I Lavori-stronzata
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I Lavori-stronzata
Ho scoperto che c’è un professore di antropologia alla London School of Economics che, come me, è esacerbato dall’enorme quantità di lavori-stronzata.
Anche il prof. David Graeber si chiede come mai, nonostante l’enorme progresso tecnologico, non si sia avverata la profezia di Maynard Keynes sulla riduzione drastica delle ore di lavoro.
In effetti, la forza lavoro impiegata nei settori produttivi industriali ed agricolo si è drasticamente ridotta, mentre si sono moltiplicati, da un quarto a tre quarti di lavoratori, gli altri tipi di lavoro: del terziario, amministrativo, vendite, promozione, public relations, assistenza legale e finanziaria, e via sconfinando in inevitabili derive di lavori-stronzata.
Mentre si licenziano migliaia di lavoratori dei settori manifatturieri, lamentando la loro scarsa produttività, si concedono stipendi e liquidazioni milionarie agli esperti finanziari, il cui tasso di produttività sfiora gli attributi divini, se dobbiamo dedurlo dalle retribuzioni che riescono ad ottenere.
Una volta le grandi ricchezze derivavano per lo più dall’impiego del capitale in attività produttive, mentre oggi ci pensano le alchimie finanziarie a moltiplicare il capitale.
La produzione tecnologicamente avanzata non abbisogna più né di grande manodopera né di grandi e continui investimenti.
Ma, prenderne atto felicemente e ridistribuire la ricchezza, riducendo anche le ore lavorative per tutti costituirebbe una minaccia di sistema, per cui assistiamo alla nascita di una umanità votata all’esercizio di una miriade di lavori inutili, specializzata in procedure, intermediaria ed arraffona, superflua e pomposa, tuffata in carriere di relazione, il cui contenuto risiede solo in una rimuneratività arbitraria, concessa da regole pubbliche artatamente instaurate sulla base dei buoni propositi sociali, o da una sapiente offerta privata di consulenze furbe e interessate.
La classe politica italiana è stata uno degli alfieri mondiali dei lavori-stronzata, con le consulenze pagate a peso d’oro, come pure l’Unione Europea, coi suoi bizantinismi di programma e gli stanziamenti da gestire in modo sempre meno efficace dai vari stati. Soldi pubblici erogati senza controllo e senza contenuti produttivi, uno spreco di risorse, la ricchezza mal distribuita che non consente di lavorare di meno, ma impoverisce ancora di più la maggioranza che non puo’ accedere ai lavori-stronzata.
Qui non si parla di professioni liberali, di commercio, di creatività, ma di mere invenzioni procedurali, esperti di gergo e presentazioni in power point, la cui unica utilità risiede nel rivestire di dignità lavorativa il penoso andirivieni di questi professionisti dell’ovvio, al soldo di qualche ente finanziato per organizzare corsi, meeting, seminari motivazionali, ed altre amenità.
Pensate anche ai call-centers, ai promoters di ogni tipo, alle labili competenze che non definiscono una vera professione, ma solo il maneggio di qualche procedura.
Tutto questo “lavoro” riempie molte ore incluse nella settimana lavorativa che, in termini di produttività, si riduce in modo esponenziale.
Tuttavia, questo tipo di improduttività è largamente salvaguardata, mentre quella manifatturiera è costantemente attaccata dai guardiani del rapporto costi/prezzo.
Insomma, sembra proprio che il surplus di ricchezza prodotta dalla rivoluzione tecnologica sia stata incanalata non nella redistribuzione, ma nello spreco e nella remunerazione di lavori-stronzata, alcuni dei quali vengono iper-remunerati, in un contesto miracolosamente al di sopra di qualsiasi considerazione economica e sociale, come nei tempi oscuri delle civiltà primitive e dispotiche.
E con la stessa inconsapevolezza.
Anche il prof. David Graeber si chiede come mai, nonostante l’enorme progresso tecnologico, non si sia avverata la profezia di Maynard Keynes sulla riduzione drastica delle ore di lavoro.
In effetti, la forza lavoro impiegata nei settori produttivi industriali ed agricolo si è drasticamente ridotta, mentre si sono moltiplicati, da un quarto a tre quarti di lavoratori, gli altri tipi di lavoro: del terziario, amministrativo, vendite, promozione, public relations, assistenza legale e finanziaria, e via sconfinando in inevitabili derive di lavori-stronzata.
Mentre si licenziano migliaia di lavoratori dei settori manifatturieri, lamentando la loro scarsa produttività, si concedono stipendi e liquidazioni milionarie agli esperti finanziari, il cui tasso di produttività sfiora gli attributi divini, se dobbiamo dedurlo dalle retribuzioni che riescono ad ottenere.
Una volta le grandi ricchezze derivavano per lo più dall’impiego del capitale in attività produttive, mentre oggi ci pensano le alchimie finanziarie a moltiplicare il capitale.
La produzione tecnologicamente avanzata non abbisogna più né di grande manodopera né di grandi e continui investimenti.
