***Caffé amaro***
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KillingTime
Rom
Arzak
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AreaForum :: Nuvole barocche :: 4
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***Caffé amaro***
.
Ci riprovo.
Era già un po' che avevo questo racconto nel cassetto. Il titolo originale era Una storia sbagliata, ma non ho voluto creare doppioni. Avevo qualche pudore nel pubblicarlo, perché al contrario di altre narrazioni leggere dai vaghi connotati temporali, questa si svolge proprio in "quegli anni", come dice Rom, che hanno visto nascere e morire speranze, amori e persone che hanno segnato la nostra vita, ed in cui i nostri comportamenti non sempre seguivano la via della ragione.
Il taglio da amaro amarcord potrà forse essere considerato melodrammatico e attirarmi fiumi di critiche. Non importa, lo pubblico perché sento di poterlo fare davanti ad amici, ma soprattutto perché ne provo quasi un bisogno fisico.
Diciamo pure che non si tratta nemmeno di un racconto, ma di un pezzo di cronaca. Soprattutto di cronaca nera.
Una preghiera: i commenti sono graditi, anzi richiesti. Se da questi dovessero però scaturire considerazioni più estese, per non rendere difficoltosa la lettura inviterei gli amici a servirsi di spazi più confacenti.
Ci riprovo.
Era già un po' che avevo questo racconto nel cassetto. Il titolo originale era Una storia sbagliata, ma non ho voluto creare doppioni. Avevo qualche pudore nel pubblicarlo, perché al contrario di altre narrazioni leggere dai vaghi connotati temporali, questa si svolge proprio in "quegli anni", come dice Rom, che hanno visto nascere e morire speranze, amori e persone che hanno segnato la nostra vita, ed in cui i nostri comportamenti non sempre seguivano la via della ragione.
Il taglio da amaro amarcord potrà forse essere considerato melodrammatico e attirarmi fiumi di critiche. Non importa, lo pubblico perché sento di poterlo fare davanti ad amici, ma soprattutto perché ne provo quasi un bisogno fisico.
Diciamo pure che non si tratta nemmeno di un racconto, ma di un pezzo di cronaca. Soprattutto di cronaca nera.
Una preghiera: i commenti sono graditi, anzi richiesti. Se da questi dovessero però scaturire considerazioni più estese, per non rendere difficoltosa la lettura inviterei gli amici a servirsi di spazi più confacenti.
Arzak- Messaggi : 363
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
.
E' una storia da dimenticare
e' una storia da non raccontare
PROLOGO
Con quella faccia un po' così,
quell'espressione un po' così...
Chissà perché un certo genere di persone si lascia coinvolgere da una donna sbagliata per creare una storia sbagliata in un momento sbagliato. Per incoscienza, forse. Magari si viene distratti da altri elementi che ci fanno perdere la lucidità. O semplicemente perchè è proprio quel qualcosa di sbagliato che ci attira, per la stessa ragione per cui l'acqua, le valanghe e la sfortuna preferiscono andare verso il basso. Il trionfo dell'entropia, la fascinazione del male...
La storia si svolge nella città il cui cardinale aveva fatto apporre sulla cupola della cattedrale l'enorme scritta DIO TI VEDE, rivolta però non all'intera cittadinanza, ma solo verso i vicoli dell'angiporto abitati dai più poveri, e quindi sentina di vizio e di corruzione.
Anche i quartieri popolari tuttavia si differenziavano per una loro gerarchia interna. C'era la zona dei vicoli più malfamati come via Prè, Shangai, la Colonna infame o il vico dell'Amore Perfetto, in cui ad onta del nome avvenivano i più turpi mercimoni. Ad essa si intrecciava un'area commerciale un po' più rispettabile, come via Orefici, salita Pollaioli o vico Indoratori, nomi che rievocano le corporazioni medievali, ma esisteva anche una parte "residenziale", un po' come i Parioli dei poveri. A dividerla dalle altre due aree si ergeva la chiesa della Nunziata, un altro baluardo contro qualunque nefasto influsso proveniente dalla suburra.
1 - Lei
Ma se ghe pensu allua mi veddu o mâ,
veddu i mæ monti e a ciassa da Nunsiâ,
Laura viveva appunto nei quartieri alti della città bassa. Era dunque di origini modeste, ma non lo dava a vedere. Mora, capelli lunghi, viso incavato e grandi occhi scuri. Non alta ma dotata di un fisico superbo e di un fascino che incantava chiunque. In realtà ciò che attirava in lei era la disinvoltura, una scioltezza nei movimenti che la rendeva "elegante" anche al di là dei semplici vestiti indossati: maglietta, giacca di pelle nera e jeans. Una ragazza insomma che era, o perlomeno sembrava, a proprio agio dappertutto e che trasmetteva questa sensazione anche a chi la circondava. Una vera rarità, se si pensa alla drammatica goffaggine che affliggeva indistintamente maschi e femmine cresciuti nell'era geologica democristiana. Laura era insomma già "avanti", forse anche troppo per sperare di raggiungerla.
Va da sé che ne ero disperatamente ma inutilmente attratto anch'io, senza aver mai neanche osato farglielo capire. Laura stava con Luigi, era noto. Tipo alto, simpatico, con gli occhi sognanti ed una giacchetta nera striminzita, amico di tutti e nemico di nessuno. Fra l'altro suonava discretamente la chitarra ponendosi così su di un piedistallo irraggiungibile, per aspiranti strimpellatori del mio livello.
All'epoca, nonostante vivessi ancora in famiglia, avevo preso in affitto con alcuni amici una mansarda proprio in quella zona. Si trattava in realtà un bilocale, un po' scomodo per via delle scale ripide e strette con i gradini di altezza diversa fra di loro, come capita in quelle case dei vicoli vecchie di quattrocento anni che paiono cercare la luce allungandosi verso l'alto come gli alberi di una foresta. Si arrivava in cima col fiatone, ma si veniva ripagati da un terrazzino che si affacciava sui tetti della città, e da cui in lontananza si scorgeva la mole della Lanterna che vegliava sul porto. Uno spettacolo soprattutto alla sera, quando il buio veniva violato dalle intermittenti sciabolate del faro. L'ambiente era dunque un pied-à-terre bohémien, ma molto più prosaicamente noi parlavamo di "scannatoio", prefigurando con ciò il nobile ma spesso frustrato intento di alleviare dall'umiliante peso della castità le poche volonterose che ci capitavano sottomano.
