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Agorà

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Messaggio Da Rom Ven 12 Lug 2013, 06:45

In uno dei canali secondari della programmazione televisiva digitale, due sere fa è andato in onda il film Agorà, di Alejandro Amenàbar, interpretato da una bellissima Rachel Weisz, nella parte di Hypatia: un'altra suggestiva, coinvolgente figura femminile, dopo quella vista nel Giardiniere tenace, sempre col volto della Weisz.
La storia della scienziata e filosofa Hypatia è nota: calunniata prima, minacciata e infine uccisa dagli zeloti cristiani di Alessandria, in uno dei tanti atti di repressione e persecuzione che nei primi secoli, ma soprattutto dopo Costantino, segnarono la costituzione del totalitarismo dottrinario e temporale della chiesa cristiana.
Per questo, Hypatia è diventata nel tempo una delle icone più celebrate del libero pensiero, e per questo in Italia è così poco popolare, essendole preferite le Marie Goretti e le più utili matrone imperiali come la santa Elena. Anzi, pare che il film stesso sia stato vellutatamente ostacolato nella sua distribuzione italiana proprio dal Vaticano. Ma queste sono cose che appartengono all'ormai sterminato archivio delle bassezze ecclesiastiche.

Quello che torna buono per l'attualità è, invece, il titolo del film: Agorà, cioè piazza, come centro della polis.
Una scelta, credo assolutamente consapevole, molto chiara nelle sue implicazioni, in un tempo nel quale si ridiscute la democrazia.
L'irruzione nel Serapeo di Alessandria, la devastazione della biblioteca, la persecuzione e la lapidazione di Hypatia, non avvengono in seguito a un colpo di stato o ad opera di un monarca impazzito o capriccioso. Sono invece una decisione dell'agorà, della piazza. Del popolo. 
Il film è un buon film, ma - a parte la Weisz - non è un capolavoro. Ma farebbero bene a vederlo, e poi a rivederlo alla moviola dieci volte, quelli che parlano del "popolo del web" e di democrazia diretta o indiretta, di piazza vituale e della "gente".
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Messaggio Da cireno Dom 14 Lug 2013, 08:38

Amenàbar è fra i miei registi preferiti, che non sono tanti e poi di regola sono "particolari" : Tim Burton, Lars von Triers, Terence Malik, Ingmar Bergman, Olmi, Tarkovskij, Soderberg, Aronofski, Sorrentino, Avati, Stone e qualche altro, quindi ho guardato, due volte come sempre, il suo Agorà, titolo mai così azzeccato come ben dice ROM qua sopra, in quanto anche se il film è incentrato sulla figura di Ipatia in realtà la vera interprete è la PIAZZA di Alessandria. 
E concordo con ROM sulla fragilità della democrazia, diretta o indiretta come si vuole, così facilmente vulnerabile da sentimenti che con la ragione spesso non hanno niente a che fare.
Aveva quindi ragione Platone: ma quale democrazia? fin che il popolo è così facilmente plasmabile nel pensiero, meglio la sua dittatura dei filosofi. Il guai sarebbe trovarli, sti filosofi.
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Messaggio Da Rom Lun 15 Lug 2013, 05:53

cireno ha scritto:Amenàbar è fra i miei registi preferiti, che non sono tanti e poi di regola sono "particolari" : Tim Burton, Lars von Triers, Terence Malik, Ingmar Bergman, Olmi, Tarkovskij, Soderberg, Aronofski, Sorrentino, Avati, Stone e qualche altro ...

Le mie preferenze, in fatto di autori di cinema, sono divise tra i visionari e i narratori di storie: David Lynch, Mario Monicelli, John Ford, Stanley Kubrik, Raoul Walsh, Luigi Magni, Howard Hawks, Luchino Visconti, Francesco Rosi. E poi ci sono le perle, cioè gli autori di un film e basta, ma indimenticabile.
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Messaggio Da cireno Lun 15 Lug 2013, 07:04

Rom ha scritto:

Le mie preferenze, in fatto di autori di cinema, sono divise tra i visionari e i narratori di storie: David Lynch, Mario Monicelli, John Ford, Stanley Kubrik, Raoul Walsh, Luigi Magni, Howard Hawks, Luchino Visconti, Francesco Rosi. E poi ci sono le perle, cioè gli autori di un film e basta, ma indimenticabile.

