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Un articolo di Rodota'

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Messaggio Da Vargas Mar 08 Ott 2013, 20:55

Dai, Cireno, sei una delle persone che più ammiro per la loro cultura: non banalizzare il mio discorso, dov'è che ho parlato solo di malattie e salute fisica? Ho detto anche e soprattutto che il 99% della popolazione secoli fa viveva abbrutita, senza istruzione, senza diritti, senza coscienza addirittura del proprio tempo. E lo stesso - mi spiace correggerti - in Africa. Le grandi civiltà africane, magnifiche soprattutto nella costa occidentale, ma non solo, erano comunque verticistiche, elitarie, maschiliste, schiaviste. Esalti Marx, parli giustamente delle lotte operaie e degli sforzi fatti dalle classi deboli per superare in Europa un sistema padronale che le vedeva escluse da tutto, e pensi che questo non dovesse valere per i non europei? Io credo invece che le cose che ci assimilano gli uni agli altri, come esseri umani, in ogni latitudine, siano più e più importanti di quelle che ci differenziano. Non è il modello occidentale che mi interessa imporre, ma il progresso inteso in senso illuministico, ed esso deve valere per tutti, ciascuno magari perseguendolo con la propria strada e i propri tempi, ma senza che ci nascondiamo dietro il facile paravento della diversità culturale e storica per affermare che "gli altri" possono pure continuare a vivere senza ambire ai diritti che noi abbiamo conquistato.


Ultima modifica di Vargas il Mer 09 Ott 2013, 11:28 - modificato 1 volta.
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Messaggio Da Vargas Mar 08 Ott 2013, 20:59

E sai meglio di me, Cireno, meglio di me, che se i nostri bambini si ammalano di bronchite e sinusite, i bambini di centocinquant'anni fa si ammalavano di silicosi ai polmoni nelle miniere, o morivano nei campi, nelle belle commoventi campagne, senza cemento, senza inquinamento, ma tanto tanto belle per i giovin signori che le godevano cavalcando accanto alle donzelle, declamando i versi di Keats, mentre i figli dei contadini strisciavano tra le piante e gli animali da soma. Ma viva la bronchite e la sinusite, dai.
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Messaggio Da Vargas Mar 08 Ott 2013, 21:02

Il che non significa che tu non abbia ragione su molti mali del progresso: credo che stiamo entrambi accentuando le nostre posizioni per amor di retorica. Le sfumature sono molte di più, ovvio.
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Messaggio Da cireno Mar 08 Ott 2013, 21:07

Ho mal di testa, quindi vado a dormire. Ma ritornerò su questo tema. 
'notte a tutti
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Messaggio Da Vargas Mar 08 Ott 2013, 21:09


Notte, Cireno, non prendere aspirine, curati all'antica.
Scherzo, dormi bene, amico.
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Messaggio Da Rom Mer 09 Ott 2013, 00:14

Vargas ha scritto:
Io trovo, Rom, che siano casi molto diversi tra loro. In Kafka si combinano da un lato la narrazione della condizione umana in termini assoluti, l'assurdità dell'essere uomo indipendentemente dalla storia, e - come tu giustamente noti - l'angoscia verso un pericolo incombente, non riferito a un futuro lontano.
Anche noi, ragionando su questi temi politici e istituzionali, parliamo (alcuni di noi con pessimismo) di ciò che è incombente: come dicevo nel mio post, non pretendiamo di mettere un'ipoteca sul futuro lontano, quello che sta sotto la curvatura dell'orizzonte.
E anche Kafka avrebbe avuto, anzi aveva, ottime ragioni per guardare al passato con lo stesso sollievo che tu ora ci stai indicando e che ovviamente condividiamo.
Personalmente, però, devo condividere anche le obiezioni di Cireno, che ci ricorda la solidarietà del mondo contadino, alla quale aggiungo un generale elogio della lentezza, e l'intimità di certi momenti che sono diventati sempre più rari nella società della comunicazione globale.
Le due cose non sono alternative e mi piacerebbe soffermarmi a cercare di descrivere le ragioni di questa sintesi tra sentimenti in apparenza opposti. Per carattere e per convinzione, io sono portato a diffidare della reale esistenza delle contraddizioni.

Ma credo che sia più opportuno tornare a una misura meno millenaristica: Rodotà non voleva investirci di questo tipo di problemi con la sua affermazione.
Il discorso di Einrix si basa su un equivoco, o meglio, su un concetto dogmatico (nel senso di a-storico) della democrazia.
La democrazia liberale non può essere scissa dall'idea di coscienza e di competenza: per lungo tempo si è trattato di democrazia borghese, cioè di un "demos" costituito dalla classe di persone produttive, che conoscevano i problemi che la politica era chiamata ad affrontare e avevano sufficiente libertà di movimento e tempo per apprendere e discutere, nei termini che più somigliavano all'agorà ateniese. Più o meno.
E' del tutto evidente che quella società è assai lontana dalla società post-industriale: l'ipotesi positivista, che ha immaginato di elevare il livello di coscienza e competenza del popolo a quello della borghesia, tramite l'istruzione, è da tempo tramontata.
Si è semmai affermato il fenomeno opposto, cioè l'evidenza di un mondo troppo complesso per essere capito nei dettagli specialistici, anche da quelle categorie di persone che hanno il tempo di informarsi e hanno competenze relativamente più estese.
Abbiamo così una democrazia in apparenza compiutissima, in cui tutti concorrono a determinare governi, ma allo stesso tempo governi che neanche loro sono in grado di prendere cognitivamente delle decisioni, per le quali hanno la necessità di affidarsi a centri studi e a competenze specialistiche.
In realtà, il mondo non è mai stato nelle mani di poche persone, spesso sconosciute e incontrollabili, come in questa epoca della democrazia di massa: parlo del potere reale di incidere sulla vita, i costumi, il benessere, il lavoro della gente, ossia di quello che le costituzioni democratiche indicano come il "popolo sovrano".
La crisi della politica (della democrazia) è tutta qui: la possiamo descrivere come crisi dell'incompetenza istituzionalizzata.
Definire tutto ciò in altre forme, meno dolorose, anzi carezzevoli - "società aperta" o "liquida" - serve solo a nascondere il problema, che però ha la malignità di rispuntare fuori a ogni momento.
Certo non aiuta a risolvere il problema, o almeno a prenderne coscienza, lanciare anatemi, in nome della "democrazia", non appena si pone il discorso della competenza o della saggezza che in qualche maledetto modo devono pure trovare un ruolo, perché la politica abbia un senso e un potere reale.



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Messaggio Da cireno Mer 09 Ott 2013, 05:53

Prima di tornare a discutere su questo tema che mi appassiona molto, e forse si nota bene in quel che ho scritto, vorrei postare un articolo che scrissi per un giornale lombardoi di quelli che si distribuiscono gratis, al tempo della strage di vecchi per il grande caldo di qualche estate fa. Ecco qua.



Si finiva di cenare
 
Si finiva di cenare che erano le sette di sera, poi le donne sparecchiavano il lungo tavolone dove tutta la famiglia si era riunita, compresi i famigli (che erano gli uomini che aiutavano a lavorare la campagna, ricevendo in cambio oltre al salario anche vitto e alloggio) e se era estate si andava fuori, sull’aia, a prendere un po di fresco, e di zanzare, se invece era inverno ci si metteva intorno al grande camino a scaldarsi, visto che in casa non c’erano i termosifoni. Noi bambini eravamo tre, io e le mie due cuginette, e se eravamo solo noi davanti al camino, ce ne stavamo quasi sempre senza parlare,  incantati a guardare le strane forme che il fuoco disegnava nell’aria, ma molte volte veniva il nonno (la nonna no, come tutte le donne di casa aveva altre cose da fare) e ci raccontava storie, quasi sempre fatti da lui vissuti. Non faccio fatica a trovare nella memoria per esempio la storia del Giuanin, che uscito di casa per andare a pescare le rane nei fossi, si era imbattuto in una specie di mago-stregone che gli aveva fatto perdere la memoria, almeno così si disse poi, per cui non tornò a casa la notte e non ci tornò per qualche mese con tutto il paese che diceva l’hanno ammazzato oppure è scappato con una donna. Giuanin era un tipo serio, che parlava poco e rideva anche meno, lo trovarono qualche mese dopo a centinaia di chilometri, in una specie di ospizio-ricovero in Emilia, che non ricordava nemmeno chi fosse e come si chiamasse. Tornato in paese, in famiglia, chiamava mamma  sua moglie e parlava con tutte le bestie che incontrava: gatti, cani, cavalli uccellini. Quando morì, e si disse che morì senza essersi ammalato, il viso gli si atteggiò a una grande risata, proprio lui che non rideva mai e malgrado i foulard legati intorno al viso per tenergli chiusa la bocca lo dovettero seppellire che rideva. La gente per mesi continuò a parlare della strana fine del Giuanin e del fatto che fosse morto ridendo. E poi altre storie, come di quel tizio  che era stato in India o Cina che sia, e diceva che gli uomini non sanno respirare, perché usano solo una piccola parte dei polmoni mentre per stare bene si dovrebbe respirare a polmoni pieni, e io che quando ero solo facevo dei grandi respironi per vedere cosa succedeva e invece mi girava solo la testa e allora pensavo che quello il tizio aveva detto al nonno era solo una gran balla.
Ricordi, bellissimi, di come stavamo incantati, a bocca aperta credo, a sentire il nonno che ci raccontava della prima guerra mondiale, degli assalti alla baionetta, della paura che avevano tutti, della fame e del freddo che si soffriva in trincea. O quando ci spiegava della natura, del perché le piante germogliano in primavera e si seccano d’inverno, della differenza fra gli animali che mangiano l’erba e quelli che mangiano carne, e concludeva sempre: tutti dovremmo mangiare solo verdure e frutta, il mondo sarebbe migliore, perché solo chi mangia carne è per sua natura aggressivo. Ricordi, ricordi che hanno contribuito a formarmi, mi hanno aiutato a sviluppare la fantasia, il desiderio di conoscere.
 
