da immaginare cosa pensasse di quelle ragazze viziate e abituate a spendere con facilità soldi da loro non guadagnati l'amica Luciana, di origini popolari ma che si era costruita da sé la propria piccola carriera. Soprattutto nel vederle pontificare in un campo in cui vantava una ricca esperienza (che ahimè non mi coinvolgeva) pur non avendo mai sentito il bisogno di sbandierarla pubblicamente in modo così smaccato.
Sedeva accanto a me, protesa in avanti con i gomiti sulle ginocchia ed il mento appoggiato alle mani con aria truce, come per non perdere una sillaba del discorso di una biondina ipertruccata, e ad ogni smorfia di quella la vedevo caricarsi di una sorda irritazione mentre il viso le si arrossava pericolosamente.
Per evitare l'imminente esplosione, e anche perché tutti quei discorsi non accompagnati da un'applicazione pratica alla fine mi annoiavano, lascio l'uditorio ed esploro un altro spazio della casa, un allargamento del corridoio che dava su di un'ampia vetrata panoramica.
Mi affaccio a fissare il vuoto. Si era fatta sera, ed il buio era costellato da tante lucine, una per ogni finestra illuminata al di là della quale altre persone vivevano le gioie e i dispiaceri della loro vita quotidiana.
Sospiro e mi allontano, quando inciampo in qualcosa.

2
Lì in un angolo in penombra, seduta su di una bassa panca, c'era una ragazza con le cuffiette che ascoltava la musica ad occhi chiusi. Chissà perché la cosa mi incuriosisce. Forse per il volontario isolamento in cui la tipa si era rinchiusa proprio nel corso di una festa in cui di solito si viene per socializzare. Non che fosse particolarmente bella, ma l'espressione rapita con cui si era allontanata dal mondo aveva qualcosa di seducente. I capelli erano ricci e disordinati, e le inquadravano la testa al centro di specie di triangolo riccioluto.
- Scusa, non ti avevo vista!
Lei apre gli occhi e allontana le cuffie scrutandomi con curiosità.
- Dicevi?
- Che non ti avevo vista, quasi ti travolgevo. Scusa.
- Ah. Fa niente, non me ne sono neanche accorta.
Si crea un attimo di silenzio imbarazzato, ma lei non rimette le cuffie, come se si aspettasse una continuazione del casuale dialogo. Anch'io avevo bisogno di parlare con qualcuno, e sforzo le meningi per trovare un pretesto.
- Posso farti una domanda... personale?
- Prego. - risponde cortese appoggiando le mani in grembo.
- Come mai sei venuta ad una festa per poi startene tutto il tempo in disparte?
- Non sono venuta a nessuna festa.
Questa è un po' fuori di zucca, penso interdetto.  
- No? A me pare di sì, visto che sei qui.
- Sono qui perché questa è casa mia.
- Ah. In effetti... Ma allora perché hai invitato tutte queste persone, se poi non le fili?
- Non ho invitato nessuno.
Aridaje.
- Non mi dire che questi ti sono arrivati in casa a tua insaputa.
- Li hanno invitati i miei coinquilini. Io non c'entro.

Inattaccabile. Pur col suo modo di fare apparentemente stralunato, la tizia pareva lucida e sicura di sé.
- Giusto. Posso chiederti come ti chiami?
- Certo che puoi.
Passa qualche secondo senza che giunga altra risposta, poi capisco la sua logica.
- Ehm. Appunto. Come ti chiami?
- Letizia.

Nome ottocentesco, come peraltro il suo abbigliamento, mi trovo ad osservare. Una blusa grigia coi volant, gonna lunga a pieghe, calze bianche e scarpe a fibbia di vernice. Avesse avuto una bombetta e un ombrello, sarebbe stata quasi uguale a Mary Poppins. Apparteneva sicuramente ad una famiglia benestante ma conservatrice, e la mia curiosità si accresce.
- Ma... dimmi. Ti disturba se ti faccio tutte queste domande?
- No. Sei l'unico che mi abbia rivolto la parola, stasera.
E te credo.
- Dicevo... cosa fai, studi?
- Sì, psicologia. Ho affittato questa casa perché è vicina all'università, ma per risparmiare la divido con due compagni.
- Tuoi... amici?
- No. Non li conoscevo, ho fatto un'inserzione in facoltà.
- E ti sei fidata?
- Se non fossero andati bene ne avrei cercati altri. Il contratto ce l'ho io.
- E... non ti disturbano queste feste rumorose?
- Non particolarmente. Ho le cuffiette.
Per la prima volta l'angolo delle labbra le si increspa in una specie di sorriso triste.

3
La esamino più attentamente. Non era poi così inavvicinabile. Guastavano un po' le sopracciglia troppo folte e i capelli poco curati, ma il viso era regolare e lo sguardo limpido. La corporatura era poco riconoscibile, nascosta com'era da quei vestiti sbuffanti, ma il seno pareva sostenuto. Un'altra piccola pecca consisteva nei polpacci un po' corposi in rapporto alla sua statura, ma anche quello era un particolare trascurabile. Ciò che mi intrigava era il mistero della sua volontaria solitudine. Eppure non era sgradevole, si prestava al dialogo, pareva dotata di una personalità decisa... C'era dunque qualcosa in lei che valeva la pena di scoprire, e le tribolazioni della mia vita sentimentale non facevano che amplificare quello stimolo.
- Sei un tipo interessante, sai? - le dico dopo una lunga pausa.
- Perché?
- Perché... si capisce che qui dentro c'è qualcosa. - replico appoggiandole l'indice alla fronte.

Lei boccheggia disorientata, poi si irrigidisce e mi allontana bruscamente come impaurita.
- Non toccarmi. - mormora con voce stridula sgranando gli occhi. - Non toccarmi mai più.
Una reazione abnorme, per quel che l'aveva causata. Lo dicevo che era misteriosa. Anzi, come si diceva eufemisticamente in gergo, "strana".
- Scusami.
Lei rimane a testa bassa per un po', poi la risolleva e mi fissa.
- Scusami tu. Ma non toccarmi, se non te lo chiedo io.
Proprio balorda, non c'è che dire. Ma quegli occhi chiari che fiammeggiavano in un viso che non aveva mai visto ombra di trucco mi sconcertano.
- Mi spiace, non volevo. Forse è meglio se torno di là.
- No. Rimani.

Non era stata né autoritaria né accorata. Mi aveva semplicemente espresso ll suo desiderio con una fermezza a cui era impossibile dire di no.
La situazione era tuttavia in stallo, perché a quelle poche parole segue nuovamente un silenzio imbarazzante. Poi, inaspettatamente, Letizia si alza in piedi e mi scruta.
- Vieni con me.
Doveva essere abituata a dare ordini, ma non mi trattava come un cameriere. Era semplicemente il suo modo di fare, brusco e diretto ma non scortese. Solo quando socchiude la porta realizzo che mi stava trascinando in camera da letto.

4
Prima di entrare la mia padrona di casa ha un'esitazione. Sosta un attimo sulla maniglia come in attesa di qualcosa.
- Giuro che non ti tocco. - dichiaro solennemente con la mano sul cuore. - A meno che non me lo chieda tu.  
- Perfetto.

L'arredamento corrispondeva alla persona. Pesanti tendaggi, tappezzeria a fiori stinti, quadri di soggetto rinascimentale... E un letto singolo con un moderno copriletto colorato, unica nota stonata in un ambiente che pareva quello di mia nonna.
Lei siede contegnosamente sul letto lasciandomi a girellare per la stanza come un piccione.
- Posso chiederti perché mi hai portato qui? - azzardo poi a disagio.
- Certo.
Attendo inutilmente la risposta, poi ricordo il gioco.
- Perché mi hai portato qui, allora? Visto che non posso toccarti?
- Perché di una persona parla meglio l'ambiente in cui vive che tanti discorsi.
- Ne deduco che ti interessa farmi conoscere la tua personalità.
- Mi interessa capire cosa vedi.

Dunque. Mi stava mettendo alla prova. Chissà per quali assurdi fini... Esploro ancora la stanza con lo sguardo prendendo nota dei dettagli.
- Allora?
- Dunque. Sulla libreria ci sono dei giochi... puzzle soprattutto. E riviste di enigmistica.
- Cosa ne deduci?
- Vediamo. Sono tutti giochi che si fanno da soli. Giusto?
- Continua.
- Sono anche giochi che richiedono una certa razionalità.
- Continua.
- Libri di scuola, un soprammobile a Tour Eiffel, uno stradario di New York...
- Altro?

Strizzo gli occhi ed il cervello. In effetti non c'era molto altro. Poi ho un flash: appunto, mi dico.
- Mah. Per essere la camera di una ragazza della tua età, non c'è un poster di cantanti nè di attori. E nemmeno la foto di un uomo. Non c'è né una bambola nè un orsacchiotto nè un pupazzo. Può essere normale, in una casa d'affitto. Ma quasi tutte le ragazze hanno un giocattolo dell'infanzia che si portano dietro dappertutto. Specialmente se devono rendere accogliente una casa estranea.
Letizia continua a fissarmi con aria indecifrabile.
- Totale?
- Beh, ti conosco da dieci minuti, potrei sbagliare della grossa. Comunque, visto che me lo chiedi, direi che forse hai avuto dei genitori poco presenti. Però hai avuto la forza di costruirti una personalità autonoma. Sei curiosa, forse portata per le materie scientifiche, ti piace risolvere le situazioni intricate... Che altro? Sì, vivi la musica come una dimensione in cui rifugiarti, ti piace viaggiare, sei decisa, hai una sensibilità molto accentuata...
- Però?
- Non ho parlato di però.
- Però c'è un però.
- Vediamo... posso?
- Certo.
- Però hai qualche difficoltà nei rapporti umani. E una certa carenza d'affetto.