Ma, prenderne atto felicemente e ridistribuire la ricchezza, riducendo anche le ore lavorative per tutti costituirebbe una minaccia di sistema, per cui assistiamo alla nascita di una umanità votata all’esercizio di una miriade di lavori inutili, specializzata in procedure, intermediaria ed arraffona, superflua e pomposa, tuffata in carriere di relazione, il cui contenuto risiede solo in una rimuneratività arbitraria, concessa da regole pubbliche artatamente instaurate sulla base dei buoni propositi sociali, o da una sapiente offerta privata di consulenze furbe e interessate.
La classe politica italiana è stata uno degli alfieri mondiali dei lavori-stronzata, con le consulenze pagate a peso d’oro, come pure l’Unione Europea, coi suoi bizantinismi di programma e gli stanziamenti da gestire in modo sempre meno efficace dai vari stati. Soldi pubblici erogati senza controllo e senza contenuti produttivi, uno spreco di risorse, la ricchezza mal distribuita che non consente di lavorare di meno, ma impoverisce ancora di più la maggioranza che non puo’ accedere ai lavori-stronzata.
Qui non si parla di professioni liberali, di commercio, di creatività, ma di mere invenzioni procedurali, esperti di gergo e presentazioni in power point, la cui unica utilità risiede nel rivestire di dignità lavorativa il penoso andirivieni di questi professionisti dell’ovvio, al soldo di qualche ente finanziato per organizzare corsi, meeting, seminari motivazionali, ed altre amenità.
Pensate anche ai call-centers, ai promoters di ogni tipo, alle labili competenze che non definiscono una vera professione, ma solo il maneggio di qualche procedura.
Tutto questo “lavoro” riempie molte ore incluse nella settimana lavorativa che, in termini di produttività, si riduce in modo esponenziale.
Tuttavia, questo tipo di improduttività è largamente salvaguardata, mentre quella manifatturiera è costantemente attaccata dai guardiani del rapporto costi/prezzo.
Insomma, sembra proprio che il surplus di ricchezza prodotta dalla rivoluzione tecnologica sia stata incanalata non nella redistribuzione, ma nello spreco e nella remunerazione di lavori-stronzata, alcuni dei quali vengono iper-remunerati, in un contesto miracolosamente al di sopra di qualsiasi considerazione economica e sociale, come nei tempi oscuri delle civiltà primitive e dispotiche.
E con la stessa inconsapevolezza.
Lara- Messaggi : 198
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: I Lavori-stronzata
Questo argomento mi ha fatto fare delle rapide riflessioni, alcune delle quali sono inquietanti al punto da rimandarle a ulteriore ripensamento. Per intanto ne do una versione, diciamo così, per famiglie.
Questi LLSS.ta credo che siano la declinazione democratica dei privilegi aristocratici dell'ancien regime, ovvero la materializzazione in chiave di "capitalismo reale" della profezia di Keynes.
Nei vecchi tempi la questione era chiara: da una parte una moltitudine si faceva un culo grosso così nell'economia produttiva e di sopravvivenza, manifatturiera e contadina, professionale e artigiana, e una ristretta classe si dedicava ad attività paragonabili ai LLSS: cene, viaggi, ricevimenti, delegazioni, balli, relazioni sociali, lavori sceltamente, capricciosamente, ecletticamente intellettuali che solo una sconfinata quantità di tempo libero rendeva possibili.
Non erano tecnicamente "lavori" in quanto non erano direttamente retribuiti, ma svolgevano una funzione, che solo presa nel suo insieme e proiettata nel tempo possiamo riconoscere come "socialmente utile", anche se umanamente spesso discutibile sul piano individuale: l'arte, la scienza, la filosofia, le relazioni internazionali e la politica sono state per secoli rese possibili dal surplus economico prodotto dall'ingiustizia sociale e dal lavoro concretamente produttivo.
Il sistema democratico/capitalistico, nelle sue varie trasformazioni, ha istituzionalizzato tutta quella parte di funzioni riconosciute necessarie (diplomazia, scienza, governo, etc) facendole diventare mestiere, in veste di lavoro-non-stronzata.
E' comunque rimasto in sospeso il ruolo del surplus: in parte riassorbito dalle risorse (soldi) prelevate tramite le tasse, per finanziare quel "mestiere" istituzionalizzato, in parte fluttuante nel mercato economico-finanziario e in cerca di impiego.
Quale impiego, oltre a quel tanto che serve agli investimenti direttamente produttivi?
La risposta è: non importa la qualità dell'impiego, basta che il denaro circoli e si auto-alimenti. La versione privatistica dello "scavare la buca-riempire la buca".
Insomma, la democrazia capitalistica ha scisso la funzione che un tempo aveva l'aristocrazia: la parte utile e in qualche modo necessaria, allo Stato e alle categorie istituzionalizzate, mentre la parte voluttuaria e svuotata di ogni riferimento etico devoluta ai meccanismi della pura autoferenzialità finanziaria e speculativa, insomma appunto i lavori-stronzata.
Ma qual è il fall-out socio-culturale di tutto ciò? Difficile dirlo.
Teniamo presnete che per secoli il lavoro della massa, da una parte, e anche l'attività aristocratica (non ancora scissa), dall'altra, avevano generato cultura e sviluppo del pensiero, etica ed estetica, stabilendo - sia pure in forme spesso complesse e contradditorie - un'ideologia del "merito", della "qualità" e del "risultato".