I miei figli non hanno avuto niente di tutto questo, e io mi sento anche un po’ colpevole di non aver capito, quando ero giovane e loro piccoli, la grande importanza che ha avuto per me “il mio nonno”, la sua pazienza nello spiegarmi le cose, il suo sorriso pieno di affetto per quella specie di  puledrino che ero e che forse gli faceva anche girare la testa, a furia di piroettargli intorno.
Hanno avuto, i miei figli, ore e ore di televisione, giocattoli sempre più complicati che “aiutano a sviluppare l’intelligenza”, mentre per noi bambini un battipanni era un fucile e una sedia rovesciata per terra un mezzo corazzato, ma non hanno avuto i nonni, che abitavano lontano e allora li si andava a trovare, anche spesso,  ma non era la stessa cosa di quando io ero piccolo, erano un altro genere di nonni, necessariamente meno presenti. Intanto non c’erano l’aia e camino, e poi il nonno (mio padre) non aveva l’abitudine e i piccoli nemmeno, era il nonno certo, e mia mamma era la nonna, ma non c’era, forzatamente, lo stesso feeling che legava me al mio nonno. Il progresso, ecco, questo “procedere” in avanti, questo progredire verso un traguardo che non riesco a definire, ha tolto ai piccoli uomini di oggi una delle colonne educative che noi, quelli degli anni anta avanzati voglio dire, abbiamo avuto e che mi sono reso conto poi, con il passare degli anni, quanto sia stata importante.
Oggi il nonno o la nonna, se stanno bene e se sono vivi entrambi, stanno quasi sempre nella loro casa da soli e i nipoti in un’altra casa con i genitori. Tutto quel patrimonio di vita vissuta da raccontare ai piccoli uomini in formazione è morto, perso, inutilizzato, un momento della storia dell’uomo lungo secoli e secoli cancellato dal “progresso”. La vita di oggi lascia alle baby-sitter ucraine o romene, agli schermi Tv, il freddo camino dei nostri tempi, il compito di formare i nostri figli. Se tutto va bene e la figura paterna, e sovente anche quella materna, alla sera rientrano fra le mura di casa, i figli si trovano quasi sempre davanti due atteggiamenti: o una serie di rimproveri e di negazioni (non fare questo, non fare quello ecc) oppure l’indifferenza, da stanchezza o da problemi, che si dimostra in dialoghi quasi sempre inesistenti. Non è, sia ben chiaro, che i genitori di oggi siano meno capaci di essere genitori di quelli di una volta, è proprio la vita che tutti conduciamo, almeno nelle città, i problemi che ci rincorrono, il mutuo-l’Ici-le rate della macchina-le spese condominiali-il lavoro che rallenta e così via, che ci stravolgono, ci indispongono, ci tolgono pazienza, e spesso anche comprensione per i piccolissimi (per noi) problemi dei nostri figli che sono magari sorti nel corso della giornata, insolubili, ma stasera quando torna papà glielo chiedo, e poi il papà è stanco, la mamma pure, c’è solo la Televisione come punto di raccolta intorno alla quale però nessuno parla perché è il camino moderno a parlare, spesso a sparlare, a dire, mostrare, insegnare idiozie incredibili sotto forma di “programmi di svago”. E così i nostri piccoli futuri uomini perdono l’abitudine di parlare, di chiedere e lentamente si chiudono in loro stessi, e tu non riesci a capire perché da piccolo questo parlava sempre e adesso che ha 14 anni se ne sta muto e schivo per conto suo, ma guarda te che razza di figlio che abbiamo fatto!
 
Non ci sono più i nonni perché li abbiamo fatti diventare solo dei vecchi: prendono la pensione, non producono, consumano poco, sono una sorta di tribù di sopportatati dalla società moderna. Anche i figli spesso, si certo il bene, la mamma-il papà, ma alla fine anche loro li sopportano e così facendo non si rendono nemmeno conto di dare ai loro piccoli l’indicazione di una strada sbagliata che domani, il tempo passa-corre veloce, faranno a loro quello che hanno visto fare ai loro nonni da mamma e papà. Perché non c’è miglior insegnamento che l’esempio, hai voglia di dire bisogna andare in bicicletta per preservare l’ambiente, se poi hai tre macchine e le usi davanti ai tuoi figli sei uno che parla in un modo e agisce in un altro: e vieni giudicato, e spesso copiato.
Mio nonno, per esempio, diceva che non si doveva mangiar carne e non la mangiava. Era un metodo di educazione. Diceva che bisogna arrivare in orario quando si dà un appuntamento e io non riesco a essere in ritardo se ho un appuntamento, e anche grazie a lui.. Mi spiegava che gli animali sono, come noi figli dello stesso Creatore, e io amo tutti gli animali (escluso le zanzare che odio). Mi ha insegnato ad amare le piante, i fiori, l’erba e io sono un ecologista convinto. Contavano i nonni o no? Certo che contavano, e alla grande. O non penserete che per l’educazione di un figlio, conta quello che dicono i vari Limiti o Amadeus? Per fare uno come mio nonno, o qualsiasi altro nonno, ci vorrebbero sedicimila Costanzo e trentaquattromila Gerry Scotti. E forse non bastano nemmeno.
E invece  guarda qui come la nostra società “progredita” ti tratta i nonni, pardon i vecchi. E’ bastato, tempo fa, un caldo fuori dalla media per causare migliaia di morti, donne e uomini soli, abbandonati da figli che, “perbacco ho anch’io diritto alle ferie o no”, vecchi che con un minimo di attenzione e di amore sarebbero ancora vivi. Io ho una mamma che ha più di 104 anni, e vive con me. Sono io che la costringo a camminare un’ora al giorno, che la obbligo a bere due litri di acqua al giorno perché i vecchi, si sa, non hanno mai sete e allora non bevono, si disidratano e alla fine muoiono con le reni quasi atrofizzate. Perché sono come uccellini, fragili, segnati dai lunghi anni di vita, magari colmi di esperienza che non possono più insegnare a nessuno ma delicati di fisico, bisognosi di cure, ma più che altro di amore. E invece vengono lasciati soli a vivere quella dimensione triste e grama che è la vecchiaia. Hanno la pensione, non gli manca niente, cosa di più? L’amore dei figli e dei nipoti manca, ecco cosa, ma non l’amore del colpo di telefono una volta alla settimana-come stai, riguardati- ma quello capace di vincere la solitudine, la tristezza che viene dalla constatazione dell’inutilità dell’essere vecchi, perché è questo che vuol dire essere vecchi oggi: essere inutili. Non come era ai tempi del nonno che quando parlava ai nipoti sembrava un professore in classe. Così come i vecchi dovrebbero bere due litri di acqua al giorno per non disidratarsi allo stesso modo avrebbero bisogno di avere, almeno qualche volta, un nipote a cui raccontare storie, anche senza avere il camino con il fuoco.
E invece ecco qua, viene il caldo e si legge di vecchi che muoiono, che vengono trovati morti da giorni in casa dove vivevano soli. Ho sempre sentito dire che il grado di civiltà di una società si misura da come vengono trattati i bambini e gli anziani. E allora, se è così, questa è una società sbagliata. Se hai dei figli piccoli devi fare debiti per trovar loro un asilo, se ci sono degli anziani devi fare altrettanto per assicurare loro un posto decente dove vivere. Certo ci sono tanti centri geriatrici ma se sono di un certo livello costano dai 5 ai 7/8 milioni di lire al mese: e chi li può pagare? Come fa un anziano con 1 milione di pensione al mese? E allora se ne sta a casa sua, curato da qualche associazione di volontariato, dai vicini e poi magari quando viene il caldo, si dimentica di bere e alla fine muore, di disidratazione ma anche per colpa nostra, come società, intendo.




Non abbiamo più camini dove far tornare i vecchi ad essere nonni, dove metterli a raccontare ai nostri figli storie educative; non abbiamo posti dove accoglierli salvo che non siano ricchi o non lo siano i figli, che per i ricchi ci sono i centri a dodici stelle, con camere singole, parchi, divertimenti, aria condizionata; non sappiamo più dare loro amore se non per telefono, e una volta la settimana, se va bene. E questi muoiono, più che per la mancanza di sete, uccisi dalla nostra società e dalla sua indifferenza, ma specialmente di malinconia e dal sentirsi inutili, perché non hanno più camini o aie dove poter parlare con i propri nipoti.
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Messaggio Da Vargas Mer 09 Ott 2013, 07:16



Davvero bello il tuo articolo, Cireno.