La vedo alzare il mento continuando a guardarmi con aria altezzosa, poi crollare la testa come a fissare il copriletto.
- Che voto ho preso?
Lei rialza il viso quasi trasfigurata.
- Neanche il mio psicanalista è stato così preciso.
- Ti sei portato anche lui in camera da letto?
- Certo.
- Scherzi?
- No.
- Un professionista davvero coscienzioso.
- Non troppo.
- Comunque hai ragione. L'hai detto anche tu che le case parlano.
- E' vero. Ma bisogna anche saperle ascoltare.
- Se tu allora vedessi la mia, ti rimetteresti le cuffiette.
Sorride. Il primo vero sorriso, imprevisto come una pioggia nel deserto.
- Vieni qui. - mi fa poi battendo una pacca sul materasso.
- E' un ordinanza prefettizia o un'ingiunzione del tribunale?
- Un desiderio.
- Allora aderisco.

5
Letto alto, come quelli delle case nobiliari. L'altezza dei giacigli è sempre proporzionale al censo. Un pastore dorme per terra, un immigrato clandestino su di un poltriccio sul pavimento, uno studente squattrinato fuori sede su di materasso appoggiato ad una tavola sostenuta da quattro mattoni, un impiegato su di un letto svedese alto venticinque centimetri, e così via fino al baldacchino di Luigi XIV, o a quello di Letizia, a cui bastava accostare il sedere per trovarsi già all'altezza giusta per poi potervisi sdraiare. Mi ci appoggio tuttavia con cautela, visto il precedente. Lei vi si era rannicchiata sopra cingendo le gambe con le braccia come a non offrire alcun varco. Le scarpe però erano rimaste a terra.
- Non credo che tu conceda troppo spesso il privilegio di salire sul tuo trono, se capisco bene.
- Infatti.
- Cos'è, un premio per il test a cui mi hai sottoposto?
- Non c'è nessun premio. Se ti va, resta, se non ti va vattene pure.
- Sei un tipo davvero spigoloso. Ovviamente poi non ti posso toccare nemmeno con un dito.
- Al contrario. Devi.
- Devo?
- Se vuoi.
Lo sentivo che stavo cacciandomi in un cespuglio di rovi, ma la curiosità prevale. Le sfioro la guancia con un dito, lei solleva il mento e chiude gli occhi come per assaporare meglio la sensazione.
- Come è stato? - mi informo subito dopo per evitare percosse o denunce.
- Insufficiente. Continua.

Alè. Via libera, ma la sensazione era quella di attraversare un passaggio a livello incustodito mentre si sente fischiare il treno. Mi impegno tuttavia in una carezza effettuata col dorso della mano, fino a sfiorarle le labbra con l'indice. Lei resta impassibile, ad occhi chiusi ed appoggiata alla spalliera di ottone. Mi avvicino quatto quatto ed appoggio le mie labbra alle sue, sempre temendo di suscitare qualche reazione apocalittica. Poi mi ritiro e attendo il verdetto. Passa qualche secondo prima che lei riapra gli occhi.
- Tutto qui?

Inizio ad innervosirmi.
- Vedi, non so come sei abituata, ma di solito in circostanze del genere si usa comportarsi con una certa reciprocità. E non restare lì di ghiaccio come la Bella Addormentata che aspetta il bacio del Principe Azzurro.
- Cioè? Cosa devo fare?
La guardo incredulo. Eppure era sincera.
- Devi... anzi dovresti... ad esempio non restare chiusa a riccio come adesso. Poi... Guarda, lascia perdere. Se non lo senti da sola non posso certo suggerirtelo io.
Lei mi fissa quasi offesa, ma alla fine si distende rigidamente sul letto e appoggia la testa al cuscino.
- Va bene così?
Sospiro rassegnato.
- Diciamo di sì. Insomma, tu fai quello che ti senti. Al resto penso io. Va bene?
- Bene.
- Davvero ho il tuo permesso?
- Sì.
- Incondizionato?
- Beh...
- Devi fidarti. O sì o no. Scegli.
- Forse.

Continua


Ultima modifica di Arzak il Lun 13 Gen 2014, 20:21 - modificato 1 volta.
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Messaggio Da Adam Dom 12 Gen 2014, 22:41

Allora?
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Messaggio Da Arzak Dom 12 Gen 2014, 22:52

Adam ha scritto:Allora?

Curioso? Veramente mi aspettavo qualche commento che mi incitasse a continuare o a desistere, ma forse c'è ancora troppo poca sostanza. Comunque tranquilli, domani arriva il resto.
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Messaggio Da Rom Lun 13 Gen 2014, 02:14

Arzak ha scritto:Curioso? Veramente mi aspettavo qualche commento che mi incitasse a continuare o a desistere, ma forse c'è ancora troppo poca sostanza. Comunque tranquilli, domani arriva il resto.

Dunque, il racconto: rigido, come se avessi perso l'abitudine. Circospetto come un topolino che s'infila nella credenza: sia il narratore, sia il narrato, circospetti e cauti.
L'ambiente e la compagnia sono una fucilata di banalità, che ha caratterizzato un'epoca: in genere, se non si era affiancati da un'amica irrisolta, sobillatrice sana d'inquietudine, dopo due minuti ci si sprofondava in una poltrona e ci si lasciava cullare dal cicaleccio.
La riccetta con le cuffie ha, invece, un terrificante realismo. E' storia vera. Quel tipo di riccette fa parte della casistica dei tipi anomali femminili, appostati preferibilmente sulle verande o nel salottino piccolo, quello con la poltrona antica dove si rifugia normalmente il gatto.
Tra le tante, ne ricordo una, che per altro non era riccia e non usava cuffiette. Aveva lunghi capelli lisci, morbidi come i pullover di cachemire sui quali ricadevano, una figura e un portamento da giovane signora, quale in effetti era e quale soprattutto la consideravamo noi passeggeri abituali della casa: era la sorella grande della nostra giovane animatrice delle feste. Irragiungibile, enigmatica. Aveva un vita complicata, cioè densa di amori e di abbandoni, dei quali nessuno riusciva mai a sapere niente, ma che davano un retrogusto di perdizione a ogni suo silenzio, a ogni sorriso.
In occasione di quei convegni festaioli, rimaneva appartata, ma accogliente, verso i pellegrini che si distaccavano dal rumore per raggiungerla nel salottino, nel quale la potevi trovare acciambellata sul divano di velluto blu.
Era molto graziosa - e come se non bastasse riusciva sempre ad avere una posa distrattamente pittorica - ma era soprattutto "importante". Nell'accomodarsi vicino alle sue gambe distribuite mollemente sul velluto non c'era alcuna aspettativa sessuale, recisa anche in ipotesi dal suo esibizionismo indifferente, accompagnato da una condiscendenza divertita di fronte al lieve imbarazzo provocato dalla sua disponibilità.
Tutto sommato, era come un esame di maturità, insomma una prova, quella di esere un frequentatore immune di quel salottino, essere sfiorati dal vento di una vita fatta di chiaroscuri e di orgogliosa malinconia. 

Non c'erano dialoghi come quelli che tu hai raccontato, nel senso che non c'erano barriere da superare, in quanto non esisteva un dopo da raggiungere. La musica arrivava da altre stanze, attutita, a riempire lievemente i silenzi.
Ma, tornando appunto al tuo racconto, devo dire che la ragzza ti ha largamente superato: le tue tattiche di penetrazione - verbale - sono ignobili, e bisogna pensare che la sventurata abbia deciso di farti accomodare già a prima vista, a prescindere dalla qualità dei tuoi tentativi.
Un fenomeno, per altro, fortunatamente non raro: le penetrazioni nei silenzi delle femmine in veranda sono quasi fatalmente ignobili, e quello che viene premiato è il coraggio di fare la figura degli stupidi, col rischio di essere oltre tutto ricacciati nel salone delle feste, a farsi venire l'acido col Martini dry. La ragazza sa il fatto suo, e ...
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Messaggio Da Arzak Lun 13 Gen 2014, 11:52

Ok. Riassumo con la solita pedanteria il commento di Rom per quanto riguarda il racconto:
1 la fucilata di banalità, 2 la ragazza vera e 3 l'ignobile tattica del protagonista.

1 La banalità è quella di una fotografia. Ovviamente non ho descritto il clima che vige negli attuali incontri giovanili perché non lo conosco a fondo. Ho descritto quello, giustamente un po' soffocante, che ho conosciuto in qualche ambiente di qualche tempo fa. La fotografia può forse essere sfocata, ed è anche un po' anacronistica perché calata in un contesto contemporaneo, ma quella è.

2 la ragazza vera. Ebbene sì. Nel senso che rappresenta l'idea platonica di una certa categoria di donne, a prescindere dal contesto storico, simili a quella di cui parla Rom. Svagate, misteriose, "strane", contraddittorie ma affascinanti anche al di là della loro appetibilità fisica.

3 la tattica ignobile. Credo che se ognuno di noi dovesse svelare le vere ragioni per cui ritiene una donna degna di attenzione, gli stati d'animo con cui le si avvicina e le pedestri tattiche con cui ritiene di poterla sedurre, ben pochi ne uscirebbero vivi.
Il personaggio maschile che descrivo, e con cui Rom mi identifica forse non a torto, non è né migliore né peggiore della media degli altri uomini. Lo presento per quello che è, senza infiorettarlo per cercare di fargli fare bella figura. Forse non ne esce molto bene, ma anche lui, quello è.
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Messaggio Da einrix Lun 13 Gen 2014, 14:35

Mi sarebbe piaciuto scrivere in parallelo la stessa storia, ma a narrare doveva essere quella ragazza, li per terra, con le cuffie, ad aspettare chi per primo le si facesse avanti... Cambiando la prospettiva, potevano cambiare le aspettative, le riflessioni, gli interessi, la mentalità femminile con cui si ragiona. Compito impossibile per uno come me che non sa raccontare neppure la storia della propria vita, al contrario di mia madre che la ripete, ogni volta, ampliandola, arricchendola di particolari inediti, ogni volta che la incontro, come se quel rito fosse la vita stessa - lo scopo di una donna vecchia, giunta al suo epilogo e che vuole che il ricordo sia come un sottile filo d'argento che ci leghi ai ricordi, come alla sola vita di cui si è avuta vera esperienza.
Grazie anche a te Arzak, per i tuoi racconti. Io ti seguirò con le mie pitture.

