Ogni giorno che passa è un giorno perso
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Ogni giorno che passa è un giorno perso
Posto un interessante articolo di Revelli, sul quale sarebbe opportuno riflettere (magari anche prima di digitare...)
Ci sono molti spunti interessanti sui quali magari si potrebbe discutere specie se non ci si divide fra chi deve continuare a denunciare tutte le malefatte del PD e chi comunque sia ne deve difendere le scelte...
Ogni giorno che passa è perso – Marco Revelli (Il Manifesto)
19/7/2013
La crisi italiana si avvita, con velocità ogni giorno maggiore, trascinata dal doppio mulinello che travaglia le due principali forze di governo: la crisi giudiziaria che fa fibrillare il Pdl (diviso tra falchi e colombe ma unito nella difesa perinde ac cadaver del Capo). E la crisi morale che sta devastando il Pd, sempre più evidente da troppi segnali, eternamente oscillante tra gesuitismo e indecisione, che si tratti degli F35 o del salvataggio di Alfano, come dimostrano i fatti dell’ultima settimana e non solo.
Si pensi ad esempio al cosiddetto Appello dei 70, che personalmente considero più una conferma – se ancora ce ne fosse bisogno – del disordine mentale che si è impadronito di quel partito che non un segnale di vita interna, con quell’invito patetico allo «scatto d’orgoglio», come se ci fosse qualcosa di cui andare orgogliosi nella pratica degli ultimi mesi. Nella condivisione del lutto per l’attribuzione da parte della Cassazione alla sessione estiva del processo a Berlusconi (ridotto, con una ragionieristica gestione dell’indignazione, da tre giorni a uno solo…). Nel silenzio imbarazzato di fronte alla perentoria sentenza del processo Ruby. Nello spettacolo degradante della liquidazione, uno dopo l’altro, di tutti i possibili candidati decorosi alla Presidenza della Repubblica e (prima) alla guida del Governo, che avrebbero potuto rappresentare una discontinuità rispetto all’ibrida maggioranza che aveva sorretto l’infelice esperienza Monti.
O si pensi alla proposta Mucchetti-Zanda, forse in teoria (ma molto in teoria) apprezzabile come primo tentativo di regolare il «conflitto d’interesse», ma per i tempi e per i modi della presentazione evidente escamotage per evitare al partito un voto imbarazzante sull’ineleggibilità del Caimano, e gettare, come si suol dire, la palla in tribuna. Come stupirsi se tutto questo semina sconcerto nel (residuo) elettorato, e conflitto all’interno del partito? Se, appunto, ogni iniziativa presa finisce per generare uno sciame di polemiche e distinguo in un gruppo dirigente (si fa per dire) perennemente sull’orlo di una crisi di nervi?La verità – inutile nasconderlo – è che la nascita sconsiderata del governo delle «larghe intese», lungi dal garantire stabilità, ha in realtà dato vita a un meccanismo endemicamente e tendenzialmente auto-dissolutivo: un circolo vizioso nel quale le tensioni all’interno di entrambi i partiti di maggioranza logorano di continuo la stabilità dell’Esecutivo (ne costituiscono una permanente minaccia) e, simmetricamente, il carattere coercitivo del Governo (la necessità di mantenerne in vita l’ibrida maggioranza) alimenta di continuo le tensioni interne ai partiti che lo sostengono. Ha cioè istituzionalizzato l’instabilità, facendone un carattere strutturale del nostro sistema politico.
Per questo, contrariamente a Tonino Perna (sul Manifesto del 13 luglio), non credo che la tecnica del temporeggiamento – il ruolo di Letta cunctator – ci permetta di guadagnare tempo. Che giochi, in qualche misura, a favore di un’opposizione dal basso tutta da costruire in lunghi mesi di tregua. Temo al contrario che sia un fattore di accelerazione dei processi di crisi, tanto più in questi «quarantacinque giorni di Badoglio» – quelli che intercorsero, appunto, nel 1943, tra il 25 luglio con la caduta di Mussolini e il suo arresto al Gran Sasso e l’8 settembre con la dissoluzione dello Stato – in cui ci apprestiamo a entrare.