Sono d'accordo con le tue premesse, Rom, un po' meno sulle conclusioni. Non sono affatto convinto che il mondo non sia mai stato in mano a poche persone come oggi. In mano a chi ha il potere economico, culturale, dell'informazione, oltre che militare, questo sì, ma che sia una cupola limitata di persone è una semplificazione che non mi convince. Erano infinitamente più concentrati i poteri negli anni Venti o Trenta, ma anche tra il 1950 e il 1970. Oggi anche quei poteri forti sono comunque più diffusi di quanto non fossero in passato: il che non significa che sia giusto così, io continuo testardamente a sognare un mondo forse troppo illuministico, nel quale ogni testa abbia un voto e siamo considerati tutti uguali, donne, uomini, ricchi, meno ricchi, colti e ignoranti - sì, anche ignoranti. Tuttavia è inevitabile che le scelte cui siamo confrontati, proprio perché il mondo è ogni giorno più complesso, richiedano a tutti uno sforzo di informazione, studio e comprensione inedito. Il mio punto di approdo, almeno parziale, è però questo: si può puntare a questo lavoro di formazione con le vecchie strutture, con il lento e paziente intervento che si faceva nelle scuole di partito, nella politica fatta strada per strada, piazza per piazza, sede per sede, come un tempo? Chiaramente no. La nostra Costituzione, per bella che sia - e lo è - è figlia di una struttura sociale, culturale, perfino antropologica, che oggi non esiste più, e ci è richiesto uno sforzo nuovo per capire come riformulare la politica. E' su questo punto che non comprendo dove voglia arrivare Rodotà: la politica deve fare tutto questo? O non deve azzardarsi a toccare nulla? La politica è fatta di ignoranti delegittimati? Però anche dei saggi o tecnici esterni sarebbero legittimati, per il motivo opposto, perché sono magari informati e capaci ma carenti di legittimazione politica? Come fare allora? Attendere una miracolosa guarigione dell'elettorato e degli eletti?

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Messaggio Da Rom Mer 09 Ott 2013, 09:29

cireno ha scritto:Prima di tornare a discutere su questo tema che mi appassiona molto, e forse si nota bene in quel che ho scritto, vorrei postare un articolo che scrissi per un giornale lombardoi di quelli che si distribuiscono gratis, al tempo della strage di vecchi per il grande caldo di qualche estate fa. Ecco qua.
Si finiva di cenare
 Si finiva di cenare che erano le sette di sera, poi le donne sparecchiavano il lungo tavolone dove tutta la famiglia si era riunita ...
E' la tua personale versione della Scomparsa delle lucciole di pasoliniana memoria, o del Ragazzo della via Gluk, che avevano descritto il fenomeno con qualche decennio di anticipo, accompagnati già allora dalle pronte accuse di passatismo e, nel caso di Pasolini, perfino di una latente nostalgia del fascismo.
Io ho, avrei, invece la voglia, direi perfino la necessità, di cercare oggi quelle lucciole proprio nel tempo in cui Pasolini e Celentano (o Beretta, l'autore del testo) scrivevano e cantavano, e noi ascoltavamo.
Quando io, tu e mille altri ragazzi come noi trascorrevamo le nostre giornate di campagna con i vecchi contadini, con le "nonnine" che sapevano di fumo e di mele conservate in cantina, eravamo già altro da loro. Eravamo, e ci sentivamo, sul crinale di una collina dal quale potevamo guardare un mondo antico da una parte e guardare, e già vivere, un mondo nuovo e diverso dall'altra.
Appena pochi anni dopo quell'infanzia, adolescenti, eravamo gli attori protagonisti di un momento della storia in cui tutto sopravviveva e tutto era nuovo: la tecnologia e le lucciole, gli odori della campagna e quelli della benzina, della plastica nelle automobili appena ritirate dal concessionario e dei soffritti delle nostre madri casalinghe, le brevi ore della televisione e i lunghi pomeriggi sui prati della periferia a giocare a pallone, o a leggere libri.
Era tutto attuale, e pure, se ti ricordi, eravamo intimamente, serenamente convinti che quei nonni e quelle lucciole fossero comunque una parte di noi della quale ci stavamo liberando, in qualche caso anche con rabbia o con la superbia del cittadino verso tutto ciò che è campagnolo.
Potevamo permetterci quella superbia, perché del mondo di cui ci stavamo liberando avevamo preso l'idillio, senza accollarci tutta la sofferenza e l'immane fatica di vivere, le umiliazioni, le sanguinose sottomissioni, che avevano reso le rughe di quei nonni stagionate come le corteccie degli alberi e allo stesso tempo così amorevoli.

Le lucciole che oggi dobbiamo cercare siamo noi, o meglio quella parte di noi che a quel tempo è stata, per un breve momento, consapevole di tutte le dimensioni possibili, eredi e contemporanei di tutti i passati, da quelli vissuti nelle campagne a quelli rappresentati dai muri e dalle strade della città, a quelli appresi sui libri o dai racconti dei vecchi, o solo immaginati nei momenti di silenzio.
Se riusciamo a trovare questa parte di noi, potremo se non altro mettere il titolo a un libro ancora tutto da scrivere: per esempio, "i nostri nonni avevano fatto buon uso della loro sofferenza, noi non altrettanto della nostra libertà".
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Messaggio Da Vargas Mer 09 Ott 2013, 10:06


Ribadisco che l'articolo di Cireno è bellissimo, come lo sono le tue chiose, Rom. Posso però permettermi di far notare a entrambi, con affetto, che la vostra nostalgia, letterariamente emozionante, nasconde un piccolo peccato originale, nel quale si cela proprio il mio invito a considerare migliore il mondo di oggi e forse di domani? La descrizione di Cireno è idilliaca, mi sarebbe piaciuto essere quel bambino, tuttavia quel mondo rurale, sublime e lento si basava anche sulla presenza dei famigli, sulle donne che sparecchiavano mentre gli uomini riposavano perché erano gli unici che lavoravano fuori di casa, sulla nonna che non partecipava al racconto perché aveva altro da fare. Il mondo di oggi è meno affascinante ma più giusto, l'uguaglianza è dolorosamente imperfetta ma meno di ieri e molto meno di l'altro ieri. Ovvio che ci siano meno campagne e più cemento: siamo di più e abbiamo tutti accesso a tutto, o quasi. Se togliessimo certi diritti e certi beni materiali alla metà della popolazione, avremmo sicuramente di nuovo più spazio, più racconti e più lucciole, ma ci piacerebbe solo se fossimo nella metà giusta del mondo. O meglio: non ci piacerebbe perché so benissimo che noi - Cireno, Rom, io - vogliamo sinceramente l'uguaglianza.


Ultima modifica di Vargas il Mer 09 Ott 2013, 10:19 - modificato 1 volta.
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Messaggio Da einrix Mer 09 Ott 2013, 10:08

La vita come ricerca della perfezione; come sia necessario cambiar corpo per passare ad una perfezione superiore, o se è necessario ricominciare, tornare qualche passo indietro nella scala dell'evoluzione della propria coscienza. In oriente, è stata inventata la reincarnazione, proprio a simboleggiare nell'individuo ciò che accade di fatto in tutti gli ecosistemi che competono in base alle circostanze ed alle scelte che compiono. Non può essere diverso neppure per noi, per l'ambiente in cui ci evolviamo e per le scelte che facciamo, affidando al progresso ed alla crescita la massima speranza di sopravvivenza di cui sia capaci. E' questa la ragione del progresso, di questo affinamento continuo della conoscenza verso le tecnologie della vita ed i sistemi di relazione che consentano ad enormi masse di individui, di sopravvivere. Noi viviamo in uno stato di quello sviluppo che non potrà che cessare con l'estinzione della specie.
 
 
E anche noi di fatto, ci arrovelliamo nel cercare di comprendere quale sia la via della virtù, la via sicura verso la sopravvivenza della specie in un Mondo decente, e siamo testimoni delle difficoltà che si incontrano quando si debba compiere una scelta, e di quali e quanti punti di vista quella scelta ne discenda. E non possiamo non comprendere che in fondo, siamo il prodotto proprio della storia, delle scelte del passato che pesano su di noi per la natura di cui siamo fatti. La giustizia e l'ingiustizia, il senso che diamo in termini di valore del giudizio, non sono che la determinazione di principi innati nelle comunità in cui viviamo, ed è difficile l'innovazione repentina, che non scardini un intero sistema che ha una inerzia etica enorme, e così, in tempi normali occorre procedere per piccoli passi, per innocue mutazioni, sino a quando il risultato, nel confronto con la realtà, sia sostenibile. E talvolta accade che l'insostenibilità produca il crollo improvviso, la catastrofe, che ci riporta ad una condizione minima sostenibile, dalla quale ripartire per un nuovo sussulto di sopravvivenza.
 
 
L'Africa? Che dire delle Americhe che scoprono all'improvviso le Caravelle che secondo il mito portano dall'Oceano gli Dei. I cavalli, le armature, le armi da fuoco, contro le piume e l'ossidiana. Ma quegli Dei sono alla ricerca di polvere d'oro, di manufatti luccicanti, da rapinare ancorché da rapire, come solo può fare la morte. Se fossero poi scomparsi, tornando nelle loro antiche terre sull'Olimpo, oggi, quella cicatrice si sarebbe rimarginata nel ricordo, e Inca, Maya, Aztechi vivrebbero la loro lenta evoluzione, senza quell'accelerazione che invece ha distrutto la loro idea dell'esistenza e del tempo.
Oggi, su quelle stesse terre vivono le antiche popolazioni, frammiste a quelle dei colonizzatori, ed hanno lo scopo fondamentale della sopravvivenza nelle nuove condizioni del Mondo globalizzato.
 