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Messaggio Da Rom Lun 13 Gen 2014, 15:09

Arzak ha scritto:1 La banalità è quella di una fotografia.
3 la tattica ignobile ... ben pochi ne uscirebbero vivi.
... Lo presento per quello che è, senza infiorettarlo per cercare di fargli fare bella figura.

Ebbene sì. Proprio quello che voelvo dire e ho detto.
I miei appunti in block notes riguardano la vicenda, la fotografia, non l'autore.
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Messaggio Da Arzak Lun 13 Gen 2014, 20:15

einrix ha scritto:Grazie anche a te Arzak, per i tuoi racconti. Io ti seguirò con le mie pitture.
Enrico
Ok, ed io ti verrò a commentare lì. Grazie a tutti per le osservazioni. Trovo gradevole poi che i racconti, come le altre creazioni ed esperienze che si incontrano qui dentro, possano fungere da pretesto per dare modo ad ognuno di noi per raccontare la propria storia in questo collage caleidoscopico...
Va bene, la smetto e passo a pubblicare il secondo capitolo. Per distinguere il racconto dai commenti adotterò un carattere diverso. Magari avvertitemi se la resa grafica è insoddisfacente.


Ultima modifica di Arzak il Lun 13 Gen 2014, 20:23 - modificato 1 volta.
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Messaggio Da Arzak Lun 13 Gen 2014, 20:16

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Non somigliava per niente alla Bella Addormentata, in verità. Quella era bionda, dalla carnagione chiara, ed anche nella catalessi era morbidamente distesa nella sua teca in attesa del bacio del risveglio. Letizia, oltre ad essere mora e scura, giaceva invece irrigidita con i pugni stretti, come se invece di un gesto di affetto fosse in attesa della ghigliottina. A quel punto però vincere la sfida era una questione d'onore. Che gusto c'è a sedurre una pivella di facili costumi, rispetto alla ardimentosa Mission Impossible che mi aspettava?

Torno dunque all'assalto. Lei sempre rigida e ad occhi chiusi, io sempre cauto. Mi inginocchio su di lei e le sfioro il volto con le labbra baciandola sulla fronte, sulle guance, sulla punta del naso e infine sulla bocca grande e carnosa. Percepisco una lieve morbidezza, ma nessuna partecipazione. Non era certo un incoraggiamento, ma nemmeno una dissuasione. Forte di questo minimo risultato proseguo la serie di bacetti inoffensivi scendendo sui vestiti. Al centro della blusa e della sottana, in corrispondenza dei punti più salienti del corpo di una donna ma che il contatto col tessuto odoroso di canfora rendeva neutri.
Di nuovo nessuna reazione, nemmeno un brividino di timore per quel che i miei gesti potevano anticipare. Provo dunque a carezzarla seguendo il contorno del corpo dalle spalle alle gambe. Niente. A questo punto la accarezzo più pesantemente, percorrendo a ritroso la rotondità delle cosce, l'avvallamento del pube, la pienezza del ventre e finalmente le colline gemelle dei seni. La sua passività era disarmante, ma allo stesso tempo stimolante. Un corpo pieno e succulento che mi aveva concesso di palpare impunemente, sia pure al di sopra dei vestiti. Se solo mi avesse regalato un minimo di partecipazione...
- Come sono andato?
- Continua. - mormora lei senza scomporsi.
Avevo idea che ben pochi uomini avessero frequentato quel letto. A parte lo psicanalista fregnone.
- No, Letizia. Non funziona così. Girati verso di me.

Apre gli occhi stupita, ma ubbidisce e si gira su di un fianco. Mi avvicino e la bacio di nuovo prendendola per una spalla. Lei lascia fare, dischiude persino le labbra lasciandosele violare dalla mia lingua sempre cauta, ma guardandomi con gli occhioni chiari e spalancati. Mi stacco e sospiro ancora.
- Letizia... sei adorabile. Ma fai tutto al contrario. Quando c'è da tenere gli occhi aperti li chiudi, e viceversa. Come faccio a continuare con tu che mi fissi con quei due riflettori?
- Devo chiuderli?
- Meglio. Ma soprattutto devi lasciarti andare, scioglierti, abbandonarti alle sensazioni...
- Sono un disastro, vero?
- No. Sei solo chiusa su te stessa. Forse hai paura di me, o degli uomini, non so. Fai finta di dormire, ecco. E se senti qualche stimolo, seguilo tranquillamente. Se non ti fidi di me, fidati del tuo istinto. E fai quello che ti dice.

Annuisce e chiude gli occhi. Meno male. Riprendo a baciarla con un pelo di passionalità in più, e come prima risposta lei mi appoggia la mano sul fianco in un'imitazione di abbraccio. Me la avvicino, e finalmente mi trovo premuto contro il suo notevole seno. Per non distrarmi mi concentro sul contatto orale, per niente spiacevole. Le mordicchio le labbra, le sfioro i denti con la lingua e mi azzardo a cercare la sua. La trovo in fondo al palato, palpitante come un animaletto spaventato che si fosse nascosto in una grotta. La accarezzo con la mia, la rassicuro, e finalmente percepisco una timida risposta.

7
Era il segnale della svolta. La avvicino ancora e la abbraccio più strettamente. Ora sentivo anche il contatto con le cosce. Come donna in amore lasciava parecchio a desiderare, ma superato il primo impatto si dedica a restituire il bacio, senza passione ma con estrema diligenza, come qualcosa che andava fatto e basta. Eppure aveva un buon sapore, una discreta fluidità di movimenti, in qualche momento si avventura persino a spingermi la lingua fra i denti... ma mancava sempre qualcosa. L'anima, forse.

Sì, Letizia faceva discretamente i compiti, ma senza metterci l'anima. Per dovere, più che per piacere.
Ma meglio che niente. Dal momento che non aveva ancora fatto mostra di opporsi alle mie iniziative, tanto valeva continuare. Le accarezzo il collo da dietro ed individuo un gancetto della blusa.
Lo sgancio con la stessa precauzione che avrei usato per disinnescare una mina, ma niente accade. Si schiudeva dunque un'altra eccitante prospettiva. Rintraccio al tatto il cursore della cerniera e lo faccio scendere con uno stridìo acuto e preoccupante. Ma ormai nulla pareva interrompere la concentrazione con cui la mia anomala ospite mi sciacquava metodicamente la bocca con fredda determinazione. Mi stacco un attimo per guardarla, ma fedele alla consegna lei resta ad occhi chiusi.

Mi chiedo per un attimo cosa stavo facendo. Pur essendo una ragazza fisicamente non disprezzabile, il comportamento e la probabile situazione psicologica che lo determinava erano purtroppo assai demotivanti. Ad essere onesti, c'era anche da chiedersi se fosse eticamente corretto pomiciare con una donna così problematica. Vista da vicino poi si notava sulle guance una leggerissima lanugine che contribuiva ad inscurirne la carnagione. Diciamoci la verità: se non fossi stato anch'io in un momento di difficoltà emotiva, avrei mai corteggiato una ragazza del genere?
Forse no, ma non ne ero sicuro. Nell'ottica di macho allupato che caratterizzava tutti i miei coetanei, una ragazza non bellissima ma consenziente era comunque preferibile ad una sgargiante ma recalcitrante. E dal momento che l'unica ragazza sgargiante nei dintorni recalcitrava, anche la complessata Letizia diventava un soggetto appetibile.  
E poi, come non intenerirsi di fronte alla sua epocale goffaggine erotica?

Torno all'attacco, e nel farlo mi rendo curiosamente conto di come quei pochi secondi di lontananza mi avessero già creato una piccola crisi di astinenza. E così era successo per lei, che mi si aggrappa alla bocca. Senza staccare le labbra faccio scivolare in avanti un lembo della blusa, che poi cerco di sfilare da una manica. Vi riesco senza troppi problemi, ma per toglierla del tutto dovevo far alzare la proprietaria, sollecitando un suo primo gesto attivo. Avrei potuto scegliere la soluzione forte, che a volte incontrava successo con le indecise, intimandole di spogliarsi e buonanotte. Oppure potevo impegnarmi in uno snervante tira e molla cercando di farle scivolare via i vestiti centimetro per centimetro sfidando la sua possibile riluttanza. Ricordando la precedente malleabilità scelgo la via intermedia. Interrompo di nuovo il bacio e le sussurro la mia richiesta.
- Stenditi di nuovo, per favore...
Ubbidisce senza replicare. In fondo non era affatto male quel suo automatismo robotico. Si dispone di schiena ancora ad occhi chiusi, ma non più rigida come prima.
- Tranquilla. Non ti preoccupare.
- Sì...

8
Ora pareva una vergine in attesa del sacrificio in una messa nera. Afferro l'altro lembo della blusa e lo sfilo dalla manica denudandole quasi completamente la metà superiore. Contrariamente ai vestiti il reggipetto era di concezione moderna, assai scollato e con la chiusura anteriore. Qualche civetteria dunque se la concedeva, la suora laica. Prima di procedere oltre sento però il bisogno di benedire il successo con un bacetto rituale sull'ombelico, aggredito da una selva di peluzzi terribilmente evocativi. Ma anche ora la vittima sacrificale non muove un muscolo. O aveva un autocontrollo eccezionale, o davvero la sua reattività erotica era a zero. Ormai sicuro di me passo a scoprirle il seno con un semplice click, facendo ricadere di lato le due coppe dell'indumento.