In realtà, proprio per la cronica carenza di materia prima e di capacità accalappiatorie dei coinquilini, la casa serviva più che altro per vederci fra noi maschi, giocare a carte e fantasticare su viaggi esotici che ci sottraessero al grigiore provinciale in cui vivevamo. Arrivavano a volte anche Laura e Luigi, irradiando un'alone di invidiata armonia di coppia. L'invidiato era però soprattutto lui per via della prelibata compagna, ma non al punto di apparirci antipatico. Parlava sempre a bassa voce con un atteggiamento talmente mite e suadente che era difficile rinfacciargli la fortuna che gli era capitata. Non si sapeva che lavoro facesse, d'altra parte quasi nessuno di noi lavorava, essendo ancora studenti a carico dei genitori, ed era un miracolo riuscire a racimolare i pochi soldi per pagare l'affitto.
Una volta mi era anche capitato, nel confuso andirivieni che caratterizzava quella soffitta e quel periodo, di restare per qualche attimo a tu per tu con Laura. Mentre io balbettavo qualche banalità lei riusciva a dialogare in modo sempre cordiale, come se davvero non si accorgesse che i ragazzi le morivano dietro. Forse vi era abituata, ma tanta disinvoltura davvero sconcertava perché era in genere attribuita a ragazze più facili, e non ad una tenace monogama come lei.
Di cosa le avevo parlato? Chi sa. Forse di vaghi progetti di viaggio, di evasione. Ricordo però i suoi, assai meno fumosi. Lavorare un po' come commessa, o con quel che trovava, e coi soldi risparmiati mettere su un bar da gestire con Luigi. Un sogno, ma esposto con una tale fiduciosa concretezza da farlo apparire realizzabile da lì a poche settimane.
Ovviamente in quella circostanza non ho tentato neanche un sia pur minimo gesto che le facesse capire il mio stato d'animo. Paradossalmente era proprio il suo atteggiamento confidenziale a disorientarmi, quasi fossi un suo vecchio amico e non uno dei tanti rassegnati ammiratori.
Solo più tardi, a casa, ripenso a quel breve colloquio in modo autocritico. Perché non avevo approfittato di quell'insperata apertura? Avrei potuto dire così, o fare cosà, magari invitarla di nuovo lì con qualche pretesto, un compleanno, una festa qualsiasi. Ovviamente assieme a Luigi, per carità. Non speravo certo di ottenere qualcosa, solo per poterla vedere di nuovo da vicino, e magari parlarle. Di più non avrei osato.
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E' una storia da dimenticare
e' una storia da non raccontare
PROLOGO
Con quella faccia un po' così,
quell'espressione un po' così...
Chissà perché un certo genere di persone si lascia coinvolgere da una donna sbagliata per creare una storia sbagliata in un momento sbagliato. Per incoscienza, forse. Magari si viene distratti da altri elementi che ci fanno perdere la lucidità. O semplicemente perchè è proprio quel qualcosa di sbagliato che ci attira, per la stessa ragione per cui l'acqua, le valanghe e la sfortuna preferiscono andare verso il basso. Il trionfo dell'entropia, la fascinazione del male...
La storia si svolge nella città il cui cardinale aveva fatto apporre sulla cupola della cattedrale l'enorme scritta DIO TI VEDE, rivolta però non all'intera cittadinanza, ma solo verso i vicoli dell'angiporto abitati dai più poveri, e quindi sentina di vizio e di corruzione.
Anche i quartieri popolari tuttavia si differenziavano per una loro gerarchia interna. C'era la zona dei vicoli più malfamati come via Prè, Shangai, la Colonna infame o il vico dell'Amore Perfetto, in cui ad onta del nome avvenivano i più turpi mercimoni. Ad essa si intrecciava un'area commerciale un po' più rispettabile, come via Orefici, salita Pollaioli o vico Indoratori, nomi che rievocano le corporazioni medievali, ma esisteva anche una parte "residenziale", un po' come i Parioli dei poveri. A dividerla dalle altre due aree si ergeva la chiesa della Nunziata, un altro baluardo contro qualunque nefasto influsso proveniente dalla suburra.
1 - Lei
Ma se ghe pensu allua mi veddu o mâ,
veddu i mæ monti e a ciassa da Nunsiâ,
Laura viveva appunto nei quartieri alti della città bassa. Era dunque di origini modeste, ma non lo dava a vedere. Mora, capelli lunghi, viso incavato e grandi occhi scuri. Non alta ma dotata di un fisico superbo e di un fascino che incantava chiunque. In realtà ciò che attirava in lei era la disinvoltura, una scioltezza nei movimenti che la rendeva "elegante" anche al di là dei semplici vestiti indossati: maglietta, giacca di pelle nera e jeans. Una ragazza insomma che era, o perlomeno sembrava, a proprio agio dappertutto e che trasmetteva questa sensazione anche a chi la circondava. Una vera rarità, se si pensa alla drammatica goffaggine che affliggeva indistintamente maschi e femmine cresciuti nell'era geologica democristiana. Laura era insomma già "avanti", forse anche troppo per sperare di raggiungerla.
Va da sé che ne ero disperatamente ma inutilmente attratto anch'io, senza aver mai neanche osato farglielo capire. Laura stava con Luigi, era noto. Tipo alto, simpatico, con gli occhi sognanti ed una giacchetta nera striminzita, amico di tutti e nemico di nessuno. Fra l'altro suonava discretamente la chitarra ponendosi così su di un piedistallo irraggiungibile, per aspiranti strimpellatori del mio livello.