 
 
 
Generalizzando, e mi riferisco a Vargas, non si può dire della gente, che secoli fa vivesse abbrutita, senza istruzione, senza diritti, senza coscienza del proprio tempo. Qualunque uomo non può fare a meno d'assorbire in qualche misura, la cultura del proprio tempo. Un Popolo lo si identifica proprio per quello spirito che lo caratterizza, e se non avesse spirito-cultura, di fatto, non esisterebbe. E lo stesso vale per i diritti e le leggi, da quelle naturali alla legislazione che vige in ogni comunità. Anche la schiavitù crea i presupposti di uno stato di diritto, e lo schiavo è spesso il vinto che avrebbe potuto essere il vincitore, in uno scambio della posta sulla scommessa di una guerra combattuta proprio a quel fine: stabilire chi dovesse essere lo schiavo e chi il padrone, chi dovesse lavorare e produrre, e chi invece dovesse dedicarsi al Governo, alla difesa della Patria, alle Arti e la Cultura.
 
 
Lo stesso Marx può riflettere quelle cose, perché vive in quel secolo di trasformazioni. Se fosse vissuto al tempo di Pericle che si circondava di filosofi quali erano Protagora, Zenone di Elea e Anassagora, quali altri temi sociali si sarebbe posto? Dopo aver ricevuto una educazione greca del tempo, come avrebbe riflettuto sulle merci, sul lavoro, sullo stato della schiavitù e sugli Dei?
Certo, avrebbe comunque avuto quello spirito critico che lo ha caratterizzato, a partire da quell'hegelismo che lo aveva nutrito, e lo avrebbe incrociato con le condizioni sociali del suo tempo, entrando nelle dispute Socratiche al posto di qualche altro convitato. Non so però se di lui oggi si avrebbe maggior conoscenza di un Timeo.
 
 
In quanto al progresso in senso illuministico, esso rappresenta un altro esempio di come le risonanze del pensiero, esplodano quando vi sia energia sufficiente per farlo. Dopo il Medioevo, quando in Europa si preparano i fasti del Rinascimento, e si rimettono in discussione le basi della scienza, con Galileo e Newton, si arriva ad un seicento che fa la sintesi di tutto quello sviluppo, pronto a farlo esplodere proprio in quell'Illuminismo che prende forza, spinto dalle rivoluzioni che covavano sotto le ceneri di quegli stati totalitari monarchici che ne rappresentavano un freno. E l'esplosione è stata tanto più potente, quanto maggiore è stata la resistenza al rinnovamento - nella Francia di Luigi o nella Russia dello zarismo. Credo che se si indagasse, nel passato ed in altri contesti storici, si potrebbero riconoscere altre fasi di sviluppo iso-illuministe, accompagnate o meno da scoppi rivoluzionari, perché i terremoti hanno sempre una causa ed alla fine si manifestano sempre scuotendo le fondamenta.
 
 
Ma torniamo al mio concetto di democrazia, ripreso da Rom secondo quanto Rom ha capito di esso. Sono ben conscio della complessità del mondo, e so bene che non lo si può governare con una scienza della Web-Politik. Proprio per questo do ampio rilievo ai partiti politici ed al loro ruolo, che non può essere lo stesso di quello che hanno avuto nella resistenza al fascismo, nella guerra partigiana, o nella ricostruzione del paese, ma che deve essere adattato ai tempi - diciamo pure - moderni. Nella mia idea, quella minoranza di persone che devono governare il paese, devono essere scelte con metodo democratico, al fine di pervenire ad una scelta che consenta di avere l'uomo giusto al posto giusto. Poi discuteremo di chi sia l'uomo giusto al posto giusto e per fare che cosa, per quali interessi; per ora presupponiamo che il problema sia solo quello della scelta.
Ecco, fatta questa premessa, il resto del gioco è facile: «chi si crea un partito, per essere scelto, bara nel mio modello di democrazia».
 
 
Un partito deve nascere dalla libera associazione di uomini e donne, e si deve espandere mantenendo sempre quelle caratteristiche di uguaglianza per i diritti; ed in quanto ai doveri, essi dovranno essere commisurati al ruolo che si ricoprirà all'interno dell'organizzazione, o all'esterno, nell'ambito delle istituzioni. Il ruolo, non potrà essere sorteggiato, ma dovrà essere motivato da capacità e potenziale che si potranno anche affinare con il lavoro nel Partito e nelle Istituzioni, ma senza i quali non si potrà competere nella gara del fare. La scelta delle competenze in un partito, è per sua natura una scelta oculata, ed è un momento delicato nello sviluppo di tutta la classe politico-amministrativa che ne dovrà venir fuori. Cosa che fuori dai partiti avviene altrettanto bene solo nel mondo del lavoro, in quello delle professioni, nel campo della cultura. Ed anche quelle risorse potranno essere valorizzate (per fini amministrativi ed istituzionali), ma sempre passando nell'ambito dei partiti che devono essere in grado di omogeneizzarle e renderle coerenti con le necessità e gli scopi delle istituzioni. Insomma, anche la politica deve avere uno strumento di formazione della sua classe rivolta alla legislazione ed al governo, e rispettosa degli interessi che quel partito rappresenta in nome e per conto di chi vi è associato.
 
 
Ho scritto troppo, perciò mi fermo in attesa dei vostri commenti.
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Messaggio Da Vargas Mer 09 Ott 2013, 10:51

Caro Einrix, non vorrei deviare troppo il discorso, nato dal e sull'articolo di Rodotà proposto da Lara, spostandolo sui temi della filosofia politica e della storia comparata. Mi sento già in colpa per averlo fatto fin qui. Forse perché ho vissuto gran parte della mia vita di adulto in Africa e America Latina, mi accorgo di non avere la stessa vostra visione delle cose, quando si toccano certi temi. Faccio un esempio: quando pensiamo a noi, intesi come europei e italiani, non abbiamo il minimo dubbio sull'utilità e la giustezza del progresso socio-culturale. Nessuno di noi vorrebbe tornare al latifondo, al delitto d'onore, al matrimonio riparatore, alla concezione dello stupro come delitto contro la morale e non contro la persona. Lo stesso avviene sul piano culturale: non ci piacerebbe immaginarci nei vestiti tradizionali ciociari o calabresi, a ballare la tarantella e a seguire le processioni locali. Riteniamo ovvio che vi sia stata un'evoluzione, che possiamo scegliere se ascoltare Mozart, i Rolling Stones, Fabrizio de André o Leonard Cohen, se leggere Kafka o Silone o magari tutti e due. Quando invece pensiamo alle popolazioni precolombiane, le guardiamo prive di prospettiva storica, come un tutt'uno puro, un'età dell'oro cristallizzata e violentata dagli europei. Non è così. Certe società precolombiane erano orribili strutture feudali, non peggiori delle nostre, sia chiaro, ma non da rimpiangere. Gli Incas avevano invaso i regni precedenti, gli Aymara, la cultura Tiwanakota ed altre, sgozzando e massacrando né più né meno di come fecero poi le truppe di Pizarro. Dici che oggi quelle popolazioni vivono frammiste a quelle dei colonizzatori? Non è vero. Vivono individui, punto. Nessuno oggi si chiede se un abitante di Salerno sia un originario millenario o se sia il risultato di invasioni romane, saracene, normanne, longobarde, spagnole, angioine. Un abitante de La Paz avrà sangue inca, effetto di invasioni sul ceppo aymara, e forse spagnolo, forse giapponese, a causa delle emigrazioni di fine Ottocento, o magari italiano, per via delle nostre migrazioni di inizio Novecento. Gli stessi aymara non sono originari, erano arrivati dallo stretto di Bering, invadendo Abya Ayala, nome del continente americano, dalle originarie terre mongole o tibetane. Non c'è un occidente cattivo contro il resto del mondo, siamo tutti fatti del sangue degli invasi e degli invasori, dei migranti pacifici e di quelli violenti. Siamo individui, tutti diversi e tutti parenti. 
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Messaggio Da Vargas Mer 09 Ott 2013, 11:27

Per tornare al tema principale, ho già scritto quali dubbi mi susciti l'articolo di Rodotà, intellettuale che stimo. Vorrei perciò chiedere a Lara e Rom, che parteciperanno alla manifestazione del 12 ottobre in difesa della Costituzione, come ritengano che sia più opportuno, oggi, operare per fare le riforme istituzionali, di rango costituzionale o meno.


Ultima modifica di Vargas il Mer 09 Ott 2013, 13:41 - modificato 1 volta.
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Messaggio Da afam Mer 09 Ott 2013, 11:41

Discussione interessantissima. Grazie a tutti voi! E spero che il ragionamento, la discussione su cose essenziali della nostra vita inizi ad appartenere ad un numero sempre più elevato di esseri umani.Un articolo di Rodota' - Pagina 2 780668378
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Messaggio Da einrix Mer 09 Ott 2013, 13:16

Vargas: «Quando invece pensiamo alle popolazioni precolombiane, le guardiamo prive di prospettiva storica, come un tutt'uno puro, un'età dell'oro cristallizzata e violentata dagli europei»
 
 
Su questo non ci piove. Ciò che voglio dire è che la semplice presenza aliena obbliga a riconsiderare il proprio essere, la propria condizione sociale, la propria tecnologia. Se anche gli europei non avessero fatto alcunché di male, loro sarebbero stati distrutti ugualmente, per colpa della loro curiosità, della sete di sapere, che avrebbe avuto una fonte ricca a cui abbeverarsi, e per la loro civiltà sarebbe stata la fine lo stesso.
Come se davvero esistessero persone dotate di poteri magici, e ce li mostrassero, già solo per questo sarebbero diversi da noi e si porrebbe il problema dell'egemonia. Ma la piega non sarebbe molto diversa se ci rendessimo conto di possedere anche noi, analoghi poteri. Vorremmo poterli usare, e faremmo di tutto per riuscirci, ma nel contempo liquideremmo la serie di rapporti sociali che esistevano prima di quella comparsa aliena. Insomma, la conoscenza di nuove realtà è in se un fatto così eccezionale e sconvolgente dal distruggere antiche civiltà per ricostruirne di nuove tanto in fretta che poi queste ultime paiono inappropriate per il loro arruffare. E lo vediamo in America e in Africa nelle forme del passaggio dalla cultura antica a quel di un possibile futuro piovuto nel presente.
Per sviluppare davvero, ci vuole tempo, e per sviluppare in modo appropriato, occorre seguire le proprie tendenze, senza fidarsi ciecamente delle ricette di successo che vengono proposte. Lo vediamo anche in Iraq quanto sia difficile esportare modelli occidentali, essendo quell'habitat fisico, sociale e culturale molto diverso da quello che siamo abituati a vedere. Anche noi eravamo come loro in altre ere storiche, e per superarle abbiamo dovuto percorrere un cammino seguendo lo sviluppo delle società che mutavano in continuazione mezzi di produzione, e con essi i rapporti sociali. Non basta far vedere il nostro punto di arrivo e credere che ciò basti a risvegliare una nuova coscienza. Vi sono processi che non possono avvenire con salti culturali troppo vasti.
 