Né possiamo nasconderci i guasti, enormi, che in questi mesi sono stati prodotti sia sul piano dei comportamenti che su quello degli assetti istituzionali, e che rischiano di aggravarsi nei mesi a venire. Il primo guasto, forse ormai irreversibile, riguarda la questione morale. L’assetto etico – ma forse dovremmo dire, meglio, «antropologico» – di questo Paese. Il comune sentire. Le forme del giudizio e del comportamento. Questi mesi sono stati una gigantesca palestra di anestetizzazione morale di fronte ai vizi privati e pubblici. Sono stati «sdoganati» comportamenti che scardinano il lavoro pedagogico di generazioni. E’ stato autorevolmente autorizzato l’inaccettabile per qualunque comunità civile, come se l’appartenere al circolo magico del potere permettesse tutto. Nel matrimonio di interesse (o di necessità) che ha dato vita al governo Letta-Berlusconi è stata cancellata – neutralizzata, assimilata, condivisa – l’anomalia italiana costituita dalla persona di Silvio Berlusconi, dalla sua trasgressione di tutti i caratteri di virtù pubblica e privata. E per questa via è stata sancita «unanimemente» l’ammissibilità della compravendita dei corpi e delle menti, della frode e dell’evasione fiscale, dell’ostentazione del privilegio e della pratica del «non sa chi sono io», della menzogna sistematica e della falsificazione dei fatti. Che messaggio è stato veicolato da quell’udienza al Quirinale, il giorno dopo la condanna a sette anni per concussione e prostituzione minorile? Come interpretare la simpatetica condivisione del lutto processuale per un uomo di governo accusato di una delle più gigantesche frodi fiscali ai danni dello Stato che continua a rappresentare? E, insieme, la disponibilità, affermata con studentesca irresponsabilità, a metter mano con quella bella compagnia alle parti più delicate della Costituzione, compreso quel 138 che costituisce l’articolo di chiusura che dovrebbe garantirci, tutti, contro i colpi di mano di aggregazioni corsare…
D’altra parte nel mantra che ogni giorno ci ammanniscono coloro che per mandato dovrebbero costituirne l’antitesi, nella sempre più stanca ma non per questo meno insistita affermazione secondo cui «le questioni giudiziarie di Berlusconi non devono avere rilevanza politica» (e neppure i fatti relativi alla sua «vita privata»), c’è in realtà un messaggio devastante: l’idea che la politica sia una sorta di terra di nessuno, in cui né l’Etica né la Legge hanno rilevanza. Che Morale e Diritto debbano arrestarsi al confine del Potere. Solo il Carl Schmitt degli anni trenta berlinesi era arrivato a questo grado di «realismo», a cui oggi approdano i meno titolati cinici del sottobosco romano.
Il secondo guasto – anch’esso potenzialmente mortale – è di tipo istituzionale. Riguarda il rapporto tra potere Legislativo e potere Esecutivo, costitutivo della nostra «forma di Governo». Lo rivelano i commenti, quasi unanimi, dei principali opinion leaders, e l’invito pressante ai partiti affinché mettano da parte le loro differenze (reciproche e interne) e si concentrino sull’essenziale, che sarebbe la sopravvivenza del governo Letta-Berlusconi. Che facciano tacere quei contrasti endemici i quali, come si è visto, stanno nella struttura stessa di questa maggioranza, perché, appunto, la normale dialettica Parlamentare è diventata una minaccia mortale. E la vita interna dei partiti un potenziale e permanente sabotaggio. E’ un mutamento di scenario, perché noi saremmo, costituzionalmente – non dimentichiamolo – una democrazia parlamentare. E la nostra Carta fondamentale sancisce tuttora il primato del potere Legislativo sull’Esecutivo. Del Parlamento sul Governo.
Quello che invece qui si teorizza, sotto la pressione di uno stato d’eccezione divenuto cronico, è non solo la primazia, ma l’assolutizzazione del Governo e della sua permanenza in vita rispetto a tutte le altre istanze. Il silenzio degli organi di rappresentanza di fronte all’imperativo dell’azione di governo. O meglio, alla necessità primaria della sua esistenza in quanto, in realtà, a voler essere sinceri, questa formula di governo riesce solo a dilazionare le decisioni. A prolungare la propria esistenza in vita rinviando le scelte, fino a quando queste irromperanno con la forza degli eventi naturali. Più che una forma di Amministrazione la sua è una forma di Sopravvivenza. Ma tant’è: è sufficiente ad alimentare il coro greco dei sacerdoti della governabilità fine a se stessa. E della riduzione della democrazia a esangue simulacro.
Per tutto questo non credo che un Quinto Fabio Massimo – un Temporeggiatore – possa aiutare. Piuttosto, che so?, un Cincinnato, che almeno veniva dalla campagna, da fuori delle mura. O, meglio, un Socrate, che ricordi la superiorità del «governo delle leggi» su quello degli uomini. Comunque qualcuno consapevole che «non c’è più tempo». Che nel precipitare delle cose la costruzione di un punto di riferimento alternativo è terribilmente urgente, perché il tessuto democratico di questo Paese – che c’è, e potrebbe giocare un ruolo: si pensi alle oltre 30.000 associazioni di cui parla Salvatore Settis nel suo Azione popolare -, non si coagula da solo, per semplice iniziativa «dal basso». Ha bisogno di un catalizzatore. Di qualcuno – un gruppo di donne e di uomini – che «dall’alto» dia un segnale, con pochi, semplici denominatori comuni: una affermazione intransigente dei valori costituzionali (questa Costituzione va applicata più che cambiata), la difesa dei diritti e dei beni comuni, il primato del lavoro non a parole ma nei fatti, la verità sullo stato comatoso dell’economia e delle finanze pubbliche, un messaggio chiaro all’Europa sull’insostenibilità dell’attuale dogma fallimentare, l’irrinunciabilità della bonifica morale del Paese come condizione per liberare le energie indispensabili per sopravvivere. E soprattutto il dichiarato proposito di una discontinuità netta di linguaggio, pratiche e facce con l’abbandono dei bizantinismi attuali. Fuori da ciò, ne sono più che mai convinto, se si rimane entro le mura sempre più soffocanti di Bisanzio, ogni giorno perduto è un passo verso la caduta.