 Visionari? E chi è più visionario di Tim Burton? di Tarkovskij? di Malik? 
Kubrik, Magni, Rosi...questi sarebbero visionari? Bah?!
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Messaggio Da Rom Lun 15 Lug 2013, 08:40

cireno ha scritto:

 Visionari? E chi è più visionario di Tim Burton? di Tarkovskij? di Malik? 
Kubrik, Magni, Rosi...questi sarebbero visionari? Bah?!

Sono narratori di storie. Visionari, alcuni dei narratori lo sono comunque, anche se non nel modo rarefatto e favolistico di altri.
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Messaggio Da Zardoz Lun 15 Lug 2013, 18:56

Ne ho visto un pezzettino
devo dire che a me sti film ambientati nell'antichità (ma anche in ogni epoca passata in generale) non convincono mai del tutto
sarà l'ambientazione, le recitazioni, i discorsi pomposi e retorici che trovo inverosimili
mi sembra non riescono a sfuggire dall'idea che sia tutta una finzione

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Messaggio Da Rom Mar 16 Lug 2013, 01:16

Zardoz ha scritto:Ne ho visto un pezzettino
devo dire che a me sti film ambientati nell'antichità (ma anche in ogni epoca passata in generale) non convincono mai del tutto
sarà l'ambientazione, le recitazioni, i discorsi pomposi e retorici che trovo inverosimili
mi sembra non riescono a sfuggire dall'idea che sia tutta una finzione

Hai ragione, specialmente là dove lo sfondo è quello dell'antichità classica e monumentale, che nella quasi totalità dei casi dev'essere necessariamente "ricostruita": per quanto bene si faccia, l'effetto-cartapesta è assicurato. Insomma, sono molto teatrali, per forza, e il teatro richiede una grande complicità da parte dello spettatore.
Sulla retoricità del linguaggio il discorso è analogo, con una variante: quella certa pomposità, che tu giustamente lamenti, fa parte del tentativo di essere "realisti", facendo corrispondere il linguaggio alla grandiosità scenografica e, soprattutto, alla percezione che mediamente si ha della classicità, che identifichiamo con la letteratura attraverso la quale la conosciamo.
Naturalmente, la vita e il linguaggio del mondo classico non erano per niente "aulici" e teatrali, e greci, latini, cartaginesi non si mettevano continuamente in posa togata e non declamavano le proprie incazzature con i vocativi: il rapporto tra ufficialità e quotidianità era probabilmente identico, allora, a quello che viene fuori, oggi, dal confronto tra i discorsi in parlamento e quelli delle intercettazioni telefoniche, o dei fuori onda televisivi.
Ma in genere lo scopo di chi fa film "storici" è quello di raccontare l'ufficialità, e noi di quella storia conosciamo quasi esclusivamente o l'ufficialità o un racconto già sceneggiato e mitizzato: abbiamo il De bello gallico e l'Anabasi, ma non abbiamo equivalenti de La Debacle di Zola o di Guerra e pace.

Ricordo un solo esempio di classicità cinematografica priva di questa impostazione: l'Edipo Re, di Pasolini, in cui la scenografia monumentaleggiante è ridotta al minimo, e Tebe e Corinto somigliano ai paesaggi del terzo mondo africano, e quasi preannunciano il west smitizzato di Sergio Leone. Il paesaggio silvano e campestre, e la polvere, si riappropriano della scena, così come doveva essere duemila anni fa, o anche solo era all'inizio del XX secolo, dove il film comincia.
Il realismo che, da un certo momento in poi, si è imposto nella cinematografia storica è più che altro un semplice spostamento in avanti dell'ambientazione, che diventa medievale, cioè barbarica: capanne di tronchi, taverne fumose e facce patibolari prendono il posto dei marmi e dei colonnati corinzi, disconoscendo, con una semplificazione uguale di segno contrario, la realtà del mondo classico.