 
Siamo arrivati sin qui parlando di democrazia, delle forme in cui essa si può manifestare nella Atene di Aristofane, in Inghilterra o da noi, così questo discorso sul benchmarking delle istituzioni serve a capire come esse debbano essere adeguate, seppure nel rispetto di alcuni principi. E tra questi, i principali sono: una testa un voto, ma anche che quel voto spesso serve a determinare la scelta di una persona che dovrà avere la responsabilità di un compito, piuttosto che a prendere una decisione sotto particolari circostanze. Anzi, la decisione del voto è proprio finalizzato al chi per il che cosa, e ci penserà poi il chi al come, nell'ambito dei poteri che gli si saranno conferiti.
 
 
E risolto questo artificio, si comprende quanto e comunque abbiano titolarità i nostri rappresentanti, specie quelli scelti da me con le primarie, nell'assumersi la responsabilità di una modifica costituzionale su temi rilevanti. Anzi, i miei rappresentanti, scelti sulla base di sicuri criteri di democrazia sono titolati a garantire anche quanti assumano in alleanza con loro, la decisione di quelle scelte.
E poi, non si è detto che comunque saremo noi, i cittadini depositari del diritto di dire l'ultima parola sulle modifiche costituzionali? Rodotà ignora forse questo, o diffida pure del nostro ultimo giudizio?
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Messaggio Da cireno Mer 09 Ott 2013, 16:13

Rom ha scritto:E' la tua personale versione della Scomparsa delle lucciole di pasoliniana memoria, o del Ragazzo della via Gluk, che avevano descritto il fenomeno con qualche decennio di anticipo, accompagnati già allora dalle pronte accuse di passatismo e, nel caso di Pasolini, perfino di una latente nostalgia del fascismo.
Io ho, avrei, invece la voglia, direi perfino la necessità, di cercare oggi quelle lucciole proprio nel tempo in cui Pasolini e Celentano (o Beretta, l'autore del testo) scrivevano e cantavano, e noi ascoltavamo.
Quando io, tu e mille altri ragazzi come noi trascorrevamo le nostre giornate di campagna con i vecchi contadini, con le "nonnine" che sapevano di fumo e di mele conservate in cantina, eravamo già altro da loro. Eravamo, e ci sentivamo, sul crinale di una collina dal quale potevamo guardare un mondo antico da una parte e guardare, e già vivere, un mondo nuovo e diverso dall'altra.
Appena pochi anni dopo quell'infanzia, adolescenti, eravamo gli attori protagonisti di un momento della storia in cui tutto sopravviveva e tutto era nuovo: la tecnologia e le lucciole, gli odori della campagna e quelli della benzina, della plastica nelle automobili appena ritirate dal concessionario e dei soffritti delle nostre madri casalinghe, le brevi ore della televisione e i lunghi pomeriggi sui prati della periferia a giocare a pallone, o a leggere libri.
Era tutto attuale, e pure, se ti ricordi, eravamo intimamente, serenamente convinti che quei nonni e quelle lucciole fossero comunque una parte di noi della quale ci stavamo liberando, in qualche caso anche con rabbia o con la superbia del cittadino verso tutto ciò che è campagnolo.
Potevamo permetterci quella superbia, perché del mondo di cui ci stavamo liberando avevamo preso l'idillio, senza accollarci tutta la sofferenza e l'immane fatica di vivere, le umiliazioni, le sanguinose sottomissioni, che avevano reso le rughe di quei nonni stagionate come le corteccie degli alberi e allo stesso tempo così amorevoli.

Le lucciole che oggi dobbiamo cercare siamo noi, o meglio quella parte di noi che a quel tempo è stata, per un breve momento, consapevole di tutte le dimensioni possibili, eredi e contemporanei di tutti i passati, da quelli vissuti nelle campagne a quelli rappresentati dai muri e dalle strade della città, a quelli appresi sui libri o dai racconti dei vecchi, o solo immaginati nei momenti di silenzio.
Se riusciamo a trovare questa parte di noi, potremo se non altro mettere il titolo a un libro ancora tutto da scrivere: per esempio, "i nostri nonni avevano fatto buon uso della loro sofferenza, noi non altrettanto della nostra libertà".
questo pezzo me lo conserverò, caro ROM, perchè non è solo molto bello, ma vero, nel senso che entra nella verità come un coltello nella carne, e fa ugualmente male.
Rimango, sono del Cancro bisogna capirmi, nostalgico di quel tempo, perfino dei geloni che mi torturava mani e piedi. Una nostalgia che spesso diventa malinconia...che posso farci?
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Messaggio Da cireno Mer 09 Ott 2013, 16:41

Vargas ha scritto:E sai meglio di me, Cireno, meglio di me, che se i nostri bambini si ammalano di bronchite e sinusite, i bambini di centocinquant'anni fa si ammalavano di silicosi ai polmoni nelle miniere, o morivano nei campi, nelle belle commoventi campagne, senza cemento, senza inquinamento, ma tanto tanto belle per i giovin signori che le godevano cavalcando accanto alle donzelle, declamando i versi di Keats, mentre i figli dei contadini strisciavano tra le piante e gli animali da soma. Ma viva la bronchite e la sinusite, dai.

Hai ragione, è vero, i bambini di allora (però non credo tu abbia fatto in tempo a vederli io invece si) morivano di malattie per le quali oggi basterebbe uno sciroppo omeopatico. E’ vero, però la vita era assolutamente diversa, e anche la morte di un figlio piccolo veniva vista con una rassegnazione che rasentava il fatalismo: la si accettava, come a rendersi conto che la vita voleva che a sopravvivere fossero solo i più forti.
Apparentemente oggi si vive meglio, poi non importa se invece di morire di silicosi o di “volere di Dio” si muore avvelenati dal fumo delle acciaierie non reso innocuo dall’ egoismo del padrone, e pazienza se i signori industriali appoggiandosi alle varie camorre avvelenano i terreni con scorie indigeribili per la terra. Si moriva per “volontà di Dio” mentre oggi si muore guidando un camion per diciotto ore di seguito, magari facendosi aiutare da quella polvere bianca che ti tiene sveglio, o cercando di attraversare un mare ostile per approdare a una terra dove magari il pane si possa mangiare tutti i giorni.
E lasciamo stare il cemento, che ci vuole per diana, per soddisfare tutti i bisogni di una accresciuta popolazione, che poi nel cemento ci mettano anche l’amianto cancerogeno oppure il padrone ci fa mettere troppa sabbia così da ucciderci per una lieve scossa di terremoto mentre stiamo sui libri in una scuola, lasciamo perdere, e non pensiamo nemmeno ai fiumi avvelenati, alle coltivazioni avvelenate dalla chimica, ai mari dove centinaia di specie muoiono per cento motivi legati al nostro progresso. Lasciamo perdere quei maledetti ecologisti che ci spiegano che il mondo fra meno di 50 anni non avrà più acqua da bere, e energia per scaldarsi quando fa freddo. 
Lasciamo perdere, in qualche modo il progresso si deve anche pagare……….. 
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Messaggio Da Rom Mer 09 Ott 2013, 17:44

Vargas ha scritto:
Sono d'accordo con le tue premesse, Rom, un po' meno sulle conclusioni. Non sono affatto convinto che il mondo non sia mai stato in mano a poche persone come oggi. In mano a chi ha il potere economico, culturale, dell'informazione, oltre che militare, questo sì, ma che sia una cupola limitata di persone è una semplificazione che non mi convince.