- See more at: http://www.soggettopoliticonuovo.it/2013/07/19/ogni-giorno-che-passa-e-perso-marco-revelli-il-manifesto/#sthash.RGI2Khhu.dpuf
Ci sono molti spunti interessanti sui quali magari si potrebbe discutere specie se non ci si divide fra chi deve continuare a denunciare tutte le malefatte del PD e chi comunque sia ne deve difendere le scelte...
Ogni giorno che passa è perso – Marco Revelli (Il Manifesto)
19/7/2013
La crisi italiana si avvita, con velocità ogni giorno maggiore, trascinata dal doppio mulinello che travaglia le due principali forze di governo: la crisi giudiziaria che fa fibrillare il Pdl (diviso tra falchi e colombe ma unito nella difesa perinde ac cadaver del Capo). E la crisi morale che sta devastando il Pd, sempre più evidente da troppi segnali, eternamente oscillante tra gesuitismo e indecisione, che si tratti degli F35 o del salvataggio di Alfano, come dimostrano i fatti dell’ultima settimana e non solo.
Si pensi ad esempio al cosiddetto Appello dei 70, che personalmente considero più una conferma – se ancora ce ne fosse bisogno – del disordine mentale che si è impadronito di quel partito che non un segnale di vita interna, con quell’invito patetico allo «scatto d’orgoglio», come se ci fosse qualcosa di cui andare orgogliosi nella pratica degli ultimi mesi. Nella condivisione del lutto per l’attribuzione da parte della Cassazione alla sessione estiva del processo a Berlusconi (ridotto, con una ragionieristica gestione dell’indignazione, da tre giorni a uno solo…). Nel silenzio imbarazzato di fronte alla perentoria sentenza del processo Ruby. Nello spettacolo degradante della liquidazione, uno dopo l’altro, di tutti i possibili candidati decorosi alla Presidenza della Repubblica e (prima) alla guida del Governo, che avrebbero potuto rappresentare una discontinuità rispetto all’ibrida maggioranza che aveva sorretto l’infelice esperienza Monti.
O si pensi alla proposta Mucchetti-Zanda, forse in teoria (ma molto in teoria) apprezzabile come primo tentativo di regolare il «conflitto d’interesse», ma per i tempi e per i modi della presentazione evidente escamotage per evitare al partito un voto imbarazzante sull’ineleggibilità del Caimano, e gettare, come si suol dire, la palla in tribuna. Come stupirsi se tutto questo semina sconcerto nel (residuo) elettorato, e conflitto all’interno del partito? Se, appunto, ogni iniziativa presa finisce per generare uno sciame di polemiche e distinguo in un gruppo dirigente (si fa per dire) perennemente sull’orlo di una crisi di nervi?La verità – inutile nasconderlo – è che la nascita sconsiderata del governo delle «larghe intese», lungi dal garantire stabilità, ha in realtà dato vita a un meccanismo endemicamente e tendenzialmente auto-dissolutivo: un circolo vizioso nel quale le tensioni all’interno di entrambi i partiti di maggioranza logorano di continuo la stabilità dell’Esecutivo (ne costituiscono una permanente minaccia) e, simmetricamente, il carattere coercitivo del Governo (la necessità di mantenerne in vita l’ibrida maggioranza) alimenta di continuo le tensioni interne ai partiti che lo sostengono. Ha cioè istituzionalizzato l’instabilità, facendone un carattere strutturale del nostro sistema politico.
Per questo, contrariamente a Tonino Perna (sul Manifesto del 13 luglio), non credo che la tecnica del temporeggiamento – il ruolo di Letta cunctator – ci permetta di guadagnare tempo. Che giochi, in qualche misura, a favore di un’opposizione dal basso tutta da costruire in lunghi mesi di tregua. Temo al contrario che sia un fattore di accelerazione dei processi di crisi, tanto più in questi «quarantacinque giorni di Badoglio» – quelli che intercorsero, appunto, nel 1943, tra il 25 luglio con la caduta di Mussolini e il suo arresto al Gran Sasso e l’8 settembre con la dissoluzione dello Stato – in cui ci apprestiamo a entrare.