Non sappiamo quali possono essere a medio e lungo termine le conseguenze di un'economia in cui una parte che fa "massa critica" è fondata su stronzate assolute, nel senso originario del termine, cioè slegate dal contesto e fortemente autoreferenziali.
Non lo sappiamo, ma possiamo fare delle ipotesi, specialmente tenendo conto del fatto che in una società altamente tecnologica c'è una necessità relativamente limitata di lavoro intellettuale, e per tutto il resto sia i lavori utili, sia i lavori-stronzata richiedono un livello di competenze molto più basso e fra loro assai simile.
Questi LLSS.ta credo che siano la declinazione democratica dei privilegi aristocratici dell'ancien regime, ovvero la materializzazione in chiave di "capitalismo reale" della profezia di Keynes.
Nei vecchi tempi la questione era chiara: da una parte una moltitudine si faceva un culo grosso così nell'economia produttiva e di sopravvivenza, manifatturiera e contadina, professionale e artigiana, e una ristretta classe si dedicava ad attività paragonabili ai LLSS: cene, viaggi, ricevimenti, delegazioni, balli, relazioni sociali, lavori sceltamente, capricciosamente, ecletticamente intellettuali che solo una sconfinata quantità di tempo libero rendeva possibili.
Non erano tecnicamente "lavori" in quanto non erano direttamente retribuiti, ma svolgevano una funzione, che solo presa nel suo insieme e proiettata nel tempo possiamo riconoscere come "socialmente utile", anche se umanamente spesso discutibile sul piano individuale: l'arte, la scienza, la filosofia, le relazioni internazionali e la politica sono state per secoli rese possibili dal surplus economico prodotto dall'ingiustizia sociale e dal lavoro concretamente produttivo.
Il sistema democratico/capitalistico, nelle sue varie trasformazioni, ha istituzionalizzato tutta quella parte di funzioni riconosciute necessarie (diplomazia, scienza, governo, etc) facendole diventare mestiere, in veste di lavoro-non-stronzata.
E' comunque rimasto in sospeso il ruolo del surplus: in parte riassorbito dalle risorse (soldi) prelevate tramite le tasse, per finanziare quel "mestiere" istituzionalizzato, in parte fluttuante nel mercato economico-finanziario e in cerca di impiego.
Quale impiego, oltre a quel tanto che serve agli investimenti direttamente produttivi?
La risposta è: non importa la qualità dell'impiego, basta che il denaro circoli e si auto-alimenti. La versione privatistica dello "scavare la buca-riempire la buca".
Insomma, la democrazia capitalistica ha scisso la funzione che un tempo aveva l'aristocrazia: la parte utile e in qualche modo necessaria, allo Stato e alle categorie istituzionalizzate, mentre la parte voluttuaria e svuotata di ogni riferimento etico devoluta ai meccanismi della pura autoferenzialità finanziaria e speculativa, insomma appunto i lavori-stronzata.
Ma qual è il fall-out socio-culturale di tutto ciò? Difficile dirlo.
Teniamo presnete che per secoli il lavoro della massa, da una parte, e anche l'attività aristocratica (non ancora scissa), dall'altra, avevano generato cultura e sviluppo del pensiero, etica ed estetica, stabilendo - sia pure in forme spesso complesse e contradditorie - un'ideologia del "merito", della "qualità" e del "risultato".
Non sappiamo quali possono essere a medio e lungo termine le conseguenze di un'economia in cui una parte che fa "massa critica" è fondata su stronzate assolute, nel senso originario del termine, cioè slegate dal contesto e fortemente autoreferenziali.
Non lo sappiamo, ma possiamo fare delle ipotesi, specialmente tenendo conto del fatto che in una società altamente tecnologica c'è una necessità relativamente limitata di lavoro intellettuale, e per tutto il resto sia i lavori utili, sia i lavori-stronzata richiedono un livello di competenze molto più basso e fra loro assai simile.
Rom- Messaggi : 996
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: I Lavori-stronzata
Frase per frase e concetto per concetto.
1.
«Anche il prof. David Graeber si chiede come mai, nonostante l’enorme progresso tecnologico, non si sia avverata la profezia di Maynard Keynes sulla riduzione drastica delle ore di lavoro».
La riduzione delle ore di lavoro per unità di prodotto c'è stata, eccome. La cosa che credo interessi al Prof. D. Graeber è perché nell'Occidente della elevata produttività non si è ridotto l'orario di lavoro dei salariati. Le cause sono molteplici, e tra le più banali che derivano dalla mia diretta esperienza (per trent'anni ho fatto ogni giorno lavorativo della settimana, centoventi chilometri di code), è che vi è moltissima gente che impiega tre o quattro ore di trasporto per recarsi sul luogo di lavoro e, dal loro stretto punto di vista, sobbarcarsi quella spesa e quella fatica, per esempio, per sole quattro ore di lavoro, sarebbe mortificante oltre ogni limite, dato che a parità di condizioni, lavorare quattro ore si guadagna la metà che lavorarne otto. Sempre che il reddito di meno lavoro basti, conviene ridurre la settimana lavorativa di qualche giorno. Poi, vi è l'altro aspetto, quello dal punto di vista della remunerazione del capitale e dell'impresa, che ti spinge a lavorare del tempo in più per soddisfare i tuoi bisogni e quelli della famiglia.