Non si tratta di una cupola, né di potere esclusivamente politico. Mi riferivo, come ho scritto, al potere di condizionare la nostra vita, quello che vediamo e quello che respiriamo, le nostre scelte individuali: le industrie, i designer, i gangli operativi che oggi hanno il potere di cambiare, nel volgere di poco tempo, sia il mondo materiale sia quello interiore. La politica, anzi, è del tutto subordinata a questa sfera del potere: come una volta dissi per la scuola, i problemi della politica vanno cercati tutti fuori dalla politica.
E ovvamente non è una questione dell'oggi strettamente inteso, perché l'attualità in questo senso è quella segnata dall'evolversi della società industriale e post-industriale nel corso di ormai due secoli: altera manu fert lapidem, panem ostentat altera, vale a dire che il progresso si paga e che la contabilità tra costi e benefici è sempre aperta.
Nella fattispecie, è cosa nota e indiscutibile che la sicurezza, per esempio, si paga con la rinuncia alla libertà, creando così un nuovo concetto di libertà, la liberazione dalla fame con la sottomissione alle regole di un sistema socio-economico che ottimizza le risorse.
Non ha senso schierarsi per il panem o per il lapidem, o meglio, ha senso solo se seguiamo la logica del servo rispetto a un padrone che tiene entrambi nelle mani e alternativamente ci promette e ci minaccia: in realtà il pane e la pietra li teniamo noi nelle mani, siamo noi a procuraceli e a dispensarli. La politica è tutta qua, non tanto nel fare il conto del pane o del suo costo, lamentandosene, ma nell'essere padroni e coscienti dell'uno e dell'altro, cioè della nostra vita.

Per rispondere alle altre tue obiezioni.

La costituzione. Io non ne sono mai stato un ammiratore totale, perché ritengo che abbia il vizio, in molte parti, di demandare alla legge ordinaria la realizzazione dei suoi principi, di fatto offrendo la possibilità di vanificarli. Quindi, ci sarebbe in teoria la necessità di modificarla, per riparare a questo difetto, oltre che per adeguarla qua e là secondo l'esperinza fatta in sessant'anni di repubblica.
Ma non adesso, non da parte di questa classe politica, non da questo parlamento: c'è bisogno di spiegare il perché?

La questione del "buon tempo andato".
Probabilmente mi hai letto con un po' di fretta: ho detto le stesse cose che dici tu. Solo che non le ho contrapposte alla visione di Cireno - e dovrei anche qui citare il latinorum di cui sopra. Dobbiamo liberarci dalla tentazione di vedere sempre le cose secondo una procedura duale, io credo.

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Messaggio Da Vargas Mer 09 Ott 2013, 18:17


Caro Rom,
Sul bel tempo andato avevo compreso, rispondevo infatti più a Cireno, ti citavo un po' di sfuggita, più che altro sulla nostalgia. Ma anche con Cireno la distanza non è poi così grande, io stesso ho più volte detto che stavamo accentuando le differenze per amor di dialettica, ma che occorre sempre tener presenti le sfumature, ovvero quel che giustamente definisci andare oltre il duale.
Sul controllo della politica, continuo a non essere d'accordo: le industrie, i designer, i gangli operativi sono comunque più diffusi oggi di quanto mai siano stati in passato. Ne sono convinto. 


Ultima modifica di Vargas il Mer 09 Ott 2013, 18:18 - modificato 1 volta.
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Messaggio Da cireno Gio 10 Ott 2013, 06:46

Rom ha scritto:E' la tua personale versione della Scomparsa delle lucciole di pasoliniana memoria, o del Ragazzo della via Gluk, che avevano descritto il fenomeno con qualche decennio di anticipo, accompagnati già allora dalle pronte accuse di passatismo e, nel caso di Pasolini, perfino di una latente nostalgia del fascismo.
Io ho, avrei, invece la voglia, direi perfino la necessità, di cercare oggi quelle lucciole proprio nel tempo in cui Pasolini e Celentano (o Beretta, l'autore del testo) scrivevano e cantavano, e noi ascoltavamo.
Quando io, tu e mille altri ragazzi come noi trascorrevamo le nostre giornate di campagna con i vecchi contadini, con le "nonnine" che sapevano di fumo e di mele conservate in cantina, eravamo già altro da loro. Eravamo, e ci sentivamo, sul crinale di una collina dal quale potevamo guardare un mondo antico da una parte e guardare, e già vivere, un mondo nuovo e diverso dall'altra.
Appena pochi anni dopo quell'infanzia, adolescenti, eravamo gli attori protagonisti di un momento della storia in cui tutto sopravviveva e tutto era nuovo: la tecnologia e le lucciole, gli odori della campagna e quelli della benzina, della plastica nelle automobili appena ritirate dal concessionario e dei soffritti delle nostre madri casalinghe, le brevi ore della televisione e i lunghi pomeriggi sui prati della periferia a giocare a pallone, o a leggere libri.
Era tutto attuale, e pure, se ti ricordi, eravamo intimamente, serenamente convinti che quei nonni e quelle lucciole fossero comunque una parte di noi della quale ci stavamo liberando, in qualche caso anche con rabbia o con la superbia del cittadino verso tutto ciò che è campagnolo.
Potevamo permetterci quella superbia, perché del mondo di cui ci stavamo liberando avevamo preso l'idillio, senza accollarci tutta la sofferenza e l'immane fatica di vivere, le umiliazioni, le sanguinose sottomissioni, che avevano reso le rughe di quei nonni stagionate come le corteccie degli alberi e allo stesso tempo così amorevoli.

Le lucciole che oggi dobbiamo cercare siamo noi, o meglio quella parte di noi che a quel tempo è stata, per un breve momento, consapevole di tutte le dimensioni possibili, eredi e contemporanei di tutti i passati, da quelli vissuti nelle campagne a quelli rappresentati dai muri e dalle strade della città, a quelli appresi sui libri o dai racconti dei vecchi, o solo immaginati nei momenti di silenzio.
Se riusciamo a trovare questa parte di noi, potremo se non altro mettere il titolo a un libro ancora tutto da scrivere: per esempio, "i nostri nonni avevano fatto buon uso della loro sofferenza, noi non altrettanto della nostra libertà".
Ricordo la polemica sul pezzo di Pasolini: lui rimpiange il passato fascista, il tempo in cui c’erano le lucciole, si disse, per odio al nuovo potere democristiano che ha scalzato quello fascista. Perché, sempre dissero i contestatori dell’articolo di PPP, le lucciole non sono mai scomparse ecc.ecc. Pasolini era un genio e di norma i geni fanno paura, quindi si osteggiano nella sostanza magari lodandoli nella forma.
Molto più vicine al mio pensiero sono le parole di Celentano, fra l’altro sono cresciuto non lontano da via Gluck, in una zona dove c’erano piante e piante e perfino un laghetto dove si andava a fingere di pescare. Oggi quelle piante sono sparite e con loro il laghetto, e ci sono case, fra l’altro brutte, e case e ancora case.

Le nonnine che sanno di fumo e di mele non ci sono più perché non ci sono più i camini che fanno a volte fumo ma nemmeno ci sono le nonnine perché oggi una nonna di 80 anni, guardare alcune famose attrici del passato, non sono affatto vecchie ma peggio, sono delle vecchie mascherate malamente da ragazze: la dignità e la bellezza della mia bellissima nonna con i capelli bianchissimi sono affogate da botulino e chirurgia plastica.

Le lucciole siamo noi, dici?  Dici che quei nonni e quel modo di vivere erano comunque una parte di noi della quale volevamo liberarci? E’ vero, perché è naturale che sia così, però io che sono stato testimone di quella liberazione, che sono stato attore di quella “trasformazione” non posso non rendermi conto che quel mondo, faticoso, duro, perfino crudele in certe occasioni, rappresentava una società molto, molto meno pericolosa per la nostra stessa sopravvivenza che non quella così progredita di oggi. Ed è per questo, solo per questo, nostalgia, che fa parte del mio carattere, di quel tempo a parte, che io non riesco a convincermi delle certezze di Vargas.
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Messaggio Da Rom Gio 10 Ott 2013, 09:15

cireno ha scritto:
E' un problema di equilibrio.
Quando scrivevo il post, mi sono soffermato a pensare un momento all'immagine che mi veniva spontanea: il "crinale" era corretto o era soltanto un termine suggestivo, una metafora come un'altra?
L'ho lasciato, mi ha convinto, soprattutto perché mi sono accorto che corrispondeva perfettamente a un senso del discorso che andava al di là dell'efficacia immediata.
La cresta di un monte è una linea sottile sulla quale è quasi impossibile soffermarsi a lungo, o almeno abbastanza a lungo e abbastanza larghi da sentirla come casa nostra e poterci vivere: stare lì è la cosa più simile a volare, rimanendo coi piedi per terra.
Soprattutto, è un punto di equilibrio, destinato ad essere un ricordo non appena smette di essere una promessa.
Noi - noi come generazione - siamo rimasti lì e ce ne accorgiamo di più a mano a mano che passa il tempo, coi piedi saldamente poggiati sulle nuvole, come disse qualcuno, dato che quel crinale è diventato da subito un ricordo, un'astrazione impossibile da condividere con gli altri e perfino tra noi, che ne abbiamo una percezione irrimediabilmente soggettiva.