Né possiamo nasconderci i guasti, enormi, che in questi mesi sono stati prodotti sia sul piano dei comportamenti che su quello degli assetti istituzionali, e che rischiano di aggravarsi nei mesi a venire. Il primo guasto, forse ormai irreversibile, riguarda la questione morale. L’assetto etico – ma forse dovremmo dire, meglio, «antropologico» – di questo Paese. Il comune sentire. Le forme del giudizio e del comportamento. Questi mesi sono stati una gigantesca palestra di anestetizzazione morale di fronte ai vizi privati e pubblici. Sono stati «sdoganati» comportamenti che scardinano il lavoro pedagogico di generazioni. E’ stato autorevolmente autorizzato l’inaccettabile per qualunque comunità civile, come se l’appartenere al circolo magico del potere permettesse tutto. Nel matrimonio di interesse (o di necessità) che ha dato vita al governo Letta-Berlusconi è stata cancellata – neutralizzata, assimilata, condivisa – l’anomalia italiana costituita dalla persona di Silvio Berlusconi, dalla sua trasgressione di tutti i caratteri di virtù pubblica e privata. E per questa via è stata sancita «unanimemente» l’ammissibilità della compravendita dei corpi e delle menti, della frode e dell’evasione fiscale, dell’ostentazione del privilegio e della pratica del «non sa chi sono io», della menzogna sistematica e della falsificazione dei fatti. Che messaggio è stato veicolato da quell’udienza al Quirinale, il giorno dopo la condanna a sette anni per concussione e prostituzione minorile? Come interpretare la simpatetica condivisione del lutto processuale per un uomo di governo accusato di una delle più gigantesche frodi fiscali ai danni dello Stato che continua a rappresentare? E, insieme, la disponibilità, affermata con studentesca irresponsabilità, a metter mano con quella bella compagnia alle parti più delicate della Costituzione, compreso quel 138 che costituisce l’articolo di chiusura che dovrebbe garantirci, tutti, contro i colpi di mano di aggregazioni corsare…
D’altra parte nel mantra che ogni giorno ci ammanniscono coloro che per mandato dovrebbero costituirne l’antitesi, nella sempre più stanca ma non per questo meno insistita affermazione secondo cui «le questioni giudiziarie di Berlusconi non devono avere rilevanza politica» (e neppure i fatti relativi alla sua «vita privata»), c’è in realtà un messaggio devastante: l’idea che la politica sia una sorta di terra di nessuno, in cui né l’Etica né la Legge hanno rilevanza. Che Morale e Diritto debbano arrestarsi al confine del Potere. Solo il Carl Schmitt degli anni trenta berlinesi era arrivato a questo grado di «realismo», a cui oggi approdano i meno titolati cinici del sottobosco romano.
Il secondo guasto – anch’esso potenzialmente mortale – è di tipo istituzionale. Riguarda il rapporto tra potere Legislativo e potere Esecutivo, costitutivo della nostra «forma di Governo». Lo rivelano i commenti, quasi unanimi, dei principali opinion leaders, e l’invito pressante ai partiti affinché mettano da parte le loro differenze (reciproche e interne) e si concentrino sull’essenziale, che sarebbe la sopravvivenza del governo Letta-Berlusconi. Che facciano tacere quei contrasti endemici i quali, come si è visto, stanno nella struttura stessa di questa maggioranza, perché, appunto, la normale dialettica Parlamentare è diventata una minaccia mortale. E la vita interna dei partiti un potenziale e permanente sabotaggio. E’ un mutamento di scenario, perché noi saremmo, costituzionalmente – non dimentichiamolo – una democrazia parlamentare. E la nostra Carta fondamentale sancisce tuttora il primato del potere Legislativo sull’Esecutivo. Del Parlamento sul Governo.
Quello che invece qui si teorizza, sotto la pressione di uno stato d’eccezione divenuto cronico, è non solo la primazia, ma l’assolutizzazione del Governo e della sua permanenza in vita rispetto a tutte le altre istanze. Il silenzio degli organi di rappresentanza di fronte all’imperativo dell’azione di governo. O meglio, alla necessità primaria della sua esistenza in quanto, in realtà, a voler essere sinceri, questa formula di governo riesce solo a dilazionare le decisioni. A prolungare la propria esistenza in vita rinviando le scelte, fino a quando queste irromperanno con la forza degli eventi naturali. Più che una forma di Amministrazione la sua è una forma di Sopravvivenza. Ma tant’è: è sufficiente ad alimentare il coro greco dei sacerdoti della governabilità fine a se stessa. E della riduzione della democrazia a esangue simulacro.
Per tutto questo non credo che un Quinto Fabio Massimo – un Temporeggiatore – possa aiutare. Piuttosto, che so?, un Cincinnato, che almeno veniva dalla campagna, da fuori delle mura. O, meglio, un Socrate, che ricordi la superiorità del «governo delle leggi» su quello degli uomini. Comunque qualcuno consapevole che «non c’è più tempo». Che nel precipitare delle cose la costruzione di un punto di riferimento alternativo è terribilmente urgente, perché il tessuto democratico di questo Paese – che c’è, e potrebbe giocare un ruolo: si pensi alle oltre 30.000 associazioni di cui parla Salvatore Settis nel suo Azione popolare -, non si coagula da solo, per semplice iniziativa «dal basso». Ha bisogno di un catalizzatore. Di qualcuno – un gruppo di donne e di uomini – che «dall’alto» dia un segnale, con pochi, semplici denominatori comuni: una affermazione intransigente dei valori costituzionali (questa Costituzione va applicata più che cambiata), la difesa dei diritti e dei beni comuni, il primato del lavoro non a parole ma nei fatti, la verità sullo stato comatoso dell’economia e delle finanze pubbliche, un messaggio chiaro all’Europa sull’insostenibilità dell’attuale dogma fallimentare, l’irrinunciabilità della bonifica morale del Paese come condizione per liberare le energie indispensabili per sopravvivere. E soprattutto il dichiarato proposito di una discontinuità netta di linguaggio, pratiche e facce con l’abbandono dei bizantinismi attuali. Fuori da ciò, ne sono più che mai convinto, se si rimane entro le mura sempre più soffocanti di Bisanzio, ogni giorno perduto è un passo verso la caduta.