All'epoca, nonostante vivessi ancora in famiglia, avevo preso in affitto con alcuni amici una mansarda proprio in quella zona. Si trattava in realtà un bilocale, un po' scomodo per via delle scale ripide e strette con i gradini di altezza diversa fra di loro, come capita in quelle case dei vicoli vecchie di quattrocento anni che paiono cercare la luce allungandosi verso l'alto come gli alberi di una foresta. Si arrivava in cima col fiatone, ma si veniva ripagati da un terrazzino che si affacciava sui tetti della città, e da cui in lontananza si scorgeva la mole della Lanterna che vegliava sul porto. Uno spettacolo soprattutto alla sera, quando il buio veniva violato dalle intermittenti sciabolate del faro. L'ambiente era dunque un pied-à-terre bohémien, ma molto più prosaicamente noi parlavamo di "scannatoio", prefigurando con ciò il nobile ma spesso frustrato intento di alleviare dall'umiliante peso della castità le poche volonterose che ci capitavano sottomano.
In realtà, proprio per la cronica carenza di materia prima e di capacità accalappiatorie dei coinquilini, la casa serviva più che altro per vederci fra noi maschi, giocare a carte e fantasticare su viaggi esotici che ci sottraessero al grigiore provinciale in cui vivevamo. Arrivavano a volte anche Laura e Luigi, irradiando un'alone di invidiata armonia di coppia. L'invidiato era però soprattutto lui per via della prelibata compagna, ma non al punto di apparirci antipatico. Parlava sempre a bassa voce con un atteggiamento talmente mite e suadente che era difficile rinfacciargli la fortuna che gli era capitata. Non si sapeva che lavoro facesse, d'altra parte quasi nessuno di noi lavorava, essendo ancora studenti a carico dei genitori, ed era un miracolo riuscire a racimolare i pochi soldi per pagare l'affitto.
Una volta mi era anche capitato, nel confuso andirivieni che caratterizzava quella soffitta e quel periodo, di restare per qualche attimo a tu per tu con Laura. Mentre io balbettavo qualche banalità lei riusciva a dialogare in modo sempre cordiale, come se davvero non si accorgesse che i ragazzi le morivano dietro. Forse vi era abituata, ma tanta disinvoltura davvero sconcertava perché era in genere attribuita a ragazze più facili, e non ad una tenace monogama come lei.
Di cosa le avevo parlato? Chi sa. Forse di vaghi progetti di viaggio, di evasione. Ricordo però i suoi, assai meno fumosi. Lavorare un po' come commessa, o con quel che trovava, e coi soldi risparmiati mettere su un bar da gestire con Luigi. Un sogno, ma esposto con una tale fiduciosa concretezza da farlo apparire realizzabile da lì a poche settimane.
Ovviamente in quella circostanza non ho tentato neanche un sia pur minimo gesto che le facesse capire il mio stato d'animo. Paradossalmente era proprio il suo atteggiamento confidenziale a disorientarmi, quasi fossi un suo vecchio amico e non uno dei tanti rassegnati ammiratori.
Solo più tardi, a casa, ripenso a quel breve colloquio in modo autocritico. Perché non avevo approfittato di quell'insperata apertura? Avrei potuto dire così, o fare cosà, magari invitarla di nuovo lì con qualche pretesto, un compleanno, una festa qualsiasi. Ovviamente assieme a Luigi, per carità. Non speravo certo di ottenere qualcosa, solo per poterla vedere di nuovo da vicino, e magari parlarle. Di più non avrei osato.
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Arzak- Messaggi : 363
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
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2 - La moto
Alla sera al caffé con gli amici si parlava di donne e motori
si diceva "son gioie e dolori" lui piangeva e parlava di te
Donne e motori, i due amori frustrati di quel periodo. Come gran parte dei miei coetanei nutrivo la non corrisposta passione della moto. Non del motorino, in genere il primo desiderio proibito dei ragazzi ancora appiedati, proprio delle moto di grossa cilindrata: visto che non potevo avere nè l'uno nè l'altra, tanto valeva sognare in grande.
Era poi un avvenimento quando qualcuno degli amici più anziani motorizzati mi concedeva di fare un giro con la sua Guzzi. Avevano formato una specie di armata Brancaleone che raccoglieva i peggio catorci anteguerra recuperati dal rottamaio e li rimetteva in sesto per poi organizzare delle scianche, ossia delle gare di velocità, sulle deserte strade della periferia. Marche comunque in gran voga, delle cui sigle ci riempivamo sensualmente la bocca con un fervore assieme religioso ed erotico: MM, Gilera, MVAgusta, Moto Morini. Per non parlare delle più esotiche e vagheggiate marche straniere, BSA, Norton, Triumph, Harley & Davidson, roba da orgasmo.
Ci si può immaginare che balzo al cuore ho provato quando nel cortile di un meccanico della periferia, in mezzo a rottami e residuati bellici, ho intravisto la sagoma di una polverosa ma mitica BMW 250. Carrozzeria carenata col parafango avvolgente e l'attacco per il sidecar. Proprio una di quelle moto dei film di nazisti, dove per invertire il senso di marcia il soldato sulla carrozzetta tirava il freno, e la moto girava di 180° facendo perno sulla ruota, uno sballo...
- Senta, ma quella BMW? - chiedo timidamente al meccanico.
- Allora?
- Ehm... è in vendita?
Quello si gratta la testa, incredulo che un simile ferrovecchio potesse trovare un acquirente.
- Vuoi comprarla?
- Beh, dipende. Quanto vuole?
Esita un po', mi squadra, poi spara la cifra.
- Dammi venticinque chili e te la porti via.
Strabuzzo gli occhi. Venticinquemila lire! Un'enormità, era quasi metà dello stipendio di un operaio.
- Ah. Ci devo pensare. Magari ripasso. Però non la dia via, nel frattempo...
Mi guarda come per dire "ma chi vuoi che se la prenda, quella ciofeca...".