Meraviglia. Due seni polinesiani, lucidi, olivastri e a forma di papaya, che appena liberati assumono una posizione divergente pur mantenendo una certa compattezza. Scendo a baciarne la punta ammirato, sfiorando appena quelle che parevano due piccole infiorescenze del frutto.
Mi sarei trattenuto lì a lungo, ma il desiderio incombeva ed il tempo scorreva veloce. Passo a sganciare anche l'apertura laterale della gonna, ed in breve la faccio scorrere al di sotto del corpo immobile di Letizia fino ad eliminarla completamente. Le restavano addosso solo due indumenti, le mutandine e i calzettoni bianchi. Per graduare la spoliazione inizio dagli ultimi, ma appena mi accingo ad abbassarne uno lei si alza e mi fissa con i suoi occhioni da folle.
- No, per favore. Quelli no, ti prego...

Ecco. Lo sapevo che prima o dopo arrivava il diniego.
- No? E quindi neanche le mutandine, immagino.
- Sì. - replica risdraiandosi.
Per qualche istante rimango confuso. Sì nel senso di "neanche quelle", o "quelle invece sì"?
Più che la sintassi mi aiuta il linguaggio del corpo. Anche se si trattava di un linguaggio muto. Fisso lo sguardo su quel penultimo indumento. Erano delle mutande alte fin sotto l'ombelico, e dotate di un elastico a cintura come quello degli slip maschili. Ma era il contenuto ad inquietarmi. Il tessuto era teso e rigonfio in modo anomalo. come se racchiudesse...

No, questo no! E le avevo pure infilato la lingua in bocca, penso con disgusto. Eppure tutto quadrava. Il volontario isolamento, la lanugine sul viso, l'inspiegabile disagio nel concedersi, la ruvidezza dei toni... Insomma, Letizia era un trans?

9
Esito a lungo prima di compiere l'ultimo passo, chiedendomi cosa avrei fatto subito dopo. Ma ormai era troppo tardi, dovevo sapere. Con una tensione che mi rende febbricitante afferro a due mani l'elastico delle mutandine e le abbasso bruscamente fino alle ginocchia.
Quanto appare era sì voluminoso, ma non nascondeva alcuna insidia.

Il sollievo mi provoca un cerchio alla testa, ma anche un senso di liberazione e di gratitudine che mi fa innamorare. Fianchi larghi, ma una vita incredibilmente snella che donava un'idea di leggerezza all'intero corpo. Neanche i polpacci abbondanti stonavano, ora che erano comparse delle cosce carnose ma proporzionate. E che magnificenza quel pube, una foresta che irradiava le sue propaggini villose all'attaccatura delle cosce ed al ventre... Una donna con un corpo africano e dei seni da selvaggia polinesiana, una meraviglia di appetibilità per gli amanti dell'esotismo.
Se non fosse stato per quell'atteggiamento da statua che smorzava un cincinino i miei entusiasmi...

Torno all'altezza del viso e le sussurro all'orecchio.
- Sei splendida, lo sai?
Nessuna risposta.
- Cosa dici, vuoi farlo?
Questa volta scuote disordinatamente la testa, sempre ad occhi chiusi. Un altro segnale ambiguo, meglio chiarire.
- Sì o no?
- Forse...
Di nuovo. Un forse comunque non è un no, e al diavolo l'etica. Mi spoglio in un millesimo di secondo e mi accosto ancora al suo corpo.
- Ma di solito lo fai con i calzettoni?
- Lasciameli, ti prego. Ti dispiace? - mormora buttandomi finalmente le braccia al collo.

10
- Letizia sei una delizia. - le dichiaro ansimando un quarto d'ora dopo.
- Non me l'ha mai detto nessuno.
- Vuol dire che hai avuto solo degli incompetenti. Ma dimmi, posso chiederti... Insomma, sei venuta?
- No, non mi è mai capitato.
- Mai nella vita? Non è possibile.
- Qualche volta ho sentito qualcosa... ma da sola.
- Toglimi una curiosità, se posso: quante volte l'hai fatto prima d'ora con un uomo?
- Poche. Anzi pochissime. E deludenti.
- Come mai?
- Nessuno mi ha mai spiegato bene cosa bisogna fare.
- E stavolta?
- Dimmelo tu.
- Sei un'ottima allieva.  
- Non so. Ma sono contenta che ti sia piaciuto.
- E' anche merito tuo. E' vero che le case parlano, ma i letti ancora di più.
- E il mio cosa ti ha detto?
- Posso?
- Ti prego.
- Che hai ancora molti problemi, ma che vuoi superarli. E questo è positivo.
Mi guarda da sotto in su. Poi appoggia la testa sul cuscino e la nasconde fra le mani. Solo dopo un po' capisco cosa accadeva dal movimento delle spalle. Oh, no, questo no...

- Letizia... che hai? Perché piangi?
- Perché tanto sparirai anche tu, come gli altri...
Un ricatto morale. Sempre peggio.
- Non dire così. Ora intanto siamo qui, è stato bello, anche a te non è dispiaciuto...  E poi, io ho voglia di vederti ancora. Non piangere.
Si risolleva tirando su col naso e detergendosi le guance.
- Giuralo!
- Non ho bisogno di giurartelo. Sono sincero. Mi piaci e voglio rivederti. Contenta?
- Non so...
- Mah. Senti, a proposito, non mi hai nemmeno chiesto come mi chiamo.
- Mauro, no?
- Ma... come fai a saperlo? Io non te l'ho detto, e non ti ho vista parlare con nessuno!
- Ho visto la lista degli invitati.
- Mica si chiamavano tutti come me, immagino.
- No, ma tu sei quello che sta con con quella mora... Luciana, mi pare.
- Comunque, Luciana non è la mia ragazza. Purtroppo.  
- Ah.

Chissà cosa si nascondeva in quell'Ah...
continua
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Messaggio Da Rom Mar 14 Gen 2014, 00:55

Avevo parlato di cautela. Adesso, dopo il secondo capitolo, avverto la tensione, anche da parte della mano che scrive il racconto, che segue come un sismografo il tremante avvicinarsi delle due diverse paure, sul letto alto come quello di Paolo e Francesca nel castello di Gradara.

Le cautele, il timore, la prudenza di Mauro sono una citazione dei micrometrici stati d'animo che attraversano la mente di un uomo, quando si avvicina a una donna, incerto sulla volontà di lei e sulle sue fragilità, che non sa se forzare o rispettare, mentre è inevitabilmente accompagnato dalle sue stesse sensazioni, non sempre coerenti, anzi spesso contraddittorie. Si notano, in quegli attimi, particolari deliziosi e altri che tendono a spegnere la passione, o a deviare i pensieri in direzioni inaspettate.
Ma questa è la parte che, letta da un uomo, non racconta niente di sconosciuto.

Quello che mi ha affannato di più, e mi ha preso, è la tensione della povera Letizia: contratta, distesa sul letto, osservata, percorsa - sia pure con gentilezza - da una mano che la valuta in tutte le pieghe del corpo.
I calzettoni, poi, e le mutande antiche, da collegiale, da suora, da contadina: fanno pensare a un corpo conservato nella tepore della rinuncia, della lontananza da tutto ciò che sta dopo le parole.

M'immagino di essere Letizia, denudata, persa nella sensazione di essere svelata nel corpo, ma ancora completamente vestita nell'anima: non credo di capire, quando Mauro mi sussurra "sei spledida", anche perché ho il viso arrossato e le tempie che mi ronzano dall'emozione, e quei rituali sono proprio ciò che vorrei evitare, o forse no, sono ciò che vorrei prolungare all'infinito, fino ad esserne padrona e non più intimorita.
Soprattutto, sono le sue domande che non vorrei sentire, perché mi costringono a fare quello che meno vorrei, cioè rispondere, fingendo una freddezza e una consapevolezza che non voglio avere. Perché non continua ad accarezzarmi, invece di fare commenti e fare domande, domande?


Naturalmente, non si può fare a meno di cheidersi come sia possibile che una casa, una situazione così mondana - una festa con perfino una lista degli invitati - possano ospitare, da padrona, una ragazza così inattuale, con la sua biancheria da contadina e i suoi calzettoni.
Non è lecito inventarsi una risposta, ma questa si formula lo stesso, inconsciamente, e sposta tutta la storia in una scenografia più complessa, nella quale la casa non è così alla moda, come farebbe pensare l'accenno festaiolo, e nella famiglia che la abita convivono e sopravvivono diversi piani caratteriali, oltre che eredità culturali che si dilatano nel tempo. In "quegli anni" questo capitava spesso.
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Messaggio Da Arzak Mar 14 Gen 2014, 10:35

Il commento di Rom, assai più analitico e profondo di quanto sia la mia relazione stenografica, e quello di Einrix che ugualmente evoca il punto di vista della donna, mi hanno fatto sorgere l'idea di tentare un esperimento. Quello di impiegare una voce maschile per descrivere lo stato d'animo femminile, o almeno ciò che si pensa che una donna possa provare in certi momenti.
Certo, sarebbe più appropriato, ma forse meno interessante in quanto più noto ad ognuno dei due soggetti, se a farlo fosse davvero una donna, ma lo scambio mentale che propongo offrirebbe spunti di riflessione abbastanza inediti.
In effetti in qualche caso ho scritto qualcosa anche in vesti femminili, senza però sfuggire alla prosaicità e alla piattezza di un punto di vista sommario e forse artificioso. Quando un uomo fa parlare una donna, spesso esprime più ciò che lui desidera da lei che quanto lei direbbe davvero...