Qui stiamo già introducendo concetti come: costo del lavoro e reddito da lavoro - sia sul versante di chi lavora, che del capitale e dell'impresa - e per ora saltiamo il capitolo degli artigiani e dei professionisti, che comunque sono pur sempre competitori dei lavoratori dipendenti da un salario-orario. E diamo un brevissima indicazione del fatto che in un mercato aperto, ogni battito di farfalla in Cina o in Brasile, si riverbera anche dalle nostre parti. Ed è doveroso aggiungere che il paniere della spesa, in un secolo è cambiato moltissimo, riempendosi di merci che un tempo, o non esistevano, oppure erano soltanto appannaggio dei ricchi. Credo che almeno da questo punto di vista, chi volesse scrivere una equazione differenziale per rappresentare questo concetto, avrebbe tutte le variabili per farlo. E volendola risolvere, per le costanti, basta riferirsi ad uno stato determinato e mettere i valori che l'ISTAT rileva, per il nostro paese in rapporto al Mondo.
2.
«Mentre si licenziano migliaia di lavoratori dei settori manifatturieri, lamentando la loro scarsa produttività, si concedono stipendi e liquidazioni milionarie agli esperti finanziari, il cui tasso di produttività sfiora gli attributi divini, se dobbiamo dedurlo dalle retribuzioni che riescono ad ottenere».
Nessuno licenzia lavoratori per scarsa produttività, salvo casi sporadici ed individuali. Se invece tutta l'impresa sta uscendo dal mercato perché obsoleta, a) non essendo stata capace di innovare tecnologie e prodotto, nonostante gli sforzi economici dell'imprenditore, b) oppure perché il capitale ha preferito metterla in liquidazione con la tecnica di mungere in pochi anni enormi profitti, anziché finanziarne lo sviluppo. Ecco che tutti, nel primo caso: operai, dirigenti e imprenditori mal accorti vengono licenziati ed espulsi dal settore produttivo - in genere manifatturiero. Mentre nel secondo caso si salvano gli amministratori delegati che hanno svuotato l'azienda dei suoi contenuti, mettendola di fatto in liquidazione, e gli imprenditori che sono riusciti a recuperare i loro capitali, mentre tutti gli altri vengono gettati in mezzo ad una strada. In questo gioco, le liquidazioni milionarie, derivano proprio da quel patto scellerato che vi è stato tra capitale ed alta dirigenza, per smantellare la fabbrica cercando di recuperare il massimo del capitale possibile. Quello degli stipendi elevatissimi ai direttori generali ed agli amministratori delegati è proprio un segnale inequivocabile di quella politica. Questo depauperamento della nostra industria è possibile, perché troppa gente non si è accorta di come avvengano questi processi, e del perché avvengano. Il fatto che dopo decenni si sia ancora qui a discutere di queste cose, è perché la buona stampa non esiste, e la cattiva stampa è al servizio di chi sta distruggendo il paese, pezzo per pezzo. Se il paese resiste, è perché ha propri anticorpi che agiscono talvolta inspiegabilmente, facendo nascere nuove professioni e nuovi rapporti economici, ma la vera ripresa può avvenire su di un piano più elevato, e solo se si creano relazioni industriali più solide e finalizzate all'interesse generale del paese, proprio come è scritto nella nostra Costituzione.
3.
«Ma, prenderne atto felicemente e ridistribuire la ricchezza, riducendo anche le ore lavorative per tutti costituirebbe una minaccia di sistema, per cui assistiamo alla nascita di una umanità votata all’esercizio di una miriade di lavori inutili, specializzata in procedure, intermediaria ed arraffona, superflua e pomposa, tuffata in carriere di relazione, il cui contenuto risiede solo in una rimuneratività arbitraria, concessa da regole pubbliche artatamente instaurate sulla base dei buoni propositi sociali, o da una sapiente offerta privata di consulenze furbe e interessate»
Ridistribuire la ricchezza è importante, specie in momenti di crisi, perché permette di soddisfare le esigenze anche di strati della popolazione, che pure aspirando a quei consumi, non può permetterseli. Fino a quando si intaccano rendite improduttive, quella è manna che finisce nel manifatturiero e nei servizi. Non bisogna aggredire quei capitali che sono votati all'impresa, anzi, occorre fare in modo di attrarli, sempre alle condizioni di quel bene comune che deve essere la principale finalità.