Occorre sapere che da diversi mesi gestivo un'attività commerciale clandestina. Alla mattina, prima della scuola, compravo due chili di focaccia calda tagliata a strisce al forno di via San Vincenzo e durante la ricreazione la rivendevo al dettaglio ai miei compagni di classe lucrandoci sopra almeno un bel dieci lire alla fetta. Son soldi, considerato che in classe eravano trentacinque... In più c'erano le vincite derivanti dalle partitine a poker col mio compagno di banco, con quelle minicarte che si nascondono nel palmo della mano per sfuggire all'occhio dei prof. Cinque lire a puntata, non male. E' vero che nel poker si vince e si perde, ma io vincevo di più, per il semplice fatto che giocando in due, e quindi con meno carte (dal nove all'asso), capitano molte più combinazioni vincenti di quelle che chi è abituato a giocare in quattro possa prevedere. Ossia, quando rilanciavo pesantemente l'amico pensava che bluffassi e vedeva, facendomi così vincere perché la mano favorevole l'avevo davvero.
A casa verifico trepidante i risparmi. Per raggiungere la cifra richiesta mancava qualche migliaio di lire, intensifico dunque le mie attività illecite e in poche settimane supero il gap. Mi ripresento dal meccanico, meno male, la moto era sempre lì.
- Allora, la prendi? - fa il tipo. Si ricordava, dunque. Dovevo essere stato davvero l'unico a chiedere di quella reliquia.
- Beh, prima vediamo se almeno si mette in moto.
Quello libera il motociclo dai rottami, lo monta sul cavalletto e spolvera il sedile con uno straccio bisunto. Poi dà un colpo al pedale dell'avviamento. Vrooom, pot-pot-pot-pot...
Meraviglia. Dopo anni di abbandono era bastato un solo colpo per far rivivere alla bestia i tempi eroici della Giovinezza. Un ruggito, poi un borbottio sordo ma amichevole come il ronzare di un felino, che incute comunque timore per le latenti potenzialità aggressive. Osservo poi i dettagli: un serbatoio a vitino di vespa col prestigioso marchio; niente catena ma una trasmissione ad albero come le auto, una singolarità inaudita. E poi le cromature! Nonostante l'età ormai avanzata erano lucide come nuove, senza un filo di incrostazioni o di ruggine. Si sa che i tedeschi in fatto di meccanica e di gas venefici sono insuperabili. Monto su e faccio un giro per il cortile. Da brivido, appena giravo la manopola il motore ruggiva, facendomi sentire sullo sfondo l'eco della Cavalcata delle Walkirie. Nessun dubbio, il mondo era mio.
- La prendo.
Quando mi presento nella piazzetta dove stazionavano gli amici, le alte e vecchie case del quartiere riecheggiavano il rombo del motore come per annunciare l'evento. Ero il primo e l'unico della banda dei più giovani che avesse concretizzato il sogno, ed il mio status da mediocre qual era subisce un'improvvisa impennata di popolarità. Seguono poi i commenti invidiosi ma ammirati dei motofili più esperti.
- Caspita, un carburatore Bing! Il migliore!
- E la messa in moto laterale...
- E il giunto cardanico!
- Il sellino posteriore però è un po' alto.
- E' una moto da guerra. Il passeggero che sta dietro deve poter vedere sopra la testa del guidatore...
- Bene. Chi vuole venire a fare un giro in Riviera? - propongo alla fine.
Si offre solo Sandro, l'amico che frequentavo di più in quel periodo. Nonostante tutti i discorsi sui viaggi e l'evasione gli altri erano troppo pigri per schiodarsi da quella piazzetta. Trovavano in fondo più gratificante una birretta al bar, una partita a biliardo e qualche commento salace sulle ragazze di passaggio. Donne e motori, ma tutt'e due solo virtuali.
Vrooom, ed eccoci sulla via Aurelia col vento fra i capelli. Già, perchè il casco era sconosciuto, lo indossava solo qualche vecchietto esponendosi al dileggio popolare. Non avevo intenzione di andare molto lontano, era ormai pomeriggio inoltrato, ma già il togliersi da quei vicoli bui e viaggiare nel sole accompagnati dal ruggito del motore era più che esaltante. Ci fermiamo al porticciolo di Nervi ed imbocchiamo la passeggiata, per poi oziare su di una panchina godendoci il panorama.
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2 - La moto
Alla sera al caffé con gli amici si parlava di donne e motori
si diceva "son gioie e dolori" lui piangeva e parlava di te
Donne e motori, i due amori frustrati di quel periodo. Come gran parte dei miei coetanei nutrivo la non corrisposta passione della moto. Non del motorino, in genere il primo desiderio proibito dei ragazzi ancora appiedati, proprio delle moto di grossa cilindrata: visto che non potevo avere nè l'uno nè l'altra, tanto valeva sognare in grande.
Era poi un avvenimento quando qualcuno degli amici più anziani motorizzati mi concedeva di fare un giro con la sua Guzzi. Avevano formato una specie di armata Brancaleone che raccoglieva i peggio catorci anteguerra recuperati dal rottamaio e li rimetteva in sesto per poi organizzare delle scianche, ossia delle gare di velocità, sulle deserte strade della periferia. Marche comunque in gran voga, delle cui sigle ci riempivamo sensualmente la bocca con un fervore assieme religioso ed erotico: MM, Gilera, MVAgusta, Moto Morini. Per non parlare delle più esotiche e vagheggiate marche straniere, BSA, Norton, Triumph, Harley & Davidson, roba da orgasmo.
Ci si può immaginare che balzo al cuore ho provato quando nel cortile di un meccanico della periferia, in mezzo a rottami e residuati bellici, ho intravisto la sagoma di una polverosa ma mitica BMW 250. Carrozzeria carenata col parafango avvolgente e l'attacco per il sidecar. Proprio una di quelle moto dei film di nazisti, dove per invertire il senso di marcia il soldato sulla carrozzetta tirava il freno, e la moto girava di 180° facendo perno sulla ruota, uno sballo...
- Senta, ma quella BMW? - chiedo timidamente al meccanico.
- Allora?
- Ehm... è in vendita?