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Bastiano.B.Bucci- Messaggi : 133
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: Ogni giorno che passa è un giorno perso
Ho letto con attenzione tutto l'articolo.Bastiano.B.Bucci ha scritto:Posto un interessante articolo di Revelli, sul quale sarebbe opportuno riflettere (magari anche prima di digitare...)
Ci sono molti spunti interessanti sui quali magari si potrebbe discutere specie se non ci si divide fra chi deve continuare a denunciare tutte le malefatte del PD e chi comunque sia ne deve difendere le scelte...
Ogni giorno che passa è perso – Marco Revelli (Il Manifesto)
19/7/2013
La crisi italiana si avvita, con velocità ogni giorno maggiore, trascinata dal doppio mulinello che travaglia le due principali forze di governo: la crisi giudiziaria che fa fibrillare il Pdl (diviso tra falchi e colombe ma unito nella difesa perinde ac cadaver del Capo). E la crisi morale che sta devastando il Pd, sempre più evidente da troppi segnali, eternamente oscillante tra gesuitismo e indecisione, che si tratti degli F35 o del salvataggio di Alfano, come dimostrano i fatti dell’ultima settimana e non solo.
Si pensi ad esempio al cosiddetto Appello dei 70, che personalmente considero più una conferma – se ancora ce ne fosse bisogno – del disordine mentale che si è impadronito di quel partito che non un segnale di vita interna, con quell’invito patetico allo «scatto d’orgoglio», come se ci fosse qualcosa di cui andare orgogliosi nella pratica degli ultimi mesi. Nella condivisione del lutto per l’attribuzione da parte della Cassazione alla sessione estiva del processo a Berlusconi (ridotto, con una ragionieristica gestione dell’indignazione, da tre giorni a uno solo…). Nel silenzio imbarazzato di fronte alla perentoria sentenza del processo Ruby. Nello spettacolo degradante della liquidazione, uno dopo l’altro, di tutti i possibili candidati decorosi alla Presidenza della Repubblica e (prima) alla guida del Governo, che avrebbero potuto rappresentare una discontinuità rispetto all’ibrida maggioranza che aveva sorretto l’infelice esperienza Monti.
O si pensi alla proposta Mucchetti-Zanda, forse in teoria (ma molto in teoria) apprezzabile come primo tentativo di regolare il «conflitto d’interesse», ma per i tempi e per i modi della presentazione evidente escamotage per evitare al partito un voto imbarazzante sull’ineleggibilità del Caimano, e gettare, come si suol dire, la palla in tribuna. Come stupirsi se tutto questo semina sconcerto nel (residuo) elettorato, e conflitto all’interno del partito? Se, appunto, ogni iniziativa presa finisce per generare uno sciame di polemiche e distinguo in un gruppo dirigente (si fa per dire) perennemente sull’orlo di una crisi di nervi?La verità – inutile nasconderlo – è che la nascita sconsiderata del governo delle «larghe intese», lungi dal garantire stabilità, ha in realtà dato vita a un meccanismo endemicamente e tendenzialmente auto-dissolutivo: un circolo vizioso nel quale le tensioni all’interno di entrambi i partiti di maggioranza logorano di continuo la stabilità dell’Esecutivo (ne costituiscono una permanente minaccia) e, simmetricamente, il carattere coercitivo del Governo (la necessità di mantenerne in vita l’ibrida maggioranza) alimenta di continuo le tensioni interne ai partiti che lo sostengono. Ha cioè istituzionalizzato l’instabilità, facendone un carattere strutturale del nostro sistema politico.
Per questo, contrariamente a Tonino Perna (sul Manifesto del 13 luglio), non credo che la tecnica del temporeggiamento – il ruolo di Letta cunctator – ci permetta di guadagnare tempo. Che giochi, in qualche misura, a favore di un’opposizione dal basso tutta da costruire in lunghi mesi di tregua. Temo al contrario che sia un fattore di accelerazione dei processi di crisi, tanto più in questi «quarantacinque giorni di Badoglio» – quelli che intercorsero, appunto, nel 1943, tra il 25 luglio con la caduta di Mussolini e il suo arresto al Gran Sasso e l’8 settembre con la dissoluzione dello Stato – in cui ci apprestiamo a entrare.