Anzi, lo Stato dovrebbe costituirli in proprio, ed impiegarli, quando l'iniziativa privata non fosse all'altezza di quel compito, non senza prima averla aiutata a superare le proprie difficoltà e timidezze. Quando però si viene ai lavori inutili, la questione si fa molto delicata, specie se si tratta di stabilire se sono inutili in assoluto o rispetto a chi. Ed aprire un capitolo su questo tema vasto non è molto facile. Credo che sia sbagliato dare troppa enfasi all'inutilità di certo lavoro se non se ne indichi nome e cognome e non se ne spieghi le ragioni. Se si fa questo, cioè, se si fa una vera critica, in essa si trovano anche gli argomenti e gli strumenti per superarlo. Criticare il lavoro, indipendentemente dal fatto che sia utile o inutile - una parte di lavoro inutile nel lavoro che dovrebbe essere tutto utile c'è sempre - porta la progresso. Non so se questo ambiguo concetto lo avete capito, ma è così. Il teorema di Carnot ci quantifica quanta parte del calore di una trasformazione si trasforma in lavoro, perché anche nei processi fisici vi è sempre una parte che trova la sua utilizzazione immediata e un'altra che si degrada. E se succede nella natura, perché non dovrebbe succedere anche nel nostro stato? Accade così anche per la nostra spesa. Torniamo a casa con dieci sacchetti pieni di merci e cibo, e cinque di quei sacchetti finiscono nel ciclo dei rifiuti. Quando si dedicava molto più tempo nella produzione e nella trasformazione di quelle merci e materie prime in cibi, igiene della casa, senza elettrodomestici, vi era anche meno spazzatura. Se cambiano le condizioni dello sviluppo, non è ammissibile fare alcun confronto, ed è da ciò che nascono i paradossi che cerco di mostrare. Quel:« rimuneratività arbitraria, concessa da regole pubbliche artatamente instaurate ... o consulenze furbe e interessate», fa parte di quel sistema di anticorpi di cui dicevo prima, ma che di per se non porta ad un livello più elevato dello sviluppo della nostra società, ma ad un ripiegamento verso il basso.
Passiamo un attimo a Rom, e prendo emblematicamente questo periodo:
4.
«Insomma, la democrazia capitalistica ha scisso la funzione che un tempo aveva l'aristocrazia: la parte utile e in qualche modo necessaria, allo Stato e alle categorie istituzionalizzate, mentre la parte voluttuaria e svuotata di ogni riferimento etico devoluta ai meccanismi della pura auto referenzialità finanziaria e speculativa, insomma appunto i lavori-stronzata».
Non mi piace perché assume delle espressioni: democrazia capitalistica e lavori-stronzata che sono modi distorti di aggettivare la democrazia ed il lavoro. La democrazia è una cosa, il capitalismo è un'altra, ed entrambe possono fare a meno dell'altra in certi momenti storici. Se si parla di democrazia, lo si può fare per contrapporla ad altre forme di governo, o per criticarne i limiti in certe circostanze generali o specifiche. Se si parla di capitalismo, occorre pensare alle forme di finanziamento che le città stato elleniche mettevano in campo, per finanziare le flotte, i commerci, le guerre. E da allora in poi i tesori, nelle forme più varie dell'accumulazione, hanno sempre costituito sostanze capaci di mettere in moto progetti di varia natura. Noi, parlando di capitalismo, ci riferiamo prevalentemente a quello dell'era industriale, e ne conosciamo gli aspetti deteriori dello sfruttamento per la durezza del lavoro in se, e per il potere - anche legislativo - che lo regolava. E proprio per le vicende legate allo sviluppo di nuove regole che implicassero anche una trasformazione dei processi produttivi, che nell'ultimo secolo abbiamo vissuto l'epopea di grandi rivoluzioni e di un progresso sociale ancora più grande. L'aristocrazia muore perché è inadeguata ai compiti richiesti da una società in cui il titolo non può derivare dalla cavalleria, e la classe borghese scopre se stessa, proprio perché quel processo di trasformazione era in corso già da molto tempo, preparato dal Rinascimento e da quell'Illuminismo che mette le fondamenta nel seicento, con le tante menti illustri che lo hanno popolato. Certo, il nostro paese è in ritardo, se commemora solo due anni fa, il centocinquantesimo anniversario dell'unità, che viene organizzata e diretta dallo Stato Sabaudo mezzo secolo dopo la Rivoluzione Francese, e non da Mazzini e Garibaldi in nome della nostra borghesia e del popolo. Li c'è un residuo di aristocrazia che resta rintanato la dove è più fioca la luce dello sviluppo economico e del progresso. Senza contare il millennio del potere temporale che è riuscito a mantenere intatto un nucleo aristocratico, a Roma, i cui nomi ancora echeggiano nelle proprietà immobiliari, fondiarie, e persino in qualche gruppo capitalistico. Sul lavoro, ribadisco che non lo si può definire a quel modo, perché è un atto sociale importante dell'uomo che si trasforma, proprio trasformando la natura.
In ogni lavoro poco produttivo c'è il seme dello sviluppo, quindi, l'approccio che consiglio e quello di avere grande rispetto per il lavoro, anche quando se ne trovano le forme per renderlo molto più proficuo e produttivo. Sull'auto referenzialità finanziaria se vuole significare l'idea che basti il denaro in se per produrre sviluppo, è vero, non è così. In genere un capitale finanziario che per troppo tempo resti improduttivo, tende a degradare, per effetto dell'inflazione, ma anche se è attivo sul piano della speculazione può subire gli effetti statistici delle grosse perdite e dei grossi guadagni, in un Casino non diverso dai tanti altri in cui sempre e solo il banco, alla lunga vince. Lo sviluppo è qualche cosa di molto più complesso del possesso fortuito di denaro, e riguarda così tante competenze che può svilupparsi sono in una società di livello adeguato. Per queste ragioni, è scomparsa la società aristocratica che trovava un tempo la propria forza referenziale nella Monarchia e nell'esercito. Ora, i nuovi aristocratici, se si stanno formando, sono persone diverse, e qualche volta sono persino
poeti.