Quello si gratta la testa, incredulo che un simile ferrovecchio potesse trovare un acquirente.
- Vuoi comprarla?
- Beh, dipende. Quanto vuole?
Esita un po', mi squadra, poi spara la cifra.
- Dammi venticinque chili e te la porti via.
Strabuzzo gli occhi. Venticinquemila lire! Un'enormità, era quasi metà dello stipendio di un operaio.
- Ah. Ci devo pensare. Magari ripasso. Però non la dia via, nel frattempo...
Mi guarda come per dire "ma chi vuoi che se la prenda, quella ciofeca...".
Occorre sapere che da diversi mesi gestivo un'attività commerciale clandestina. Alla mattina, prima della scuola, compravo due chili di focaccia calda tagliata a strisce al forno di via San Vincenzo e durante la ricreazione la rivendevo al dettaglio ai miei compagni di classe lucrandoci sopra almeno un bel dieci lire alla fetta. Son soldi, considerato che in classe eravano trentacinque... In più c'erano le vincite derivanti dalle partitine a poker col mio compagno di banco, con quelle minicarte che si nascondono nel palmo della mano per sfuggire all'occhio dei prof. Cinque lire a puntata, non male. E' vero che nel poker si vince e si perde, ma io vincevo di più, per il semplice fatto che giocando in due, e quindi con meno carte (dal nove all'asso), capitano molte più combinazioni vincenti di quelle che chi è abituato a giocare in quattro possa prevedere. Ossia, quando rilanciavo pesantemente l'amico pensava che bluffassi e vedeva, facendomi così vincere perché la mano favorevole l'avevo davvero.
A casa verifico trepidante i risparmi. Per raggiungere la cifra richiesta mancava qualche migliaio di lire, intensifico dunque le mie attività illecite e in poche settimane supero il gap. Mi ripresento dal meccanico, meno male, la moto era sempre lì.
- Allora, la prendi? - fa il tipo. Si ricordava, dunque. Dovevo essere stato davvero l'unico a chiedere di quella reliquia.
- Beh, prima vediamo se almeno si mette in moto.
Quello libera il motociclo dai rottami, lo monta sul cavalletto e spolvera il sedile con uno straccio bisunto. Poi dà un colpo al pedale dell'avviamento. Vrooom, pot-pot-pot-pot...
Meraviglia. Dopo anni di abbandono era bastato un solo colpo per far rivivere alla bestia i tempi eroici della Giovinezza. Un ruggito, poi un borbottio sordo ma amichevole come il ronzare di un felino, che incute comunque timore per le latenti potenzialità aggressive. Osservo poi i dettagli: un serbatoio a vitino di vespa col prestigioso marchio; niente catena ma una trasmissione ad albero come le auto, una singolarità inaudita. E poi le cromature! Nonostante l'età ormai avanzata erano lucide come nuove, senza un filo di incrostazioni o di ruggine. Si sa che i tedeschi in fatto di meccanica e di gas venefici sono insuperabili. Monto su e faccio un giro per il cortile. Da brivido, appena giravo la manopola il motore ruggiva, facendomi sentire sullo sfondo l'eco della Cavalcata delle Walkirie. Nessun dubbio, il mondo era mio.
- La prendo.
Quando mi presento nella piazzetta dove stazionavano gli amici, le alte e vecchie case del quartiere riecheggiavano il rombo del motore come per annunciare l'evento. Ero il primo e l'unico della banda dei più giovani che avesse concretizzato il sogno, ed il mio status da mediocre qual era subisce un'improvvisa impennata di popolarità. Seguono poi i commenti invidiosi ma ammirati dei motofili più esperti.
- Caspita, un carburatore Bing! Il migliore!
- E la messa in moto laterale...
- E il giunto cardanico!
- Il sellino posteriore però è un po' alto.
- E' una moto da guerra. Il passeggero che sta dietro deve poter vedere sopra la testa del guidatore...
- Bene. Chi vuole venire a fare un giro in Riviera? - propongo alla fine.
Si offre solo Sandro, l'amico che frequentavo di più in quel periodo. Nonostante tutti i discorsi sui viaggi e l'evasione gli altri erano troppo pigri per schiodarsi da quella piazzetta. Trovavano in fondo più gratificante una birretta al bar, una partita a biliardo e qualche commento salace sulle ragazze di passaggio. Donne e motori, ma tutt'e due solo virtuali.
Vrooom, ed eccoci sulla via Aurelia col vento fra i capelli. Già, perchè il casco era sconosciuto, lo indossava solo qualche vecchietto esponendosi al dileggio popolare. Non avevo intenzione di andare molto lontano, era ormai pomeriggio inoltrato, ma già il togliersi da quei vicoli bui e viaggiare nel sole accompagnati dal ruggito del motore era più che esaltante. Ci fermiamo al porticciolo di Nervi ed imbocchiamo la passeggiata, per poi oziare su di una panchina godendoci il panorama.
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Arzak- Messaggi : 363
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
Mi hai intimorito, con la faccenda degli OT.
Quando parli del mondo intorno sei molto spontaneo e vivace.
Quando accenni alle donne e ai sentimenti relativi diventi più circospetto.
Questa sensazione - giusta o sbagliata che sia - mi ha fatto venire in mente il giuramento che si vede fare nei tribunali americani.
La verità, tutta la verità, soltanto la verità.
Per le cose mondane tendiamo a raccontare tutta la verità, facilmente.
Per le cose personali, se va bene, soltanto la verità, e ci stiamo attenti.
Invece sarebbe meglio il contrario.
Per il mondano, proprio tutta la verità non è nemmeno così necessaria, benchè divertente.
Per il personale, meglio tutta la verità, anche se per riuscirci bisogna dire qualche bugia.
Quando parli del mondo intorno sei molto spontaneo e vivace.
Quando accenni alle donne e ai sentimenti relativi diventi più circospetto.
Questa sensazione - giusta o sbagliata che sia - mi ha fatto venire in mente il giuramento che si vede fare nei tribunali americani.
La verità, tutta la verità, soltanto la verità.