Né possiamo nasconderci i guasti, enormi, che in questi mesi sono stati prodotti sia sul piano dei comportamenti che su quello degli assetti istituzionali, e che rischiano di aggravarsi nei mesi a venire. Il primo guasto, forse ormai irreversibile, riguarda la questione morale. L’assetto etico – ma forse dovremmo dire, meglio, «antropologico» – di questo Paese. Il comune sentire. Le forme del giudizio e del comportamento. Questi mesi sono stati una gigantesca palestra di anestetizzazione morale di fronte ai vizi privati e pubblici. Sono stati «sdoganati» comportamenti che scardinano il lavoro pedagogico di generazioni. E’ stato autorevolmente autorizzato l’inaccettabile per qualunque comunità civile, come se l’appartenere al circolo magico del potere permettesse tutto. Nel matrimonio di interesse (o di necessità) che ha dato vita al governo Letta-Berlusconi è stata cancellata – neutralizzata, assimilata, condivisa – l’anomalia italiana costituita dalla persona di Silvio Berlusconi, dalla sua trasgressione di tutti i caratteri di virtù pubblica e privata. E per questa via è stata sancita «unanimemente» l’ammissibilità della compravendita dei corpi e delle menti, della frode e dell’evasione fiscale, dell’ostentazione del privilegio e della pratica del «non sa chi sono io», della menzogna sistematica e della falsificazione dei fatti. Che messaggio è stato veicolato da quell’udienza al Quirinale, il giorno dopo la condanna a sette anni per concussione e prostituzione minorile? Come interpretare la simpatetica condivisione del lutto processuale per un uomo di governo accusato di una delle più gigantesche frodi fiscali ai danni dello Stato che continua a rappresentare? E, insieme, la disponibilità, affermata con studentesca irresponsabilità, a metter mano con quella bella compagnia alle parti più delicate della Costituzione, compreso quel 138 che costituisce l’articolo di chiusura che dovrebbe garantirci, tutti, contro i colpi di mano di aggregazioni corsare…
D’altra parte nel mantra che ogni giorno ci ammanniscono coloro che per mandato dovrebbero costituirne l’antitesi, nella sempre più stanca ma non per questo meno insistita affermazione secondo cui «le questioni giudiziarie di Berlusconi non devono avere rilevanza politica» (e neppure i fatti relativi alla sua «vita privata»), c’è in realtà un messaggio devastante: l’idea che la politica sia una sorta di terra di nessuno, in cui né l’Etica né la Legge hanno rilevanza. Che Morale e Diritto debbano arrestarsi al confine del Potere. Solo il Carl Schmitt degli anni trenta berlinesi era arrivato a questo grado di «realismo», a cui oggi approdano i meno titolati cinici del sottobosco romano.
Il secondo guasto – anch’esso potenzialmente mortale – è di tipo istituzionale. Riguarda il rapporto tra potere Legislativo e potere Esecutivo, costitutivo della nostra «forma di Governo». Lo rivelano i commenti, quasi unanimi, dei principali opinion leaders, e l’invito pressante ai partiti affinché mettano da parte le loro differenze (reciproche e interne) e si concentrino sull’essenziale, che sarebbe la sopravvivenza del governo Letta-Berlusconi. Che facciano tacere quei contrasti endemici i quali, come si è visto, stanno nella struttura stessa di questa maggioranza, perché, appunto, la normale dialettica Parlamentare è diventata una minaccia mortale. E la vita interna dei partiti un potenziale e permanente sabotaggio. E’ un mutamento di scenario, perché noi saremmo, costituzionalmente – non dimentichiamolo – una democrazia parlamentare. E la nostra Carta fondamentale sancisce tuttora il primato del potere Legislativo sull’Esecutivo. Del Parlamento sul Governo.
Quello che invece qui si teorizza, sotto la pressione di uno stato d’eccezione divenuto cronico, è non solo la primazia, ma l’assolutizzazione del Governo e della sua permanenza in vita rispetto a tutte le altre istanze. Il silenzio degli organi di rappresentanza di fronte all’imperativo dell’azione di governo. O meglio, alla necessità primaria della sua esistenza in quanto, in realtà, a voler essere sinceri, questa formula di governo riesce solo a dilazionare le decisioni. A prolungare la propria esistenza in vita rinviando le scelte, fino a quando queste irromperanno con la forza degli eventi naturali. Più che una forma di Amministrazione la sua è una forma di Sopravvivenza. Ma tant’è: è sufficiente ad alimentare il coro greco dei sacerdoti della governabilità fine a se stessa. E della riduzione della democrazia a esangue simulacro.