PS. Un chiarimento sull'ambientazione. Come si evince da certi dettagli Letizia è una studentessa fuori sede, forse proveniente da un piccolo comune dell'hinterland, ed anche per questo è spaesata e poco coinvolta dai riti cittadini. Ha affittato una camera in una zona centrale e signorile, per continuità con l'ambiente di provenienza. Condivide però la casa con due altri studenti, dall'indole più festaiola e disinvolta, forse proprio per recepire attraverso di loro dei frammenti di un'esperienza di vita che le manca.
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Messaggio Da Adam Mar 14 Gen 2014, 15:19

Non ho alcuna intenzione di disperdere la magica concentrazione in commenti durante la proiezione del film tra il secondo e il terzo tempo. E il venditore di pop corn, può anche saltare la mia corsia.
Quindi ci rivedremo alla fine quando si riaccenderanno le luci.
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Messaggio Da tessa Mar 14 Gen 2014, 21:09

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Messaggio Da Arzak Mar 14 Gen 2014, 23:07

tessa ha scritto:Splendido Arzak, Aspettiamo il resto. Un abbraccio
Grazie dell'incoraggiamento. Pensavo però ingenuamente che un'esperta in orgasmi multipli non si sarebbe turbata poi troppo per un'effusione orale.
A meno che non si trattasse di orgasmi virtuali...
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Messaggio Da Arzak Mar 14 Gen 2014, 23:08

11
Non si aspettava che la chiamassi già solo qualche giorno dopo, e la sorpresa la rende esitante. Poi capitola addirittura con un filo di urgenza nella voce. Un nuovo cespuglio di rovi mi stava aspettando. Qualche minuto dopo Letizia mi apre la porta con aria tesa.
Era strano tornare nel luogo del delitto e ritrovarmi in un ambiente del tutto diverso. L'ampia sala ora vuota e grigia quasi mi intimidiva, così come l'atteggiamento guardingo di Letizia che ora indossava una tuta un po' dimessa. Mi conduce verso la cucina per un caffè, ma un dettaglio mi paralizza. Su di una sedia era appoggiata una giacca simile a quella che indossava Luciana qualche giorno prima.
- Ma... c'è qualcun altro in casa? - chiedo alla mia ospite.
- Sì, è arrivata la tua amica, non lo sapevi? E' di là con Lucio e Nanni...

Tutti fuorchè me, penso desolato. Ma in fondo non mi doveva niente, e abbozzo.  
- Senti... non mi va di vederla. Hai voglia di venire tu a casa mia, invece?  
- Non saprei...
- Tranquilla. La casa è libera. E ho una reputazione immacolata.
- Ecco...
- Ho capito. Giuro che non ti toccherò a meno che non me lo chieda tu. Ma spero tanto che tu me lo chieda.
Sorride.
- Un attimo, mi cambio.
- Vai benissimo come sei. Metti un giubbotto e andiamo!
Non era un giubbotto, ma un loden colore cammello non del tutto in linea con la tuta e le scarpe da ginnastica, ma l'agitazione che le avevo creato con la mia fretta la induce ad assecondarmi.

Quando me la ritrovo davanti sullo sfondo della mia camera, così diversa dall'ambiente in cui normalmente viveva, ho la percezione fisica della distanza che ci separava. La vedo curiosare le foto, i poster e le carabattole esotiche che decoravano, o meglio ingombravano le pareti, ripetendo su di me l'analisi psicosociologica che avevo compiuto su di lei.
- Altri tempi... - commento in risposta allo sguardo interrogativo che mi investe.
Lei non replica, ma si lascia cadere sul letto ed inizia a sciogliere i lacci di una scarpa.
- Che fai?
- Mi spoglio, no? Non siamo venuti qui per questo?

Sospiro. La rieducazione di quella disadattata era un compito disperato, ma la sua crudezza mi stringe il cuore. Mi avvicino, mi inginocchio per terra e le appoggio le braccia alle cosce.
- Letizia... hai già capito che mi piaci. E mi piace fare l'amore con te. Ma vedi, ogni cosa ha i suoi tempi ed i suoi modi.
- Cioè?
- Non c'è solo il sesso. Ad esempio mi piacerebbe anche parlare un po', prendere un tè in cucina, guardare il panorama dal balcone, farti vedere i miei libri, sapere qualcosa di più su di te...
Lei mi segue assorta, poi riprende a slacciarsi le scarpe.
- Ma poi si va sempre a finire a letto, no?

12
Mi arrendo al suo pragmatismo. Non che mi dispiacesse, ma era chiaro che un comportamento del genere non faceva che indurre i suoi eventuali amanti alla pratica di "un colpo e via", aggravando i suoi problemi di relazione.
Me la ritrovo spogliata sul letto senza neanche aver dovuto intervenire di persona. Aveva però tenuto i calzini bianchi, guastando un po' l'erotismo complessivo. Singolare l'analogia fra il triangolo della capigliatura e l'altro triangolo rovesciato del pube, due ammassi di piccoli cavaturaccioli quasi inestricabili. Questa volta però aveva ripiegato una gamba come a proteggere il fortino, forse perché in soggezione per via del territorio sconosciuto.
Mi lascio saziare gli occhi dalla visione della sua flessuosa opulenza con la tranquillità di chi non ha fretta. Un corpo a forma di chitarra, di quelle ottocentesche un po' allungate, un seno ricco di promesse e delle forme rotondeggianti di cui indagare la versatilità.

- Allora? - mi fa scuotendomi dalla contemplazione. Non era nè impaziente nè seccata, si stava semplicemente chiedendo cosa aspettassi a fare il mio dovere. Mi spoglio e ricopro entrambi col lenzuolo, poi la giro verso di me e la abbraccio.
- Letizia... senti, hai per caso un diminutivo, un vezzeggiativo? Il tuo nome intero mi intimidisce un po'...
- Mi chiamo così.
- E se te lo trovo io? Litzi, ad esempio, ti andrebbe?
- Per me è uguale.
- Però ora è personalizzato. E' il nome che useresti solo quando sei con me. Ti va?
Sorride tristemente, come se non valesse la pena di perdere tempo con una come lei. Infilo una gamba fra le sue e le accarezzo il seno sfiorando la rigidità dei capezzoli. Lei mi guarda quasi stupita ma non protesta.
- Te l'ho detto. Non c'è solo il sesso. Ci sono tante altre cose piacevoli da fare in due. Tra cui parlare.
- Sì?
- Sembri venire da qualche altro pianeta. Confessa, sei una vulcaniana?

Tace senza capire. Forse era meglio cambiare argomento.
- Dunque. E' proprio necessario che tu tenga i calzini? Ormai siamo intimi...
- Ti prego...
- Vabbò. In fondo però sono sexy...
- Ti piace davvero vedermi così?
- Se devo essere sincero sei molto meglio così che vestita. Certo che mi piaci.
- Dimmelo ancora.
- Letizia... mi piaci e mi piace pronunciare il tuo nome.
- Grazie.
- Senti, per curiosità... ma che rapporti ci sono con i tuoi coinquilini?
- Normali.
- Voglio dire, siete amici, vi parlate?
- Poco. Le cose essenziali.
- Con te non ci hanno mai provato?
- Certo. Ma senza risultato.
- Beh, tu almeno li hai mandati in bianco.
- No, senza risultato per me. Non ho sentito niente. E non ci hanno più riprovato.
Allibisco, ma lei non lo nota.
- Ah! Ma, separatamente o tutti e due assieme?
- Non proprio assieme. Uno dopo l'altro.
Una vera catena di montaggio. Hai capito l'imbranata.

Noto però che si stava spazientendo, era ora di venire davvero al sodo. Mi avvicino, e come per un riflesso automatico lei chiude gli occhi.
- Faccio da battistrada? - le sussurro quando vedo che nonostante la posizione non prendeva iniziative.
- Sì, per favore.
Quando mai una donna ti chiede di essere abusata "per favore".
- Ecco... ora mettiti così... e così. Poi fai come ti ho detto l'altra volta. Ok?
- Sì.

Obbedisce, ma sempre guardandomi attraverso le ciglia come per spiare sul mio viso le reazioni a quando accadeva in sala macchine.
- Ora rilassati. - le sussurro. Rimane a pancia in giù e appoggia la testa alle braccia in un gesto di incoraggiante passività. Pareva la bagnante di una spiaggia di nudisti, una di quelle che non si curano di assumere una posizione dignitosa ma restano spaparanzate in conturbanti divaricazioni che non lasciano nemmeno un pelo alla fantasia.
Contrariamente a chi la snobbava per la sua freddezza, stavo iniziando ad apprezzare quell'insperata passività che mi permetteva di agire come su di un foglio di carta bianca. Anche se fisicamente non lo era, la mia Litzi si presentava emotivamente vergine, un campo da arare, una vigna da coltivare, un lago in cui nuotare...

13
- Com'è stato?
- Beh...
- Ti ho fatto male?
- Sì.
- Ah. Mi spiace, scusa, potevi dirmelo.
- Non importa.
- Beh, non direi. In qualche modo però mi sei sembrata coinvolta, no?
- Insomma.
- Uhm. Esperienza negativa, dunque.
- Non so.
- Senti, ma perchè fai queste cose se non ti piacciono?
- Perchè piacciono agli uomini.
- Qui in giro di uomini ci sono solo io. E dunque l'hai fatto per me.
- Sì. Ma tanto è inutile.
- Come inutile?
- Tanto te ne andrai come tutti gli altri.
- Me lo hai già detto. E invece sono ancora qui con te. Non ne sei contenta?
- Sì, grazie.
- Grazie? Non ti ho mica fatto un regalo. O meglio, te l'ho fatto facendolo anche a me stesso.
- Grazie.
- E insisti... Senti, non posso prometterti l'amore eterno, ma per oggi non me ne vado. E nemmeno domani o dopodomani
- E poi?
- E poi non sta a noi decidere, ma al destino.
- Non credo al destino.
- Intendo dire alla concatenazione degli eventi, che è imprevedibile. Ma dimmi...
- Cosa?
- Come mai questa... preferenza per me?
- Perchè... ti sei preso cura di me.
- Pur avendoti "usata"?
- L'hai fatto per te ma anche per me. L'hai detto tu.
- Ma tu non hai sentito niente. O no?
- Qualcosa.
- Però non ti esalta. Vabbè. Fatti però assaggiare per bene.
- Sì.
Che belli quei sì, non avrei smesso di ascoltarli. Ma anche quei "forse", quei "qualcosa", e quei paradossali "grazie"...

continua
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Messaggio Da tessa Mer 15 Gen 2014, 14:35

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Messaggio Da Arzak Mer 15 Gen 2014, 16:14

tessa ha scritto:Splendido Arzak, C'e' modo e modo di descrivere un bacio, che è stupendo se dato bene e se si desidera darlo e riceverlo, tu dici "la lingua che s'infila tra i denti..." insomma, non e' il modo migliore per descrivere un bacio

Vuol dire che mi limiterò a descrivere
la quantità di trasudato vaginale e la secrezione cervicale, come fai tu con un invidiabile afflato poetico.