1.
«Anche il prof. David Graeber si chiede come mai, nonostante l’enorme progresso tecnologico, non si sia avverata la profezia di Maynard Keynes sulla riduzione drastica delle ore di lavoro».
La riduzione delle ore di lavoro per unità di prodotto c'è stata, eccome. La cosa che credo interessi al Prof. D. Graeber è perché nell'Occidente della elevata produttività non si è ridotto l'orario di lavoro dei salariati. Le cause sono molteplici, e tra le più banali che derivano dalla mia diretta esperienza (per trent'anni ho fatto ogni giorno lavorativo della settimana, centoventi chilometri di code), è che vi è moltissima gente che impiega tre o quattro ore di trasporto per recarsi sul luogo di lavoro e, dal loro stretto punto di vista, sobbarcarsi quella spesa e quella fatica, per esempio, per sole quattro ore di lavoro, sarebbe mortificante oltre ogni limite, dato che a parità di condizioni, lavorare quattro ore si guadagna la metà che lavorarne otto. Sempre che il reddito di meno lavoro basti, conviene ridurre la settimana lavorativa di qualche giorno. Poi, vi è l'altro aspetto, quello dal punto di vista della remunerazione del capitale e dell'impresa, che ti spinge a lavorare del tempo in più per soddisfare i tuoi bisogni e quelli della famiglia.
Qui stiamo già introducendo concetti come: costo del lavoro e reddito da lavoro - sia sul versante di chi lavora, che del capitale e dell'impresa - e per ora saltiamo il capitolo degli artigiani e dei professionisti, che comunque sono pur sempre competitori dei lavoratori dipendenti da un salario-orario. E diamo un brevissima indicazione del fatto che in un mercato aperto, ogni battito di farfalla in Cina o in Brasile, si riverbera anche dalle nostre parti. Ed è doveroso aggiungere che il paniere della spesa, in un secolo è cambiato moltissimo, riempendosi di merci che un tempo, o non esistevano, oppure erano soltanto appannaggio dei ricchi. Credo che almeno da questo punto di vista, chi volesse scrivere una equazione differenziale per rappresentare questo concetto, avrebbe tutte le variabili per farlo. E volendola risolvere, per le costanti, basta riferirsi ad uno stato determinato e mettere i valori che l'ISTAT rileva, per il nostro paese in rapporto al Mondo.
2.
«Mentre si licenziano migliaia di lavoratori dei settori manifatturieri, lamentando la loro scarsa produttività, si concedono stipendi e liquidazioni milionarie agli esperti finanziari, il cui tasso di produttività sfiora gli attributi divini, se dobbiamo dedurlo dalle retribuzioni che riescono ad ottenere».
Nessuno licenzia lavoratori per scarsa produttività, salvo casi sporadici ed individuali. Se invece tutta l'impresa sta uscendo dal mercato perché obsoleta, a) non essendo stata capace di innovare tecnologie e prodotto, nonostante gli sforzi economici dell'imprenditore, b) oppure perché il capitale ha preferito metterla in liquidazione con la tecnica di mungere in pochi anni enormi profitti, anziché finanziarne lo sviluppo. Ecco che tutti, nel primo caso: operai, dirigenti e imprenditori mal accorti vengono licenziati ed espulsi dal settore produttivo - in genere manifatturiero. Mentre nel secondo caso si salvano gli amministratori delegati che hanno svuotato l'azienda dei suoi contenuti, mettendola di fatto in liquidazione, e gli imprenditori che sono riusciti a recuperare i loro capitali, mentre tutti gli altri vengono gettati in mezzo ad una strada. In questo gioco, le liquidazioni milionarie, derivano proprio da quel patto scellerato che vi è stato tra capitale ed alta dirigenza, per smantellare la fabbrica cercando di recuperare il massimo del capitale possibile. Quello degli stipendi elevatissimi ai direttori generali ed agli amministratori delegati è proprio un segnale inequivocabile di quella politica. Questo depauperamento della nostra industria è possibile, perché troppa gente non si è accorta di come avvengano questi processi, e del perché avvengano. Il fatto che dopo decenni si sia ancora qui a discutere di queste cose, è perché la buona stampa non esiste, e la cattiva stampa è al servizio di chi sta distruggendo il paese, pezzo per pezzo. Se il paese resiste, è perché ha propri anticorpi che agiscono talvolta inspiegabilmente, facendo nascere nuove professioni e nuovi rapporti economici, ma la vera ripresa può avvenire su di un piano più elevato, e solo se si creano relazioni industriali più solide e finalizzate all'interesse generale del paese, proprio come è scritto nella nostra Costituzione.
3.
«Ma, prenderne atto felicemente e ridistribuire la ricchezza, riducendo anche le ore lavorative per tutti costituirebbe una minaccia di sistema, per cui assistiamo alla nascita di una umanità votata all’esercizio di una miriade di lavori inutili, specializzata in procedure, intermediaria ed arraffona, superflua e pomposa, tuffata in carriere di relazione, il cui contenuto risiede solo in una rimuneratività arbitraria, concessa da regole pubbliche artatamente instaurate sulla base dei buoni propositi sociali, o da una sapiente offerta privata di consulenze furbe e interessate»
Ridistribuire la ricchezza è importante, specie in momenti di crisi, perché permette di soddisfare le esigenze anche di strati della popolazione, che pure aspirando a quei consumi, non può permetterseli. Fino a quando si intaccano rendite improduttive, quella è manna che finisce nel manifatturiero e nei servizi. Non bisogna aggredire quei capitali che sono votati all'impresa, anzi, occorre fare in modo di attrarli, sempre alle condizioni di quel bene comune che deve essere la principale finalità.