Per tutto questo non credo che un Quinto Fabio Massimo – un Temporeggiatore – possa aiutare. Piuttosto, che so?, un Cincinnato, che almeno veniva dalla campagna, da fuori delle mura. O, meglio, un Socrate, che ricordi la superiorità del «governo delle leggi» su quello degli uomini. Comunque qualcuno consapevole che «non c’è più tempo». Che nel precipitare delle cose la costruzione di un punto di riferimento alternativo è terribilmente urgente, perché il tessuto democratico di questo Paese – che c’è, e potrebbe giocare un ruolo: si pensi alle oltre 30.000 associazioni di cui parla Salvatore Settis nel suo Azione popolare -, non si coagula da solo, per semplice iniziativa «dal basso». Ha bisogno di un catalizzatore. Di qualcuno – un gruppo di donne e di uomini – che «dall’alto» dia un segnale, con pochi, semplici denominatori comuni: una affermazione intransigente dei valori costituzionali (questa Costituzione va applicata più che cambiata), la difesa dei diritti e dei beni comuni, il primato del lavoro non a parole ma nei fatti, la verità sullo stato comatoso dell’economia e delle finanze pubbliche, un messaggio chiaro all’Europa sull’insostenibilità dell’attuale dogma fallimentare, l’irrinunciabilità della bonifica morale del Paese come condizione per liberare le energie indispensabili per sopravvivere. E soprattutto il dichiarato proposito di una discontinuità netta di linguaggio, pratiche e facce con l’abbandono dei bizantinismi attuali. Fuori da ciò, ne sono più che mai convinto, se si rimane entro le mura sempre più soffocanti di Bisanzio, ogni giorno perduto è un passo verso la caduta.
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L'analisi è interessante e in molti punti condivisibile.
Manca solo una cosa: la proposta politica.
Può sembrare un dettaglio ma non lo è.
La mia formazione politica è avvenuta in anni di grande fermento culturale e ideale. C'era un confronto vero e appassionato tra mille scuole di pensiero, ma tutto il dibattito, e sottolineo tutto, da destra a sinistra, era finalizzato all'individuazione di modelli sociali alternaivi o comunque migliori degli altri.
Anche nei gruppi più ristretti e nei salotti buoni degli intellettuali, non c'era analisi che non si concludesse con una proposta.
Ieri sera c'è stata l'approvazione del bilancio di previsione del mio Comune. Un bilancio striminzito, senza possibilità di spesa, ridotto all'osso, poco più che ragioneristico, nonostante che l'Amministrazione sia considerata "virtuosa".
L'opposizione si è messa ad elencare le opere a loro avviso necessarie, i servizi da ampliare, le manutenzioni da fare. Un elenco del valore di decine di milioni. Quando un consigliere ha chiesto dove dovevano essere reperite le risorse necesserarie, la risposta è stata che è compito della maggioranza trovarle e non della minoranza.
Voglio dire che un'analisi come quella di Revelli è monca, perchè priva della parte essenziale, quella che dà credibilità a tutto il ragionamento fatto.
Quella sinistra lì, rappresentata da Il Manifesto, si è estinta proprio per questo, non per il destino cinico e baro o per il "tradimento" di altri.
Vanni Sandro- Messaggi : 689
Data d'iscrizione : 15.04.13
Età : 68
Località : Montopoli in Val d'Arno
Re: Ogni giorno che passa è un giorno perso
E certo, con le grandi proposte politiche del pd non c'è confronto...
Montalbano- Messaggi : 1137
Data d'iscrizione : 30.04.13
Re: Ogni giorno che passa è un giorno perso
Beh occorre chiarire che Revelli è un politologo non un politico, ma comunque ritengo che da un'analisi corretta possano nascere soluzioni corrette, se non ci si rende conto di quanto sta accadendo difficilmente si può progredire. se si pensa ad esempio che questo Paese possa risolvere i suoi problemi, addirittura rifacendo l'armatura costituzionale con Berlusconi, si è decisamente fuori strada.
In pratica in politica, come quasi in ogni campo, non è importante avere delle risposte giuste, ma porsi le domande giuste. Ad esempio fino a che punto ci si possa spingere per sostenere questo governo, ma soprattutto quanto sia utile alla nazione ed al PD farlo.
In pratica in politica, come quasi in ogni campo, non è importante avere delle risposte giuste, ma porsi le domande giuste. Ad esempio fino a che punto ci si possa spingere per sostenere questo governo, ma soprattutto quanto sia utile alla nazione ed al PD farlo.
Bastiano.B.Bucci- Messaggi : 133
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Re: Ogni giorno che passa è un giorno perso
Al pd è utilissimo, si beccano una marea di poltrone, per il paese è del tutto deleterio, lo porteranno a fondo...
Montalbano- Messaggi : 1137
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Re: Ogni giorno che passa è un giorno perso
Le domande che fai sono legittime e provo a rispondere per come la vedo io.Bastiano.B.Bucci ha scritto:
In pratica in politica, come quasi in ogni campo, non è importante avere delle risposte giuste, ma porsi le domande giuste. Ad esempio fino a che punto ci si possa spingere per sostenere questo governo, ma soprattutto quanto sia utile alla nazione ed al PD farlo.
1) Fino a che punto ci si può spingere per sostenere questo governo?
Fino a che non ha ottemperato al suo mandato. Ti ricordo che è un esecutivo a scadenza, come lo yogurt. 18 mesi per gestire l'emergenza economica, varare il nuovo bilancio di previsione e consentire al Parlamento di approvare le riforme istituzionali chieste dal PdR.