Per le cose mondane tendiamo a raccontare tutta la verità, facilmente.
Per le cose personali, se va bene, soltanto la verità, e ci stiamo attenti.
Invece sarebbe meglio il contrario.
Per il mondano, proprio tutta la verità non è nemmeno così necessaria, benchè divertente.
Per il personale, meglio tutta la verità, anche se per riuscirci bisogna dire qualche bugia.
Rom- Messaggi : 996
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
Gli OT, quando soffocano il racconto, disturbano chi lo legge. E non parlo di noi, che dei fuori tema siamo proprio gli autori, ma di quei 10-20 che leggono senza intervenire, e che sarebbe opportuno riuscire a coinvolgere senza farli sentire a disagio.
Per il resto, sciapò, come sempre.
Per il resto, sciapò, come sempre.
Arzak- Messaggi : 363
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
Intanto ci hai fatto innamorare della BMW.
E Laura?, diranno i nostri piccoli lettori. Laura non c'è, si sa.
I nomi da evitare nei nostri racconti:
- Francesca, perché per sempre "non è", specialmente se per disgrazia è vestita di rosso.
- Laura, appunto.
- Giulia, gli occhiali sul naso, parla di uomini e donne, la mano che scende, la sua verità, Giulia ci sa fare, intelligente, parla anche per te, ti porta via dove il cammino è deserto e il deserto è confine. Come dire "al mio segnale, scatenate l'inferno".
- Sara, svegliati è primavera, accendi il motorino, attenta, ricordati che aspetti un bambino. Foto di gruppo nel cortile della scuola.
- Cinzia, che cantava le sue canzoni, si scriveva i testi sul diario, nell'ora di religione. Cinzia il suo veleno, il suo veleno.
E poi Sally, e Margherita, e Teresa, quando ti ho dato quella rosa: ti sei tenuto il rosso e mi hai restituito le spine.
E Laura?, diranno i nostri piccoli lettori. Laura non c'è, si sa.
I nomi da evitare nei nostri racconti:
- Francesca, perché per sempre "non è", specialmente se per disgrazia è vestita di rosso.
- Laura, appunto.
- Giulia, gli occhiali sul naso, parla di uomini e donne, la mano che scende, la sua verità, Giulia ci sa fare, intelligente, parla anche per te, ti porta via dove il cammino è deserto e il deserto è confine. Come dire "al mio segnale, scatenate l'inferno".
- Sara, svegliati è primavera, accendi il motorino, attenta, ricordati che aspetti un bambino. Foto di gruppo nel cortile della scuola.
- Cinzia, che cantava le sue canzoni, si scriveva i testi sul diario, nell'ora di religione. Cinzia il suo veleno, il suo veleno.
E poi Sally, e Margherita, e Teresa, quando ti ho dato quella rosa: ti sei tenuto il rosso e mi hai restituito le spine.
Rom- Messaggi : 996
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Re: ***Caffé amaro***
.
3 - I bluff di Sandro
Nei quartieri dove il sole del buon Dio non sà i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi...
Non sembrava nemmeno la stessa città, da quella prospettiva ariosa. Una città di mare e di sole in cui il mare ed il sole erano negati alla maggioranza degli abitanti, proprio quelli della zona più centrale. Bisognava arrivare alle ricche zone residenziali della collina o della riviera per poter ammirare fra le palme quel golfo scintillante e pieno di navi, ora scomparse, ed il profilo azzurrino della costa che degradava verso la Francia.
- Bello, eh? - fa Sandro, il cui cinismo era visibilmente scosso dal contatto con la natura.
Forse era la prima volta che quel topo dei vicoli si spingeva al di là di Porta Soprana. In centro, pur avendo il mare a due passi, non se ne vedeva traccia né se ne sentiva il rumore, sigillato com'era dall'invalicabile recinzione che isolava la zona marittima dal resto della città.
- Valeva la pena. E si capiscono tante cose. Vedere l'orizzonte ti dà il senso delle proporzioni, delle distanze.
- Cioè?
- Ti fa capire che al di là ci può essere qualcos'altro, e ridimensiona il nostro spazio mentale.
Lui annuisce pensoso. Mi trovavo bene con Sandro. Era orfano di entrambi i genitori e viveva col nonno, ma pur non avendo finito la scuola leggeva molto facendosi così una cultura personale che gli permetteva di argomentare alla pari anche con persone più istruite.
- Vuoi dire quindi che la geografia ci allarga la mente?
- Beh, ovvio. Non trovi?
- Un po' come l'acido!
- Appunto. Vedi che non c'è bisogno di quella roba lì per sballare. Basta un panorama come questo...
Sogghigna ironico. Ricordavo benissimo che una volta, ad una festa borghese in cui era fortunosamente capitato, aveva infilato quella sostanza nei pasticcini. Inutile dire che la festa si è poi tramutata in un sabba orgiastico. Alcuni dopo hanno tentato di linciarlo, ma altri credo gliene saranno eternamente grati...
- Forse capita anche il contrario. - osserva poco dopo.
- Cioè?
- Che che dove non si vede l'orizzonte ci si sviluppa di meno.
- Cioé i posti di montagna?
- Non solo. Anche giù in piazzetta, chi abita al pianterreno ha un'idea del mondo diversa da chi abita all'ultimo piano e vede il mare.
- Già. E pensa se abitassimo in un pianeta in cui non si vede niente perchè c'è sempre la nebbia.
- Non esisterebbe l'astronomia, magari.
- Certo. E quindi forse nemmeno la geometria.
- Non sapremmo che la terra è rotonda.
- Non esisterebbe nemmeno l'astrologia.
- E forse neanche la religione...
Tale era il livello dei nostri dialoghi, magari sconclusionati ma che al tempo trovavo assai stimolanti.