Ps: Ségolène viene dal tedesco sieg, che come sicuramente saprai vuol dire vittoria, e lind che vuol dire dolce, pensa alla cioccolata Lindt. Significa quindi dolce vittoria, che se non ci attacchi dietro heil è persino un bel nome.
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Messaggio Da Arzak Mer 15 Gen 2014, 16:44


14
Il pomeriggio era grigio e triste. Avevo già concluso in mattinata il lavoro quotidiano ora fermo in attesa di nuovo materiale dal mio editore. Sarei rimasto volentieri in casa, ma tutto quel grigiore mi fa venire in mente la misteriosa Letizia, che immagino in quel momento sola nella sua stanza e curva sui libri. E allo stesso tempo per contrasto mi balugina nella mente la vista delle sue carni denudate. Senza nemmeno rifletterci prendo il telefono.
- Le... Litzi. Sono Mauro.
- Ah.

Il solito entusiamo, ma lei era fatta così. La incontro dietro il Duomo in una baraonda creata dall'affollamento prenatalizio. Non le avevo proposto un rendez vous intimo, chissà perchè mi andava di girellare con lei per la città, solo per un bisogno di compagnia. Quando mi si presenta davanti con aria spaesata realizzo però di nuovo la distanza che c'era fra di noi. Aveva addosso il loden cammello, un golfino sbiadito da Asilo Mariuccia e la gonna grigia lunga fino alle caviglie. In più indossava degli stivaletti col tacco largo da educatrice svizzera. Di certo i vestiti non rendevano giustizia alla maestosa regalità del corpo che nascondevano. Ci sarebbe stato però da vergognarsi se per caso avessi incontrato qualche amico del mio giro di smandrappati. Il suo aspetto tuttavia mi intenerisce, per cui le do la mano e vi intreccio le dita. Niente bacetti o smancerie, ma sotto sotto intuivo che era contenta di vedermi.

Gironzoliamo senza meta come due turisti, o forse come due fidanzatini al primo appuntamento, lasciandoci guidare solo dalle luci dei banchetti e delle vetrine. In uno stand ci fermiamo a curiosare fra i libri esposti, e qui la mia accompagnatrice mostra un briciolo di interesse per dei testi sui fiori e gli animali. Sembra in particolare attirarla un libro illustrato sulla vita delle api che sfoglia assorta.
- Ti piace?
- Sì, interessante.
Aggettivo raro, nelle sue labbra.
- Guarda, te lo regalo. Vuoi?
Non fa la solita scena del "non avresti dovuto", "lo pago io" eccetera. Resta lì immobile a ricevere il pacchetto col nastrino ed il fiocco e se lo stringe al petto.
- Nessuno mi ha mai fatto un regalo di Natale... - mormora assorta.
- Adesso non fare la trovatella caduta dal pero. Non mi dire che non l'hai mai festeggiato.
- No.
Ahia. Chissà da quale tragica storia familiare veniva fuori per essere conciata così. Le infilo il libro nella borsetta e la bacio sulla fronte.
- Beh, buon Natale, allora.
- Grazie.
Si è mai vista una ragazza commossa perchè le regali un libro sulle api? Intrecciamo di nuovo le dita, ma ora la stretta era più serrata, quasi non volesse lasciarmi scappare. Sentivo che mi stavo sempre più cacciando in un guaio, ma al destino non si comanda.

Si era ormai fatto buio, e bisognava concludere in qualche modo la serata. Letizia era di poche parole e di scarsa compagnia, ma non mi andava di tornare nella mia casa vuota, nè di proporle un altro estenuante amplesso.
- Hai impegni per stasera?
Che domanda.
- No.
- Ti andrebbe una cenetta e magari poi un cinemino? O un concerto?
- Ok.

15
La trascino in un piccolo ristorante nei pressi di via Torino, tranquillo e nemmeno molto caro. L'impaccio con cui si muoveva la mia compagna mi diceva che anche quell'esperienza non doveva essere frequente.
- Ordino io?  
- Ok. Grazie.
Incrocio i suoi occhi chiari, e capisco perchè stavo perdendo il mio tempo con un soggetto così. L'arma più temibile di Letizia era la sua stessa debolezza, l'innocenza da bambina sperduta che chiunque si sentirebbe in dovere di aiutare. Se almeno non si fosse vestita come una collegiale dell'ottocento... Eppure, la furiosa cavalcata a cui si era sottoposta pochi giorni prima era reale, e rimaneva come un inconfessabile legame clandestino che in qualche modo ci univa.
Allungo un piede sotto il tavolo e sfioro il suo, e lei finalmente sorride come per un corteggiamento galante.
- Sei misteriosa, lo sai, vero?
- Sì, lo so.
Ma boia se si lascia scappare una parola su quel mistero. Meglio così, forse.

Il conto lo pago io, ma al momento di proporre la prosecuzione della serata è lei a farsi avanti.
- Li ho già io due biglietti per un concerto.
- Fantastico. Dove?
- Alla Scala. Danno la Carmen.
- Alla Scaaala?
- Sì, ho l'abbonamento. Però è in piccionaia. Ti va?
Il teatro lirico più famoso del mondo non rientrava fra i locali da concerto che normalmente frequentavo. Diciamo pure che non vi ero mai entrato, ma perchè no? Fra l'altro era già pagato...

Il punto di osservazione era il più panoramico, permettendo di osservare sia il palcoscenico che l'intero semicerchio formato dalla platea e dalla schiera di palchi che vi si affacciavano, ma i personaggi da lassù parevano soldatini visti dall'alto di un pozzo. Mi godo tuttavia l'imponenza della scena sempre stringendo la mano della mia amica, nascostamente fiera che il suo regalo venisse apprezzato. Curiosa poi la presenza di alcuni melomani che seguivano l'opera canticchiando o criticando fra loro alcuni passaggi, per poi comunque unirsi agli applausi finali con una gazzarra da stadio.

16
Quando usciamo non era ancora così tardi da dover rincasare. Ora toccava a me, e conduco la mia bella in uno di quei localini che sorgono sulla riva del Naviglio Pavese. Bloody Mary, qualche salatino e musica dal vivo, un gruppo free-jazz con un ottimo sassofonista. Di nuovo di fronte, lei tremendamente fuori posto con il suo loden, io più a mio agio che sui palchi della Scala, sempre chiedendomi che senso avesse quel non-rapporto con la mia nuova non-amante frigida. Ma è lei, forse resa loquace dal cocktail, a tenermi sotto scacco.
- Mauro...
Era la prima volta che mi interpellava col mio nome.
- Sì?
- Senti. Ma perchè sei uscito con me?
- Mah, mi andava vederti.
- Davvero?
- Certo. Perchè, se no?
- Non so.
- Preferivi che ci vedessimo in casa per un altro pomeriggio di sesso?
- No, va bene così. Solo, mi è sembrato strano.
- Perchè?
- Così. Ma tu ce l'hai la fidanzata?
- Fidanzata? Roba del secolo scorso.
- Ce l'hai o no?
- Con le donne... ho un rapporto conflittuale, ecco. Ma anche tu, mi pare.
- Con le donne?
- Col resto del mondo, direi. Chi è che durante una festa si mette le cuffie ignorando chiunque?
- Non ho ignorato tutti, mi pare.
- Già. Non tutti. Non dirmi che era un tuo metodo per selezionare l'unico che in mezzo alla gente avrebbe potuto notarti?
- Chissà... - risponde in tono fatuo.
- Comunque, scusa se mi permetto, ma mi sembra che il tuo umore stia migliorando. Ora esprimi anche degli stati d'animo.
- Magari è merito tuo.
- O tuo. Forse avevi solo bisogno di uscire da quella casa, di distrarti dai tuoi libri, di vedere un po' di gente... Ma in realtà non so nemmeno che vita fai di solito.
- Però da qualcosa l'hai intuito.

Tremendi quegli occhi chiari che ora si rivelavano anche intelligenti. Ma di che colore erano? Verdi, apparentemente, ma dotati di riflessi grigi cangianti con l'ambiente.
- Beh, dal tuo ermetismo.
Allunga la mano sul tavolo e gliela stringo guardandola fissa.
Nel riaccompagnarla a casa mi viene quasi la tentazione di salire su con lei per godermi il suo freddo tepore. Ma sarebbe stata una stonatura. Nel lasciarla davanti al portone lei d'impulso si avvicina e mi bacia di lingua, in quel modo un po' sensuale che le avevo insegnato.