Ma il fenomeno dell'equilibrio instabile rimane, per tutti, lasciando da parte le nuvole.
A quelli che rimpiangono i bei tempi andati e che si lamentano della puzza e dell'inquinamento, è stato fatto presente che, se a Londra ogni abitante oggi avesse un cavallo, le strade della città sarebbero coperte da uno strato di cacca di cavallo alta un metro e mezzo. Quindi, la cosa funzionava, allora, solo perché a cavallo ci andava l'uno per cento dei cittadini di Londra.
Quando sono apparse le prime automobili, la possibilità di produrle industrialmente, l'utilità e le potenzialità hanno fatto giustamente pensare che corrispondessero effettivamente alle esigenze di una società più democratica e più felice: bisognava "soltanto" capire a che punto fermarsi. Perfezionare la Ford T, renderla più ampia e sicura, senza arrivare, per esempio, alle Cadillac e Buick grosse come panzer, che consumavano una spropositata quantità di materie prime e carburante.
Se noi - io, tu, noi coi piedi sulle nuvole, intendo - diciamo oggi che ci basterebbero le nostre Mini e le nostre R4, o magari una Lancia Appia o una Simca 1300, debitamente aggiornate nella sicurezza, sembriamo "nostalgici": certo, le city car di adesso sono complessivamente migliori delle berline di allora, ma ne abbiamo davvero bisogno, a fronte del loro costo diretto e indiretto?
Ho fatto l'esempio delle automobili, piuttosto grossolano, ma potremmo farne tanti altri.
Le leggi di mercato, che potevano essere fatte valere nell'era industriale con una relativa credibilità, in quella post-industriale non valgono più, come meccanismo che regola l'ecologia sociale e tecnologica: i punti di equilibrio, che in precdenza non erano cercati ma in qualche modo si stabilivano da se stessi, per ragioni di convenienza, adesso sembrano essere un categoria obsoleta, perché la tecnologia ha sciolto la convenienza dai vincoli della materialità.

E poi, che c'entra la nostalgia col fatto che hanno piazzato dei lampioni ai vapori di zolfo qui, in piena campagna, che fanno una luce spettrale e di notte impediscono di vedere le stelle, o anche semplicemente di stare in un normalissimo buio?
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Messaggio Da cireno Gio 10 Ott 2013, 15:06

Rom ha scritto:
E poi, che c'entra la nostalgia col fatto che hanno piazzato dei lampioni ai vapori di zolfo qui, in piena campagna, che fanno una luce spettrale e di notte impediscono di vedere le stelle, o anche semplicemente di stare in un normalissimo buio?
Ecco cosa mi ricorda il cielo stellato di quando quelle orribile lampade ai vapori zolfo ancora non deturpavano il buio delle notti. Questa è una storia vera che ha segnato la mia adolescenza


RABAI
 
Non so perché lo chiamassero Rabai, lui che si chiamava Pietro, ma in Emilia dare un soprannome alle persone è  un’abitudine consolidata.
Rabai era un mio amico, aveva quattordici anni come me,  più piccolo di me che ero uno spilungone tutto ossa, aveva due grandi occhi neri, capelli ugualmente neri mai pettinati, parlava poco, forse anche perché parlavo sempre io, lui si limitava a annuire con la testa  o a fare mmmm a quello che dicevo io. Eravamo davvero amici,  e la sera, quando il lavoro dei campi era finito,  ci si vedeva, si stava insieme, e quasi sempre si finiva sdraiati in un prato a guardare il grande spettacolo del cielo stellato. Perchè Rabai amava il cielo stellato, sapeva tutto, o almeno pensava di sapere tutto delle stelle, quella è Sirio, quella Orione, guarda Ricu l’Orsa Maggiore, il Carro e così via. Rabai non riusciva a capacitarsi di come le stelle stessero là sopra-cosa le tiene attaccate là-diceva ogni tanto tra sé e sé.
Faceva lavoretti nei campi, per gli altri, quelli che avevano fattoria. Suo padre aveva avuto quattro femmine in sei anni e aveva continuato a ingravidare la moglie fino a quando era nato il maschio. Faceva lavoretti ma non nei campi dei miei zii-quello è matto-dicevano-e tu dovresti stargli alla larga. Ma Rabai era un mio amico e la sera, quando sentivo il suo fischio dalla stradina dietro la casa, uscivo e andavamo insieme a guardare le stelle.
Una sera decidemmo di fare una camminata lungo l’Arda, che è un piccolo fiume che passa attraverso il paese dopo aver costeggiato campi di diverse culture. Prima di arrivare al ponte del paese l’Arda si allargava in una specie di stagnone, largo una ventina di metri ma poco profondo, forse cinquanta centimetri.  Guarda-sentii Rabai-guarda le stelle nell’acqua. Effettivamente lo stagnone rifletteva il cielo e lo riproduceva tal quale: era bello da vedere. Vedi Rabai-dissi io-è inutile stare sdraiati nel prato con le formiche che ti salgano lungo le gambe, veniamo qui e vediamo lo stesso il cielo. Ma non è la stessa roba-rispose lui.
Un  giorno mentre si mangiava mio zio, quello più vecchio, mi proibì assolutamente di vedere ancora Rabai. Volevo sapere il perché ma il dito alzato dello zio e la faccia scura mi convinsero che doveva essere così.
Passò del tempo e Rabai non lo vidi più nemmeno durante il giorno, come fosse sparito, e questo per giorni e giorni. Seppi poi che lo avevano portato a Piacenza nella caserma dei carabinieri perché….in verità non seppi mai il perché.
Passarono i giorni e una mattina vidi mia zia avvicinarsi a me mentre stavo fuori,  sotto il portico, con la tazza di latte in mano. Rabai l'è mort, mi disse, e non aggiunse altro.  Morto, come morto? C’era la guerra e di gente che moriva ogni giorno erano piene le chiacchiere della gente, ma Rabai, perché Rabai era morto?
L’avevano trovato nello stagnone, la mattina all’alba, dei contadini che risalendo il fiume andavano verso il lavoro. Morto, annegato a testa in giù, nell’acqua  ancora piena di stelle. In cinquanta centimetri d’acqua.
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Messaggio Da Lara Gio 10 Ott 2013, 17:30

Vargas ha scritto:Per tornare al tema principale, ho già scritto quali dubbi mi susciti l'articolo di Rodotà, intellettuale che stimo. Vorrei perciò chiedere a Lara e Rom, che parteciperanno alla manifestazione del 12 ottobre in difesa della Costituzione, come ritengano che sia più opportuno, oggi, operare per fare le riforme istituzionali, di rango costituzionale o meno.
Intanto, consiglio di aprire un altro thread, magari con un titolo tipo “lucciole e lanterne”  …Un articolo di Rodota' - Pagina 2 292285641 
Siamo fortunati che in questo forum non ci sia nessuno che ci bacchetta per gli OT.
 
La Costituzione, dicevamo.
Non è che io pensi che sia intoccabile, ma è francamente ora di finirla di usarla come un diversivo, l’ingrediente principe di un’agenda dell’immobilismo che adombra riforme epocali per impedire di rivedere anche solo una leggina di comodo passata nelle precedenti legislature.
Non è l’architettura costituzionale che non ha funzionato in Italia, anzi, è l’unica cosa che ha funzionato.
Proprio perché difesa da complesse norme di modifica, che ora si vogliono  aggirare.
L’Italia è una repubblica fondata sull’espediente, e l’azione quotidiana della nostra classe politica ne illustra la natura con grande efficacia.
La mattina si infila un emendamento sui pagamenti della TAV nella legge sul femminicidio, e il pomeriggio si riprende l’alata discussione sul senato delle Regioni. Questi  rigorosi legislatori, capaci di passare dal gioco delle tre carte alla Carta fondamentale dello stato.
La distrazione di massa su temi marginali presentati come emergenziali sono un “must” nei regimi votati alla sola sopravvivenza, o  alla “stabilità” come si dice ora, mentre si  intrecciano danze propiziatorie  alla benevolenza dei mercati.
Io non ho figurine da preservare, stimo il prof Rodotà per la sua indipendenza di giudizio, ma non intendo elevare altarini né a lui né  alla Costituzione.
Penso solo che un minimo di rigore intellettuale possa costituire la premessa per un mandato fiduciario che ormai molti sono tentati di sospendere per manifesta infedeltà di rappresentanza.
Infine, è penoso ripercorrere con tanta pervicacia il balletto dei veti e controveti sul presidenzialismo o sull’ autonomia dell’azione giudiziaria, sapendo già che, ovemai si accordassero, sarà per il peggio, e occorrerà battagliare per ripristinare gli antichi e migliori equilibri.
Ce lo possiamo permettere? Abbiamo bisogno di un governo serio, non di una revisione costituzionale.
E non ditemi che si può fare l’uno e l’altro, perché succederà che non si farà né l’uno né l’altro, ma avranno tutti dato l’idea di essersi prodigati, e che l’insuccesso sarà dipeso dalla vastità e dalla importanza del tema. 
Ecco come si fa a non governare un paese per decenni, e ad atteggiarsi a classe dirigente.
 Con un dito si indica la luna, mentre con l’altro si ruba la marmellata.
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Messaggio Da cireno Gio 10 Ott 2013, 18:56

Hai ragione, siamo andati a ruota libera. Forse anche perchè l'articolo di Rodotà è stato praticamente modificato dall'autore. in qualche maniera. 
E comunque è sempre difficile stare sul tema come dei treni sui binari, sai com'è, una parola tira l'altra............
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Messaggio Da einrix Gio 10 Ott 2013, 19:21