Il nostro fastidio, o almeno il nostro scetticismo, verso la falsità della rappresentazione storica, però, dovremmo interpretarla come lo specchio della nostra ignoranza, ossia della incapacità di avere una consapevolezza della realtà mentre diventa storia. Più crudamente, della nostra incapacità di andare oltre le apparenze più vistose e oltre l'ufficialità.
Per esempio, nelle rievocazioni - cinematografiche o storiografiche - del nazismo ci sono, ugualmente, due indirizzi molto diversi, reso possibile, il secondo, dalla vicinanza degli avvenimenti: la ricostruzione "epica", che si snoda tra putsch, adunate oceaniche e Panzerdivision, e quella fatta di cronaca, spesso cronaca familiare, rumori lontani e avvertimenti che rimangono inascoltati, minimizzati, ignorati.
La nostra percezione, la consapevolezza, del nostro mondo, insomma, è spesso uguale a quella rappresentazione che giustamente definisci pomposa e retorica dei fatti di Alessandria: quella agorà non esplode all'improvviso, la sopraffazione, la demagogia populistica, la truffa ideologica, la violenza e gli opportunismi politici che ne sono l'antefatto hanno permeato la vita quotidiana nelle città e nei villaggi, mascherate e rivestite di "ufficialità", per decenni, prima di diventare "pensiero unico" e devastazione epocale.



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Messaggio Da cireno Mar 16 Lug 2013, 05:51

La via di fuga l'avrebbero: far recitare in scenografie e con costumi attuali, moderni. Perchè dover ricostruire Alessandria o Tebe o Roma? Bruto che uccide Cesare lo uccide anche vestito in jeans e Lacoste. Anche a me non piacciono i film con quinte e scene di cartapesta. E per la verità non mi piacevano nemmeno le ambientazioni pasoliniane, che trovavo certamente ridotte all'osso ma barocche nell'ambientazione, anzi spesso addirittura troppo "dark".
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Messaggio Da Rom Mar 16 Lug 2013, 07:15

cireno ha scritto:La via di fuga l'avrebbero: far recitare in scenografie e con costumi attuali, moderni. Perchè dover ricostruire Alessandria o Tebe o Roma? Bruto che uccide Cesare lo uccide anche vestito in jeans e Lacoste. Anche a me non piacciono i film con quinte e scene di cartapesta. E per la verità non mi piacevano nemmeno le ambientazioni pasoliniane, che trovavo certamente ridotte all'osso ma barocche nell'ambientazione, anzi spesso addirittura troppo "dark".

In linea di massima a me non piacciono le attualizzazioni, tanto quanto la cartapesta o le barbe finte.
La faccenda è complicata.
L'attualizzazione - a prescindere che a me piaccia o no - può funzionare là dove il testo è prevalente sul contesto, cosa piuttosto rara anche nelle opere teatrali: uno che si chiama Cesare, che viene accoltellato, somiglia a un delitto di borgata. A questo punto sarebbe meglio il radiodramma, cioè il dramma in sola voce, lasciando il contesto alla fanstasia dell'ascoltatore, come avviene nella lettura dei romanzi.
Questa è la ragione, per esempio, per cui a me difficilemente piace il cinema di fantascienza, che, per quanto genio viene impiegato da scenografi e addetti agli effetti speciali, è limitativo rispetto al libro e quasi sempre trasforma in fumettone anche la vicenda più epica.

I film storici, in definitiva, sono davvero una dilatazione del concetto teatrale, che non può fare a meno della complicità dello spettatore.
Io non vedo vie d'uscita, specialmente nel caso dell'epoca greco-romana, che ha una caratterizzazione molto accentuata, sia rispetto a civiltà precedenti, che hanno tratti estetici peculiari più essenziali, sia rispetto a tempi successivi, che ci sono in qualche modo più familiari.
Il mondo romano e greco-alessandrino è infatti un mondo totale, che ha elementi inscindibili tra loro, e diverso da qualunque altro: le vicende romane, i fatti di Capua e la rivolta di Spartaco, gli "ergastoli" siciliani, l'agorà ateniese, il battaglione sacro tebano, i discorsi nel Foro, e la loro alterità rispetto al mondo barbarico, o persiano, e il loro rapporto con la natura, non sono comprensibili se non rappresentati (o immaginati, come dicevamo prima) nella loro estetica umana e architettonica.
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