La frittata era fatta: Letizia si stava innamorando, e la cosa non mi lasciava indifferente.

continua


PS: il bacio di lingua è dedicato a Tessa.
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Messaggio Da tessa Gio 16 Gen 2014, 15:01

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Messaggio Da Arzak Gio 16 Gen 2014, 15:19

Grazie ancora dei commenti. Circa l'inopportunità di certe descrizioni, posso anche concordare, tanto è vero che ho evitato di dettagliare l'analogo maschile di quanto tu hai mirabilmente descritto in campo femminile.
Osservo però che l'eventuale fastidio del lettore può derivare sì dalla penna di chi scrive, ma anche dall'occhio di chi legge.
Mentre l'occhio è solo un organo funzionale, quello che davvero conta però è la sensibilità di chi recepisce i suoi messaggi. Derivante a sua volta dall'ambiente culturale e religioso del soggetto, dalle sue esperienze e dalla sua apertura mentale.
L'oggettività in questi casi è solo un dato statistico.
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Messaggio Da Rom Gio 16 Gen 2014, 15:30

Proprio ieri sera ho visto un film sul digitale, che mi ha fatto subito pensare alla protagoista del racconto: un buon segno, per un racconto, quello di creare un personaggio abbastanza vivo da produrre associazioni inaspettate.
Film francese, naturalmente, in una Parigi contemporanea, denudata di tutti suoi organetti, baguettes, boulevard e cafè chantant, ma fatta di colori lividi e casermoni in vetro e cemento.
In un ufficio, la ragazza alla segreteria è sorda, poco loquace, vestita dimessamente con golfini grossolani e scarpe basse, senza trucco e ansiosa.
Ma intelligente ed efficiente, nel lavoro. Nel seguito della storia si trova ad imbastire una complicata relazione con uno sconclusionato avanzo di galera, fino a farsi coinvolgere in una vicenda di furti e di violenze, nella quale si dimostra più furba e più forte di tutti gli altri protagonisti. Una Calamity Jane insospettabile, anche se trascinata dalla necessità.
Il dettaglio, però, che ha fatto scattare l'associazione non è l'aspetto dimesso, demodé, della ragazza, ma l'evidente mascheramento di un'attrice sicuramente bella, per farla entrare nei panni della cenerentola imposta dalla sceneggiatura: nei rari, e fuggevoli, momenti nei quali l'attrice mostra il corpo non infagottato nei panni tristi, fa lampeggiare una figura classica, moderatamente opulenta, morbida, che ben si accorda con il viso serio, intenso e con i grandi occhi chiari.
Ho pensato: perché quando un autore costruisce il personaggio d'una donna apparentemente goffa, o asessuata, sotto c'è sempre una femmina classica e opulenta - che è poi la più difficile da nascondere?

PS
Sulle mie labbra - con Vincent Cassel ed Emmanuelle Devos


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Messaggio Da Arzak Gio 16 Gen 2014, 15:37

Rom ha scritto:Ho pensato: perché quando un autore costruisce il personaggio d'una donna apparentemente goffa, o asessuata, sotto c'è sempre una femmina classica e opulenta - che è poi la più difficile da nascondere?
Quesito interessante, ma a cui posso rispondere solo per quanto mi riguarda. Con l'attuale imperante modello di donna imposto da moda e pubblicità, credo sia più probabile che una donna si senta a disagio, dal punto di vista fisico, se ha qualche chilo in più che non in meno. Fatti salvi tutti gli altri condizionamenti che però agiscono bipartisan sia sulle aringhe che sulle cicciotte.

PS. MI viene allora in mente anche l'eleganza del riccio, storia di disagio e di solitudine, con una protagonista non certo glamour, anche se con un finale melodrammatico. Film francese, appunto.




Ultima modifica di Arzak il Gio 16 Gen 2014, 15:52 - modificato 1 volta.
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Messaggio Da Lara Gio 16 Gen 2014, 15:47

Certo che se si voleva smontare il povero Arzak e tutta la pruderie di un racconto erotico, ci siamo riusciti egregiamente.  :arrossi:  
In questo contesto, a me mancano i commenti di Sua Voluptas Cireno e dell’unico scrittore con imprimatur che alligni tra noi, cioè Vargas.
Io, come Adam, aspetto la fine del racconto, e dell’influenza, che mi costringe a letto senza altra compagnia che il termometro e la tachipirina.
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Messaggio Da Arzak Gio 16 Gen 2014, 16:00

Lara ha scritto:Certo che se si voleva smontare il povero Arzak e tutta la pruderie di un racconto erotico, ci siamo riusciti egregiamente.  :arrossi:  
Easy. So benissimo che scrivere raccontini di questo genere, o addirittura scrivere racconti in generale, equivale a mettersi in mutande sul balcone ed aspettare l'applauso dei passanti.
So anche che si tratta di un prodotto privo di profondità e di slanci poetici. Il mio obiettivo minimale è quello di riuscire a rendere credibili sia i personaggi che l'ambiente descritto. Di farne quindi una copia verosimile, come fa Einrix copiando chi copia la realtà con risultati anche più realistici dell'originale. Se questo risultato è raggiunto, posso anche accontentarmi.  
Vedi di curarti, ci tengo al tuo giudizio finale.  ***Seduzione*** 4149909871
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Messaggio Da Rom Gio 16 Gen 2014, 16:34

Be', anche commentare i racconti sembra equivalere a mettersi in mutande sul balcone, a quanto pare.
Se lo scopo, il mio, fosse quello di commentare il racconto, mi chiederei chi me lo fa fare, non avendo nemmeno l'obbligo morale dato da un imprimatur.
In effetti, a me piace divagare sulla realtà che c'è nel racconto, o tutt'al più sul rapporto tra il vero e il verosimile, e dintorni.
In questo senso, non c'è differenza tra un articolo di cronaca e un racconto, o tra un racconto di Arzak e uno di Stephen King o di Maupassant.

Insomma, non siamo qui a fare la psico analisi del buon Arzak. E francamente, nemmeno a misurare il tasso di erotismo di una vicenda che, per altro, non solo è molto normale proprio nei meccanismi erotici, ma è volutamente descritta in toni smorzati, quasi di pura cronaca.
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Messaggio Da cireno Gio 16 Gen 2014, 16:55

a me il racconto di arzak è piaciuto, e voglio vedere come andrà a finire. Mi è piaciuto perchè è scritto, come mi raccomandava il mio grande maestro Elio Vittorini, alla maniera !americana", cioè con frasi brevi, usando un linguaggio semplice, quasi giornalistico.

 Tessa ha scritto "Capisco che la secrezione cervicale e il trasudato vaginale non siano belli da leggere"e io sono rimasto un attimo perplesso. Perchè il trasudato vaginale e la secrezione cervicale non devono essere belli da leggere, ma necessari (non indispensabili) alla funzione dell'amplesso. Che non è un esercizio di lettura ma sempre, quasi sempre, un bel racconto da interpretare.
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Messaggio Da Arzak Gio 16 Gen 2014, 17:30

17
- Ciao Luciana.
- Oh, chi si sente...
- Beh, dovrei dire lo stesso. Tutto bene con i tuoi amichetti di Buenos Aires?
- I muri hanno orecchie a quanto pare...
- Senti... volevo però parlarti di un'altra cosa che mi sta qui. Mi è capitato... di vedere una certa persona, ecco...
- Letizia?
- Come fai a saperlo?
- Ingenuo. I muri hanno anche gli occhi. Bastava guardarvi, quella sera alla cena della festa.
- Già. Comunque, volevo appunto parlare di questo. Ho paura che Letizia si stia un po'... invaghendo, diciamo.
- E tu?
- Mi piace, ma è completamente frigida.
- Lo sapevo già. I muri...
- Ecco. Ma il problema è che è molto fragile emotivamente. Non vorrei coinvolgerla in una storia troppo impegnativa, le farei del male per niente.
- E quindi vorresti mollarla.
- Non è proprio così. Vorrei solo che non si attaccasse troppo.
- Difficile, se offri un salvagente ad un naufrago quello non se ne stacca più.
- Accidenti.
- Però potresti fare in modo che sia lei a non aver troppo bisogno di te.
- E come?
- Magari rendendola meno impresentabile. Si veste come mia bisnonna!!!

E dunque per l'amica Luciana ero uno gigolò che andava in giro con delle bisnonne. Dovevo fare assolutamente qualcosa, almeno per riabilitarmi ai suoi occhi.

18
Ero stato invitato a cena da Letizia, ed era pensabile che volesse offrirmi anche un dopocena. Avevo infatti creduto di essere l'unico ospite, ma all'ultimo momento mi accorgo che a tavola c'erano anche i famigerati coinquilini Lucio e Nanni. Avrei dovuto immaginarlo, visto che abitavano assieme. Non che avessi qualcosa di particolare contro di loro, a parte il trascurabile dettaglio che si erano intrattenuti con entrambe le donne che frequentavo al momento.
La seconda sorpresa consiste nelle capacità gastronomiche della padrona di casa, unite ad una insolita euforia un po' sopra le righe. Non le dispiaceva insomma farsi bella con i coinquilini che avevano prima conosciuto e poi snobbato le sue grazie, come dire che c'era pur sempre qualcuno in grado di apprezzarle più di loro. Tagliolini con salvia e gorgonzola, vitel tonnè con sedano tagliato fine, ed un buon Nero d'Avola rendono tollerabile qualunque compagnia, ed alla fine mi rassegno anche a quella dei due figuri. D'altra parte aver goduto delle stesse donne in genere affratella gli uomini, se proprio non vi è un impellente bisogno di far scorrere il sangue.

La conversazione scorre dunque leggera. I due erano studenti anch'essi, di qualche anno più giovani di Luciana a testimonianza del ventaglio delle sue preferenze che andavano dal liceale squattrinato al dirigente d'azienda ultracinquantenne. Uno biondo col taglio corto, l'altro moro col codino. Un po' superficiale la loro conversazione, ma non era certo stata quella a sedurre la mia amica. Inizio però a temere che la serata potesse continuare su quel tono, ma fortunatamente dopo un po' i piccioni emigrano, non senza aver salutato la loro convivente con un sorrisino dubbioso ma beneaugurante.