Anzi, lo Stato dovrebbe costituirli in proprio, ed impiegarli, quando l'iniziativa privata non fosse all'altezza di quel compito, non senza prima averla aiutata a superare le proprie difficoltà e timidezze. Quando però si viene ai lavori inutili, la questione si fa molto delicata, specie se si tratta di stabilire se sono inutili in assoluto o rispetto a chi. Ed aprire un capitolo su questo tema vasto non è molto facile. Credo che sia sbagliato dare troppa enfasi all'inutilità di certo lavoro se non se ne indichi nome e cognome e non se ne spieghi le ragioni. Se si fa questo, cioè, se si fa una vera critica, in essa si trovano anche gli argomenti e gli strumenti per superarlo. Criticare il lavoro, indipendentemente dal fatto che sia utile o inutile - una parte di lavoro inutile nel lavoro che dovrebbe essere tutto utile c'è sempre - porta la progresso. Non so se questo ambiguo concetto lo avete capito, ma è così. Il teorema di Carnot ci quantifica quanta parte del calore di una trasformazione si trasforma in lavoro, perché anche nei processi fisici vi è sempre una parte che trova la sua utilizzazione immediata e un'altra che si degrada. E se succede nella natura, perché non dovrebbe succedere anche nel nostro stato? Accade così anche per la nostra spesa. Torniamo a casa con dieci sacchetti pieni di merci e cibo, e cinque di quei sacchetti finiscono nel ciclo dei rifiuti. Quando si dedicava molto più tempo nella produzione e nella trasformazione di quelle merci e materie prime in cibi, igiene della casa, senza elettrodomestici, vi era anche meno spazzatura. Se cambiano le condizioni dello sviluppo, non è ammissibile fare alcun confronto, ed è da ciò che nascono i paradossi che cerco di mostrare. Quel:« rimuneratività arbitraria, concessa da regole pubbliche artatamente instaurate ... o consulenze furbe e interessate», fa parte di quel sistema di anticorpi di cui dicevo prima, ma che di per se non porta ad un livello più elevato dello sviluppo della nostra società, ma ad un ripiegamento verso il basso.
Passiamo un attimo a Rom, e prendo emblematicamente questo periodo:
4.
«Insomma, la democrazia capitalistica ha scisso la funzione che un tempo aveva l'aristocrazia: la parte utile e in qualche modo necessaria, allo Stato e alle categorie istituzionalizzate, mentre la parte voluttuaria e svuotata di ogni riferimento etico devoluta ai meccanismi della pura auto referenzialità finanziaria e speculativa, insomma appunto i lavori-stronzata».
Non mi piace perché assume delle espressioni: democrazia capitalistica e lavori-stronzata che sono modi distorti di aggettivare la democrazia ed il lavoro. La democrazia è una cosa, il capitalismo è un'altra, ed entrambe possono fare a meno dell'altra in certi momenti storici. Se si parla di democrazia, lo si può fare per contrapporla ad altre forme di governo, o per criticarne i limiti in certe circostanze generali o specifiche. Se si parla di capitalismo, occorre pensare alle forme di finanziamento che le città stato elleniche mettevano in campo, per finanziare le flotte, i commerci, le guerre. E da allora in poi i tesori, nelle forme più varie dell'accumulazione, hanno sempre costituito sostanze capaci di mettere in moto progetti di varia natura. Noi, parlando di capitalismo, ci riferiamo prevalentemente a quello dell'era industriale, e ne conosciamo gli aspetti deteriori dello sfruttamento per la durezza del lavoro in se, e per il potere - anche legislativo - che lo regolava. E proprio per le vicende legate allo sviluppo di nuove regole che implicassero anche una trasformazione dei processi produttivi, che nell'ultimo secolo abbiamo vissuto l'epopea di grandi rivoluzioni e di un progresso sociale ancora più grande. L'aristocrazia muore perché è inadeguata ai compiti richiesti da una società in cui il titolo non può derivare dalla cavalleria, e la classe borghese scopre se stessa, proprio perché quel processo di trasformazione era in corso già da molto tempo, preparato dal Rinascimento e da quell'Illuminismo che mette le fondamenta nel seicento, con le tante menti illustri che lo hanno popolato. Certo, il nostro paese è in ritardo, se commemora solo due anni fa, il centocinquantesimo anniversario dell'unità, che viene organizzata e diretta dallo Stato Sabaudo mezzo secolo dopo la Rivoluzione Francese, e non da Mazzini e Garibaldi in nome della nostra borghesia e del popolo. Li c'è un residuo di aristocrazia che resta rintanato la dove è più fioca la luce dello sviluppo economico e del progresso. Senza contare il millennio del potere temporale che è riuscito a mantenere intatto un nucleo aristocratico, a Roma, i cui nomi ancora echeggiano nelle proprietà immobiliari, fondiarie, e persino in qualche gruppo capitalistico. Sul lavoro, ribadisco che non lo si può definire a quel modo, perché è un atto sociale importante dell'uomo che si trasforma, proprio trasformando la natura.