***
Ufficialmente Sandro di mestiere faceva il portuale per diritto ereditario. A quanto avevo capito il padre aveva perso la vita in un incidente sul lavoro e lui ne aveva preso il posto. La disgrazia gli aveva però fatto nascere un odio per la società, ed in particolare per "questo" tipo di società, che lui nascondeva dietro un sorriso disincantato ma che a volte emergeva con feroce cinismo. E dire che a vederlo appariva la persona più amabile ed inoffensiva del mondo. Dei riccioli da cherubino, un viso bianco e rosso, due baffetti appena accennati da Aramis, uniti ad un linguaggio e ad un comportamento inappuntabili, facevano di lui un giovincello a cui ogni mamma avrebbe concesso la propria figlia, e forse anche sé stessa, ad occhi chiusi.
Chissà se avessero saputo che il giovin signore in realtà si guadagnava da vivere con espedienti fra i meno ortodossi, il più decoroso dei quali era il gioco d'azzardo. Ogni sabato sera lui e tre amici, sempre gli stessi, tiravano le ore piccole giocando a poker, ma mica a cinque lire a puntata come me. In quella bisca volavano cifre che superavano le mille lire a botta, e a volte anche le cinquemila. In pratica mediamente vinceva sempre Sandro, ma non perchè fosse un baro: prima o dopo gli amici se ne sarebbero accorti e gli avrebbero tolto la pelle. Era semplicemente più bravo nel bluff, e alla lunga, nonostante si parli di azzardo, anche in quel gioco vince la bravura. Si poteva quasi dire che gli altri tre avessero fondato un'associazione benefica per sostenere economicamente il quarto, tanta era la regolarità con cui l'amico a fine mese portava a casa una cospicua sommetta.
Ma il capolavoro era appunto la sua "attività" di portuale, che consisteva nel presentarsi saltuariamente alla sala chiamata, sperare che non lo chiamassero, e starsene a casa per diversi giorni curando di non superare il periodo oltre il quale decadeva quel "diritto", ottenuto dalla potente Compagnia Unica per proteggere i lavoratori momentaneamente superflui. Totale, veniva pagato a stipendio pressoché pieno per lavorare due o tre giorni al mese, se proprio gli andava male.
Per non sbagliarsi, oltre a conoscere alla perfezione le regolette più causidiche del contratto di lavoro, teneva un tabellone denso di crocette e quadratini, che designavano appunto i giorni neri in cui aveva disgraziatamente lavorato. Ma anche questa manfrina, sosteneva, faceva parte della sua lotta contro le ingiustizie della società...
***
Stavamo ancora beandoci al sole del tramonto che aveva incendiato il golfo, e dopo gli argomenti pseudofilosofici tocco il pensiero fisso che avevo in quei giorni, ma prendendola alla larga.
- Senti... come stai a donne, al momento? - gli chiedo guardando due ragazzine che passavano cicalecciando.
- Sempre Angelina. Ora però non c'è, è dai suoi in villa...
Per "villa" si intendeva tutto ciò che era al di là degli Appennini, luoghi leggendari come il deserto dei Tartari, ed abitati appunto dai villani.
- Sfiga. E non ti manca?
- Ci si arrangia. - fa col suo risolino cinico, ma non indago sui dettagli di quel ripiego.
- E... cosa mi dici di Laura?
- In che senso?
- Tipo... cioé. Ci hai mai provato?
- Niente da fare. Santa Maria Goretti. E poi, c'è Luigi...
Annuisco perplesso. Nonostante la spregiudicatezza con cui attentava all'integrità delle donne altrui, anche Sandro, a quanto diceva, nutriva un rispetto reverenziale per l'amico Luigi, forse beatificato per il solo fatto di convivere con una santa...
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3 - I bluff di Sandro
Nei quartieri dove il sole del buon Dio non sà i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi...
Non sembrava nemmeno la stessa città, da quella prospettiva ariosa. Una città di mare e di sole in cui il mare ed il sole erano negati alla maggioranza degli abitanti, proprio quelli della zona più centrale. Bisognava arrivare alle ricche zone residenziali della collina o della riviera per poter ammirare fra le palme quel golfo scintillante e pieno di navi, ora scomparse, ed il profilo azzurrino della costa che degradava verso la Francia.
- Bello, eh? - fa Sandro, il cui cinismo era visibilmente scosso dal contatto con la natura.
Forse era la prima volta che quel topo dei vicoli si spingeva al di là di Porta Soprana. In centro, pur avendo il mare a due passi, non se ne vedeva traccia né se ne sentiva il rumore, sigillato com'era dall'invalicabile recinzione che isolava la zona marittima dal resto della città.
- Valeva la pena. E si capiscono tante cose. Vedere l'orizzonte ti dà il senso delle proporzioni, delle distanze.
- Cioè?
- Ti fa capire che al di là ci può essere qualcos'altro, e ridimensiona il nostro spazio mentale.
Lui annuisce pensoso. Mi trovavo bene con Sandro. Era orfano di entrambi i genitori e viveva col nonno, ma pur non avendo finito la scuola leggeva molto facendosi così una cultura personale che gli permetteva di argomentare alla pari anche con persone più istruite.
- Vuoi dire quindi che la geografia ci allarga la mente?
- Beh, ovvio. Non trovi?
- Un po' come l'acido!
- Appunto. Vedi che non c'è bisogno di quella roba lì per sballare. Basta un panorama come questo...
Sogghigna ironico. Ricordavo benissimo che una volta, ad una festa borghese in cui era fortunosamente capitato, aveva infilato quella sostanza nei pasticcini. Inutile dire che la festa si è poi tramutata in un sabba orgiastico. Alcuni dopo hanno tentato di linciarlo, ma altri credo gliene saranno eternamente grati...
- Forse capita anche il contrario. - osserva poco dopo.
- Cioè?
- Che che dove non si vede l'orizzonte ci si sviluppa di meno.
- Cioé i posti di montagna?
- Non solo. Anche giù in piazzetta, chi abita al pianterreno ha un'idea del mondo diversa da chi abita all'ultimo piano e vede il mare.
- Già. E pensa se abitassimo in un pianeta in cui non si vede niente perchè c'è sempre la nebbia.
- Non esisterebbe l'astronomia, magari.