Se questi obiettivi sono giusti, occorre incalzare governo e Parlamento perchè lavorino in questa direzione e nei tempi stabiliti. Se gli obiettivi sono sbagliati, mandiamoli a casa. Io ritengo cosa buona e giusta la prima valutazione.
2) Quant'è utile questo governo al Paese?
E' l'unico governo possibile e, nell'immediato, anche per l'analisi di Revelli, è certamente più utile di una nuova campagna elettorale a cinque mesi dall'ultima. A meno che non si voglia organizzare una elezione anticipata dopo l'altra.
3) Quant'è utile questo governo al PD?
Poco. Probabilmente è dannoso, così come lo è stato quello guidato da Monti.
Ma un partito deve servire a governare il Paese. Non è il governo del paese che deve servire a fare gli interessi del partito.
Lo ripeterò fino alla noia. Tu concepisci un partito come un fine. Per me è solo un mezzo. Se funziona e finchè funziona lo utilizzo e ho interesse a tenerlo efficiente. Se qualcuno mi mette a disposizione un mezzo migliore non ho problemi a sostituirlo. Il fine è un'altro.
Vanni Sandro- Messaggi : 689
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Re: Ogni giorno che passa è un giorno perso
L'articolo di Revelli è ineccepibile come critica della situazione e del sistema che l'ha generata e la sostiene suo malgrado.
Giustamente Bastiano dice che Revelli non è un politico (anche se ci ha provato con Alba), ma un politologo e dunque se si chiede il completamento del discorso con un coerente proposta, è sufficiente guardare all'origine e alla storia dell'autore, per averla la risposta.
Quanto alla gravità della crisi politica, economica e morale personalmente penso che non ci sia altro da fare che sperare in una ventata innovativa che spazzi via tutto il vecchio modo di pensare, vero e canceroso retaggio della prima repubblica.
Da quale quadrante questa ventata possa arrivare mi è facile indovinare: un quadrante che rispetto alla Rosa dei Venti definirei di Maestrale: da un centro sinistra (più centro che sinistra), perché è lì che possono maturare decisioni condivise e capaci di cogliere i bisogni del paese.
Quale Dio lo soffierà, vorrei poter indicare una figura che non intravedo all'orizzonte, per cui mi rifugio in ciò che il mercato delle idee, e non solo, mi offre e affido alla speranza di un meno peggio che sia meno peggio del solito il destino che Renzi sta tratteggiando, scontentando i più e accontentando i pochi che disperatamente non hanno altro su cui puntare.
Giustamente Bastiano dice che Revelli non è un politico (anche se ci ha provato con Alba), ma un politologo e dunque se si chiede il completamento del discorso con un coerente proposta, è sufficiente guardare all'origine e alla storia dell'autore, per averla la risposta.
Quanto alla gravità della crisi politica, economica e morale personalmente penso che non ci sia altro da fare che sperare in una ventata innovativa che spazzi via tutto il vecchio modo di pensare, vero e canceroso retaggio della prima repubblica.
Da quale quadrante questa ventata possa arrivare mi è facile indovinare: un quadrante che rispetto alla Rosa dei Venti definirei di Maestrale: da un centro sinistra (più centro che sinistra), perché è lì che possono maturare decisioni condivise e capaci di cogliere i bisogni del paese.
Quale Dio lo soffierà, vorrei poter indicare una figura che non intravedo all'orizzonte, per cui mi rifugio in ciò che il mercato delle idee, e non solo, mi offre e affido alla speranza di un meno peggio che sia meno peggio del solito il destino che Renzi sta tratteggiando, scontentando i più e accontentando i pochi che disperatamente non hanno altro su cui puntare.
Adam- Messaggi : 609
Data d'iscrizione : 10.04.13
Età : 92
Località : Roma
Re: Ogni giorno che passa è un giorno perso
La cosa più rilevante, per me, di questo articolo è che è un'analisi.
Direte: che vuol dire?
Vuol dire che mi pare che questo genere di commenti è sempre più raro perchè richiedono elaborazione da parte di chi lo scrive e attenzione e riflessione da parte di chi lo legge, roba sempre più rara.
Ora tutti si cimentano con twittate di 140 caratteri, pollici alzati su FB, sintesi fulminanti alla Spinoza.it (che mi diverte tantissimo, sia chiaro).
E' un periodaccio per il pensiero articolato, scusate il pessimismo.
Direte: che vuol dire?
Vuol dire che mi pare che questo genere di commenti è sempre più raro perchè richiedono elaborazione da parte di chi lo scrive e attenzione e riflessione da parte di chi lo legge, roba sempre più rara.
Ora tutti si cimentano con twittate di 140 caratteri, pollici alzati su FB, sintesi fulminanti alla Spinoza.it (che mi diverte tantissimo, sia chiaro).
E' un periodaccio per il pensiero articolato, scusate il pessimismo.
Shaka_Zulu- Messaggi : 452
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