Bastava che avessimo dato la maggioranza a Bersani, cara Laura, e la musica suonata era di sicuro diversa. Gli italiani hanno voluto bocciare il PD e Bersani. Si tengano il governo Letta. E gli va ancora bene, perché avrebbero meritato un governo Berlusconi, o magari uno Grillo, con Rodotà Presidente. E se ancora insistono, si beccano pure un governo Renzi. E così siamo a posto!
Ad ogni modo, in questo piangersi addosso, torna sempre a fagiolo il Gramsci di prima.
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Messaggio Da Lara Gio 10 Ott 2013, 20:36

einrix ha scritto:Bastava che avessimo dato la maggioranza a Bersani, cara Laura, e la musica suonata era di sicuro diversa. Gli italiani hanno voluto bocciare il PD e Bersani. Si tengano il governo Letta. E gli va ancora bene, perché avrebbero meritato un governo Berlusconi, o magari uno Grillo, con Rodotà Presidente. E se ancora insistono, si beccano pure un governo Renzi. E così siamo a posto!
Ad ogni modo, in questo piangersi addosso, torna sempre a fagiolo il Gramsci di prima.
 E no, caro Einrix, se gli italiani votano PD e si beccano Renzi è colpa dell’offerta del PD, tragicamente limitata allo spocchioso enfant prodige fiorentino. Gli italiani che hanno votato Bersani non avevano in mente Letta, ma ce l’avevano quei 101 del PD che hanno sistematicamente boicottato ogni tentativo di Bersani verso altre direzioni. Non puoi lamentarti della mancanza di lungimiranza dell’elettorato e passare sotto silenzio il tradimento di rappresentanza perpetrato da quei piddini così saggiamente votati  da un ingenuo elettorato.
Lo stesso Bersani paventava di vincere col 51%, rassicurandoci sul fatto che si sarebbe comunque comportato come se avesse ricevuto solo il 49%, in modo da imbarcare senza fallo i montiani, il faro luminoso da indicare ai mercati finanziari di tutto il mondo.
Gli Italiani che hanno votato comunque il PD sono stati preventivamente avvertiti in tutti i modi che non si sarebbe mai perseguita una politica autonoma, e che si sarebbero cercati ostacoli e impedimenti a costo di inventarseli.
La tua fiducia nella linea ufficiale del partito è commovente, se solo questa linea riuscisse a rimanere ferma nell’arco di sole 24 ore, ed è solo sulla base di questa speranza che continuiamo a votare PD, nonostante che il raggiro cominci ad assumere proporzioni e durate intollerabili anche per un elettorato paziente come quello del PD.
La sensazione livida è che la musica non sarebbe affatto stata diversa, e che i colpevoli non stiano da questa parte del seggio elettorale.
 
P.S.:  Lara. E’ solo un  piccolo nick, ma non va confuso con Laura, dal sapore petrarchesco.  Lara ha una connotazione slava che, in qualche modo contorto, mi assomiglia.
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Messaggio Da Vargas Ven 11 Ott 2013, 08:13


Cara Lara, 

  1. Anch’io penso che sotto molti punti di vista l’architettura costituzionale abbia funzionato in Italia: un po’ meno tuttavia nei delicati rapporti tra poteri dello stato, tra parlamento e governo, tra le due camere, tra stato centrale, regioni ed enti locali. Sono aspetti non da poco, per quanto numericamente confinati a una decina su centotrentanove articoli.




  2. È  tuttavia altrettanto vero che le modifiche necessarie non debbano essere fatte approfittando di scorciatoie casuali o episodiche, ovvero della cultura dell’espediente che giustamente stigmatizzi.




  3. Quando però scrivi «La mattina si infila un emendamento sui pagamenti della TAV nella legge sul femminicidio, e il pomeriggio si riprende l’alata discussione sul senato delle Regioni», non stai solo denunciando la politica dell’espediente, stai rilevando l’esistenza di una struttura istituzionale – legata proprio a quella decina di articoli e a svariate leggi ordinarie – che oggi non funziona, o forse non ha mai funzionato, e che bisogna comunque correggere prima possibile. Come ci insegna il padre Dante, nel lodare Giustiniano che d’entro le leggi trasse il troppo e ‘l vano, sono anche le norme e il modo in cui sono fatte, scritte e raccolte ad influenzare la psicologia collettiva, il carattere di un popolo, o se vuoi di una classe politica e di un corpo tecnico. Se i meccanismi normativi sono farraginosi, favoriranno il tipo di atteggiamento che tu giustamente deprechi.




  4. Perché allora dici che certi temi sono marginali ma presentati come emergenziali per creare una distrazione di massa? Posso capire che non ti fidi di chi oggi dovesse affrontarli, ma non sono comunque questioni di contorno, sono invece fondamentali. Siamo sciuri che “governo serio” e “revisione costituzionale” siano concetti alternativi? Non è che senza l’una difficilmente avremo l’altro?




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Messaggio Da Lara Ven 11 Ott 2013, 14:09

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1. L’architettura costituzionale è certamente perfettibile, caro Vargas, ma non si può certo affermare che sia stata la scelta di una democrazia parlamentare, piuttosto che del presidenzialismo, o del bicameralismo perfetto piuttosto che di un’unica camera legislativa a causare all’Italia malgoverno e immobilismo. Prendersela con la cornice è la tentazione di tutti i pessimi pittori, che cercano di far spostare lo sguardo più in là, dove non si possa rintracciare la loro unica responsabilità di autori.


2.  Si possono fare ottime cose anche con pessimi strumenti, ma se si vogliono adattare gli strumenti alla propria incapacità allora si rischia di vanificare anche quelli, trasformandoli in utili ferri vecchi da bricolage, del tutto simili ad arnesi professionali, ma inaffidabili come le mani che li gestiranno.


3. Anche la nostra Costituzione demanda troppo alla legge ordinaria, vanificando spesso principi fondamentali di garanzia e di libertà, quindi occorrerebbe intervenire semmai ad escludere interventi normativi che regolino certi diritti, tradendo lo spirito costituzionale.
Quello stesso spirito costituzionale che prevede che si difendano i diritti acquisiti, ma non i privilegi acquisiti che, in quanto tali, ledono la parità di trattamento.
 E la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli che impediscono lo sviluppo armonico di ciascun cittadino. La vexata quaestio delle pensioni d’oro elargite dallo stato sono un esempio lampante di disparità di trattamento che nessun regolamento interno o accordo retributivo possono sanare, poiché si è costruito un privilegio incompatibile con lo spirito di parità di trattamento da parte dello stato. E’ incostituzionale, checché ne dica la Corte costituzionale, pericolosamente in conflitto di interessi.
Solo negli antichi regimi, il monarca elargiva liberamente privilegi e prebende per acquistarsi la lealtà dei vassalli, mentre i diritti universali erano ridotti all’osso.
Oggi ci sono le costituzioni ad impedire che avvenga la svendita delle ricchezze di tutti alle caste di regime, ma occorre vigilare, perché anche il Parlamento si è regalato il vitalizio, sancendo la sua “diversità”.
Poi, si sentono pontificare ministri e deputati sulla cialtroneria dei cittadini “fannulloni”, sempre tentati di approfittare di indennità di disoccupazione o pensioni di invalidità poco più che virtuali.
Anche la ritenuta alla fonte perpetrata sui redditi da lavoro dipendente è anticostituzionale perché consente al resto della popolazione il pagamento differito e volontario delle imposte, con le conseguenze di evasione che conosciamo. O si mettono tutti nelle stesse condizioni, o è intollerabile che metà del paese venga tartassato per consentire all’altra metà di evadere con larghezza.
Sia il sistema giudiziario che il sistema fiscale sono stati concepiti per essere maneggiati con astuzia dai ricchi, potenti e furbi. E non serve una revisione costituzionale per impedirlo, anzi il governo che lo facesse si inserirebbe nello spirito di salvaguardia della Costituzione.
 
4. Sull’ultimo punto, ti rispondo che la Costituzione non può nulla rispetto ai danni perpetrati con una pletora di leggi ordinarie e che l’emergenza riguarda l’amministrazione ordinaria dello stato, la crisi economica, il deficit di rappresentanza , non quanti deputati si eleggono, ma come li si eleggono, tutta materia di governo e non di organizzazione istituzionale. E’ notizia di ieri di un deputato PD, Giachetti, che ha iniziato uno sciopero della fame perché non si riesce a far approvare una legge elettorale diversa dal Porcellum. Un deputato del partito di governo, inserito nei meccanismi del potere vigente, non trova eco in un consesso tutto teoricamente unanime nella volontà di cambiamento di quella legge. Se gli procurassimo una sola Camera, di cento deputati scarsi, e un Presidente con poteri allargati, pensi che la musica cambierebbe?
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Messaggio Da Vargas Ven 11 Ott 2013, 15:01

Mi sembrano tutte cose molto giuste, Lara: ma allora? Quid agendum?
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Messaggio Da einrix Ven 11 Ott 2013, 15:04

"E no, caro Einrix, se gli italiani votano PD e si beccano Renzi è colpa dell’offerta del PD"
 
Anche nel PD c'è l'Italia che a me fa un po schifo, ma faccio la mia parte nel PD perché quella parte non prevalga in questa ciambella di salvataggio per l'Italia.
 
Per il resto, Lara, stravolgi le cose. I 101 non c'entrano una fava con la sconfitta di Bersani. La sconfitta c'è e basta, ed è a carico degli elettori, compresi quelli che hanno votato per quella specie di magistrato che ha sottratto mezzo milione di voti al centro sinistra, per darli a Di Pietro. Il resto è solo uno dei possibili avvenimenti che ci possono essere nella vita politica. Bastava che Berlusconi avesse detto no al governo delle larghe intese (ohps! anche io l'ho chiamato delle larghe intese), e non escludo neppure che ci potesse essere un diverso governo, magari con una spaccatura nel PdL o una nel M5S.
Il governo Letta salta fuori perché il PD alla camera ha la maggioranza assoluta, altrimenti non ci sarebbe stato nessun governo Letta.
 
Ad ogni modo questa è la dimostrazione che si cerca sempre di rigirare la frittata, quando si è partiti col piede sbagliato. E ammettere che le riforme costituzionali di cui si parla, siano giuste, è un rospo che a questo punto è difficile da tenersi in tasca, perché in ogni modo cerca di saltar fuori. Non è un problema mio.
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