In ogni lavoro poco produttivo c'è il seme dello sviluppo, quindi, l'approccio che consiglio e quello di avere grande rispetto per il lavoro, anche quando se ne trovano le forme per renderlo molto più proficuo e produttivo. Sull'auto referenzialità finanziaria se vuole significare l'idea che basti il denaro in se per produrre sviluppo, è vero, non è così. In genere un capitale finanziario che per troppo tempo resti improduttivo, tende a degradare, per effetto dell'inflazione, ma anche se è attivo sul piano della speculazione può subire gli effetti statistici delle grosse perdite e dei grossi guadagni, in un Casino non diverso dai tanti altri in cui sempre e solo il banco, alla lunga vince. Lo sviluppo è qualche cosa di molto più complesso del possesso fortuito di denaro, e riguarda così tante competenze che può svilupparsi sono in una società di livello adeguato. Per queste ragioni, è scomparsa la società aristocratica che trovava un tempo la propria forza referenziale nella Monarchia e nell'esercito. Ora, i nuovi aristocratici, se si stanno formando, sono persone diverse, e qualche volta sono persino
poeti.
einrix- Messaggi : 10607
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Re: I Lavori-stronzata
1 - "Quando però si viene": direi meglio "quando finalmente si viene al tema della discussione".einrix ha scritto: 1 - ...Quando però si viene ai lavori inutili, la questione si fa molto delicata, specie se si tratta di stabilire se sono inutili in assoluto o rispetto a chi. Ed aprire un capitolo su questo tema vasto non è molto facile.
...
2 - Passiamo un attimo a Rom, e prendo emblematicamente questo periodo:
«Insomma, la democrazia capitalistica ha scisso la funzione che un tempo aveva l'aristocrazia: la parte utile e in qualche modo necessaria, allo Stato e alle categorie istituzionalizzate, mentre la parte voluttuaria e svuotata di ogni riferimento etico devoluta ai meccanismi della pura auto referenzialità finanziaria e speculativa, insomma appunto i lavori-stronzata».
Non mi piace perché assume delle espressioni: democrazia capitalistica e lavori-stronzata che sono modi distorti di aggettivare la democrazia ed il lavoro. La democrazia è una cosa, il capitalismo è un'altra, ed entrambe possono fare a meno dell'altra in certi momenti storici.
Che la questione sia delicata è ovvio, e ancora più ovvia era la difficoltà e/o la necessità di "stabilire se sono inutili in assoluto etc".
Aprire un capitolo sul rapporto che esiste tra le tue, diciamo così, premesse e le tue talvolta criptiche conclusioni costituisce un altrettanto vaste programme.
2 - Sono contento della tua attenzione di un attimo. Ma, già che c'eri, potevi largheggiare e concedermene - concedertene - un paio in più, evitando così qualche precisazione inutile.
Certo che la democrazia e il capitalismo sono cose diverse: per questo ha senso e un preciso significato specificare se si tratta o no, e quanto e come, di una "democrazia capitalistica" o di una democrazia d'altro tipo, o se e quanto si possa parlare di un capitalismo democratico o non democratico, etc. etc.
In questa discussione, caro Einrix, si manifesta in modo più evidente che in altre la tua tendenza a fare dei lunghi giri concettuali (anche interessanti, in molti casi) che hanno l'aria di voler andare "al di là", e che però o non arrivano a una sintesi o arrivano esattamente alla casella iniziale del problema, cioè rimangono sostanzialmente "al di qua".
Rom- Messaggi : 996
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Re: I Lavori-stronzata
Nel risponderti ho voluto dare più credito di quanto meriti quello che hai scritto, per amore di discussione.Rom ha scritto:1 - "Quando però si viene": direi meglio "quando finalmente si viene al tema della discussione".
Che la questione sia delicata è ovvio, e ancora più ovvia era la difficoltà e/o la necessità di "stabilire se sono inutili in assoluto etc".
Aprire un capitolo sul rapporto che esiste tra le tue, diciamo così, premesse e le tue talvolta criptiche conclusioni costituisce un altrettanto vaste programme.
2 - Sono contento della tua attenzione di un attimo. Ma, già che c'eri, potevi largheggiare e concedermene - concedertene - un paio in più, evitando così qualche precisazione inutile.
Certo che la democrazia e il capitalismo sono cose diverse: per questo ha senso e un preciso significato specificare se si tratta o no, e quanto e come, di una "democrazia capitalistica" o di una democrazia d'altro tipo, o se e quanto si possa parlare di un capitalismo democratico o non democratico, etc. etc.
In questa discussione, caro Einrix, si manifesta in modo più evidente che in altre la tua tendenza a fare dei lunghi giri concettuali (anche interessanti, in molti casi) che hanno l'aria di voler andare "al di là", e che però o non arrivano a una sintesi o arrivano esattamente alla casella iniziale del problema, cioè rimangono sostanzialmente "al di qua".
Un saluto.
einrix- Messaggi : 10607
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