Rimasti soli mi si ripresenta la questione irrisolta. Che fare con una donna che parla poco e pratica il sesso con l'entusiasmo di un manichino della Rinascente? Forse meglio stimolare la conversazione, magari avrebbe aiutato anche a risolvere l'altro problema.
- Ottima cena, sai? Sei brava ai fornelli. Non me l'aspettavo.
- Grazie. Come mai?
- Non so, ti vedevo più come un tipo intellettuale, tutta libri e musica classica... a proposito, che musica ascoltavi con le cuffiette?
- Classica.
- Appunto. Beh, la versatilità non è un male. Chissà quante altre doti hai.
- Chissà.
- Mmm. Toglimi una curiosità. Ma a parte i due arnesi con cui abiti, vedi altre persone? Che so, un'amica, un compagno di studi...
- Sono venuta in città da poco. Non conosco molta gente.
- Nè hai voglia di conoscerne, visto l'atteggiamento alla festa.
- La "gente" non mi va. Preferisco le persone. Ma solo quelle... giuste.
- Mi classifichi fra i giusti, allora?
- Sei sotto osservazione.
- Spero di essere promosso, allora. Ma temo che tu sia un tipo esigente.
- E tu che tipo sei?
- Dovresti essere tu a deciderlo, no?
- Se me lo dici tu facciamo prima.
- Potrei darti un quadro inesatto. Ma parliamo di te. Gli altri ad esempio come ti vedono?
- Non lo so ma lo immagino. Pensano che sono brutta, scostante e spocchiosa.
- Non credo che tutti la pensino così. Io no, ad esempio. E anche i tuoi amici non credo ti considerino brutta, visto che ti hanno... diciamo... corteggiata.
- Però la cosa è finita lì. Vuol dire che mi trovano scostante. O spocchiosa.
- Intano abbiamo appurato che almeno tre persone ti hanno trovata attraente. Magari quattro, con Psycho. E sul resto non è detto. Ho paura che sia proprio questo tuo pregiudizio ad allontanarti dalla gente.
- Le gente non mi interessa.
- Vuoi dimostrarmi di essere spocchiosa e scostante a tutti i costi, vedo. Ma è un circolo vizioso: la gente non si interessa a te perchè tu non ti interessi a loro, e dai a loro la colpa di questo atteggiamento come loro la danno a te.
- Non do nessuna colpa.
- Ho capito. Rinuncio. Andiamo di là?
- Ok.

19
Iniziavo ad abituarmi ai modi un po' ruvidi di quella ragazza, e non li trovavo nemmeno tanto sgradevoli. Soprattutto quando mostrava la sua pronta disponibilità ad andare a letto appena le si ventilava la proposta, pregio che compensava qualunque altro difetto. Appena siamo in camera inizia infatti a spogliarsi deponendo con metodo gli indumenti sulla seggiola, fino a presentarmisi davanti discinta prima ancora che io avessi iniziato a farlo. Meraviglia delle meraviglie, erano spariti anche i calzettoni. Contemplo il suo corpo eretto, ed anche in quella posizione il suo folto triangolo delle bermuda faceva la sua bella figura. Non così la sua postura priva di grazia, di chi sembrava in attesa di una visita medica.
- Litzi... sei sensuale, sai? Ma dovresti curare di più l'atteggiamento, l'immagine.
- Cioè?
- Ad esempio, sei rigida come un soldatino. Dovresti assumere una posizione più disinvolta, magari appoggiare una mano alla seggiola tenendo le gambe leggermente incrociate, senza esibire la passera in quel modo. Vuoi provare?
- Ok. Così?
Una frana, ma provvedo a spostarle braccia e gambe nella posizione voluta come se maneggiassi un robot Transformer. Poi osservo criticamente il risultato.
- Così va bene. Guardati allo specchio. Non è meglio?
- Non so...
- Lo so io. Vuoi provare altre posizioni?
- Se vuoi. - fa lei senza entusiasmo ma con aria leggermente incuriosita.
- Ecco. Prova a sederti assumendo un'aria sexy.
Lei esegue obbediente ma col solito risultato.
- Beh, avevo detto sexy. Così sembri una bietola lessa. Aspetta.

Vista dal di fuori doveva apparire grottesca quella scena con due personaggi svestiti, lei che assumeva pose drammaticamente ineleganti e lui che si sforzava di renderla presentabile. Ma mi stava divertendo di più quella sceneggiata che la prevista copula al momento rimandata. Sistemo quindi la mia bella con i gomiti appoggiati alle ginocchia leggermente divaricate ed il mento sulle mani.
- Non male, non male. Anzi, bene. Ti dispiace se questa la fotografo?
- Ok.
Recupero il cellulare e inquadro la mia modella. Mancava però qualcosa.
- Dovresti assumere un'aria maliziosa.
- Non so come si fa.
- Uhm. Perlomeno sorridi. Guarda l'uccellino. Cip, cip!
Stavolta sorride davvero. Rivedo lo scatto, la prima immagine sensuale di quella ragazza ancora tutta da scoprire.
- Guarda! Ti piaci?
- Ma... sono io?
- E chi dovrebbe essere, zia Carolina?
- No, dico... è che non mi riconoscevo!
- Ti piace o no?
- Sì... ma è strana. Non mi corrisponde.
- E invece sei tu, quella che hai dentro e che non hai ancora tirato fuori. A mio parere la foto è bellissima. Ed eccitante, così a piedi nudi, seno e pube un po' celati... Quasi quasi te ne farei delle altre. D'accordo?

20
La programmata serata erotica diventa una sessione fotografica, con Letizia che ora pareva coinvolta e cercava di dare il meglio di sè. Il mio scopo era però prevalentemente didattico. Dal momento che non sapevo rinunciare a quella ragazza, tanto valeva insegnarle un po' di ars amatoria, iniziando da come presentare le proprie grazie in modo accattivante. La dispongo poi con un avambraccio sotto il seno per evidenziarne il rigoglio, poi a gambe accavallate ed un braccio sulla spalliera, e via via in una serie di posizioni sempre più seducenti al limite della pornografia, come quella in cui sul letto la immortalo a ginocchia sollevate ed un dito sulle labbra socchiuse da fatalona. Non mi sfuggiva però che la seduzione era del tutto artificiale, teatrale, e che quando veniva meno la mia consulenza Letizia riprendeva la sua posa da sacco di patate. Ma era un inizio, a mio parere decisamente promettente. Dare vita ad una statua non è impresa facile, comunque...

Ci sediamo poi sul letto contro la spalliera a rivedere le foto scattate. Non sempre eccelse, ma tali da far davvero scoprire a Letizia una parte di sè che non conosceva.
- Sei sexy, davvero. Non te l'aspettavi?
- No.
- Questa poi sulla sedia è la migliore, sembri spontanea. E, come dire...
- Figa?
- Toh. Conosci questa parola?! Sì, in tutti i sensi. Mi hai eccitato, si vede?
Mi osserva criticamente con un sopracciglio alzato.
- Vuoi fare del sesso?
- Solo se lo vuoi tu.
- Ok. Cosa devo fare?

Sospiro. La solita storia.
- Inizia a spegnere la luce, magari ti viene qualche ispirazione.
Lei esegue, poi mi ritorna vicina. Al buio in effetti la nostra prosaica nudità acquistava suggestioni prima impensate.
- Vieni qui, patatona.
Era il primo vezzeggiativo scherzoso che le dedicavo. Mi si stringe contro e mi bacia, con quella sua grossa e lunga lingua che ora mi visitava con qualche fremito in più del solito. La stringo e le palpo il sedere, poi mi abbandono al pathos.

21
- Senti... ma sei al corrente del fatto che l'amore si può fare in diversi modi?
- Certo.
- Ah. Ehm. Beh... Insomma...
- La prossima volta faremo anche quello.
- Gulp. Ma mica è obbligatorio fare certe cose se non ti piacciono.
- Lo so. Ma io voglio fare tutto quello che fanno le altre.
- Sei terribile. Ma come mai tutto questa improvvisa euforia sessuale?
- Mi sono stufata di fare la diversa.
- Anche se non senti niente?
- Non importa. Basta che lo pensino gli altri.
- E quindi lo fai per essere accettata in società.
- No. Per essere accettata da te, e per accettarmi io stessa.
- Allora, così, tanto per dire... Perchè aspettare la prossima volta?

***

- Com'è andata allora?
Lei continua a fissarmi, poi sospira nuovamente afferrandomi un braccio.
- Bene, direi... - mormora incerta.
- E' già un progresso. Non mi dire che sei venuta.
- No.
Resto un po' deluso, poi ho un dubbio.
- No nel senso che non me lo dici o che non sei venuta?
- Che non te lo dico.
Non scherzava, era fatta proprio così.
- E se te lo chiedo ufficialmente? Sei venuta sì o no?
Esita un po', ma alla fine si sbilancia.
- Sì.
- Ma è magnifico! Perchè non volevi dirmelo?
- Così...
- La sera in cui ci siamo conosciuti mi avevi detto che non ti era mai capitato. Allora è la prima volta, un miracolo!
- La prima volta con un altro.
- Mentre da sola a volte ci riesci.
- Quasi.
- E quindi sono un buon sostituto delle tue manine?
- Abbastanza.
Sorride, poi ha uno slancio e mi abbraccia nascondendo il viso fra il collo e la spalla. Un altro avvenimento inedito. Insomma, per lei la situazione erotico sentimentale era in lento ma netto miglioramento.
Non ero altrettanto sicuro che si potesse dire lo stesso di me. Con una ragazza forte mi sarei sentito di poter combattere ad armi pari, ma con una fragile non c'è difesa, la battaglia è troppo impari perchè la sua stessa debolezza è un'arma invincibile.

continua
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Messaggio Da tessa Gio 16 Gen 2014, 17:41

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Messaggio Da Arzak Gio 16 Gen 2014, 18:20

Sono troppo gentiluomo per ricordarti le frescacce in cui sei inciampata proprio in campo fisiologico. Sull'importanza delle rispettive problematicità invece riconosco la tua assoluta autorità. Sono sicuro che in quanto a problemi sessuali sei assai più esperta di me.
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