- Certo. E quindi forse nemmeno la geometria.
- Non sapremmo che la terra è rotonda.
- Non esisterebbe nemmeno l'astrologia.
- E forse neanche la religione...
Tale era il livello dei nostri dialoghi, magari sconclusionati ma che al tempo trovavo assai stimolanti.
***
Ufficialmente Sandro di mestiere faceva il portuale per diritto ereditario. A quanto avevo capito il padre aveva perso la vita in un incidente sul lavoro e lui ne aveva preso il posto. La disgrazia gli aveva però fatto nascere un odio per la società, ed in particolare per "questo" tipo di società, che lui nascondeva dietro un sorriso disincantato ma che a volte emergeva con feroce cinismo. E dire che a vederlo appariva la persona più amabile ed inoffensiva del mondo. Dei riccioli da cherubino, un viso bianco e rosso, due baffetti appena accennati da Aramis, uniti ad un linguaggio e ad un comportamento inappuntabili, facevano di lui un giovincello a cui ogni mamma avrebbe concesso la propria figlia, e forse anche sé stessa, ad occhi chiusi.
Chissà se avessero saputo che il giovin signore in realtà si guadagnava da vivere con espedienti fra i meno ortodossi, il più decoroso dei quali era il gioco d'azzardo. Ogni sabato sera lui e tre amici, sempre gli stessi, tiravano le ore piccole giocando a poker, ma mica a cinque lire a puntata come me. In quella bisca volavano cifre che superavano le mille lire a botta, e a volte anche le cinquemila. In pratica mediamente vinceva sempre Sandro, ma non perchè fosse un baro: prima o dopo gli amici se ne sarebbero accorti e gli avrebbero tolto la pelle. Era semplicemente più bravo nel bluff, e alla lunga, nonostante si parli di azzardo, anche in quel gioco vince la bravura. Si poteva quasi dire che gli altri tre avessero fondato un'associazione benefica per sostenere economicamente il quarto, tanta era la regolarità con cui l'amico a fine mese portava a casa una cospicua sommetta.
Ma il capolavoro era appunto la sua "attività" di portuale, che consisteva nel presentarsi saltuariamente alla sala chiamata, sperare che non lo chiamassero, e starsene a casa per diversi giorni curando di non superare il periodo oltre il quale decadeva quel "diritto", ottenuto dalla potente Compagnia Unica per proteggere i lavoratori momentaneamente superflui. Totale, veniva pagato a stipendio pressoché pieno per lavorare due o tre giorni al mese, se proprio gli andava male.
Per non sbagliarsi, oltre a conoscere alla perfezione le regolette più causidiche del contratto di lavoro, teneva un tabellone denso di crocette e quadratini, che designavano appunto i giorni neri in cui aveva disgraziatamente lavorato. Ma anche questa manfrina, sosteneva, faceva parte della sua lotta contro le ingiustizie della società...
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Stavamo ancora beandoci al sole del tramonto che aveva incendiato il golfo, e dopo gli argomenti pseudofilosofici tocco il pensiero fisso che avevo in quei giorni, ma prendendola alla larga.
- Senti... come stai a donne, al momento? - gli chiedo guardando due ragazzine che passavano cicalecciando.
- Sempre Angelina. Ora però non c'è, è dai suoi in villa...
Per "villa" si intendeva tutto ciò che era al di là degli Appennini, luoghi leggendari come il deserto dei Tartari, ed abitati appunto dai villani.
- Sfiga. E non ti manca?
- Ci si arrangia. - fa col suo risolino cinico, ma non indago sui dettagli di quel ripiego.
- E... cosa mi dici di Laura?
- In che senso?
- Tipo... cioé. Ci hai mai provato?
- Niente da fare. Santa Maria Goretti. E poi, c'è Luigi...
Annuisco perplesso. Nonostante la spregiudicatezza con cui attentava all'integrità delle donne altrui, anche Sandro, a quanto diceva, nutriva un rispetto reverenziale per l'amico Luigi, forse beatificato per il solo fatto di convivere con una santa...
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Arzak- Messaggi : 363
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Re: ***Caffé amaro***
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4 - La rivolta
E se vi siete detti non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno, arresteranno qualche studente
Era un periodo di forti agitazioni sindacali, ed in una città come quella il nucleo d'acciaio della rivendicazione era costituito proprio dai camalli, una forza risoluta ed indomabile, soprattutto dal punto di vista fisico. In quelle occasioni uscivano a centinaia dai recinti del porto, filtravano nei vicoli come formiche invadendo il centro storico ed emettendo il loro temibile grido di battaglia: "A moeuia!"
Un'espressione quasi intraducibile, che suona come "sta maturando", ossia è "giunto il momento", "non ne possiamo più", ma con una cupa cadenza musicale su tre note discendenti, re-do-la, che pareva il muggito di un mare in burrasca. C'era da capire come i militi che presidiavano la piazza principale ancora deserta dessero segno di nervosismo, nel sentire la città risuonare quasi fosse dotata di una voce propria. Anzi, di mille vocioni che si riecheggiavano a vicenda da un vicolo all'altro facendo intuire la propria forza offensiva prima ancora di mostrarla. Somigliava alla voce della casbah durante la Battaglia di Algeri, ma con una sonorità più profonda, vibrante come l'onda d'urto a bassa frequenza di un terremoto. "A moeuia! A moeuia!"
Quando il cuore della città vecchia si svegliava, metteva davvero paura. Nessun poliziotto si sarebbe azzardato ad inoltrarsi in uno di quei vicoli. I primi che ci avevano provato immaginando che fosse più facile bloccare la marea umana in quelle stradette larghe come un tavolino piuttosto che in campo aperto si erano visti arrivare dall'alto masserizie di ogni tipo assieme a vasi di fiori e vasi da notte spesso accompagnati dal loro contenuto.
Dopo aver annunciato acusticamente il proprio arrivo i muscolosi portuali, abituati a scaricare dalle navi pesanti sacchi di carbone reggendoli sul mignolo come Obelix, emergevano dai vicoli ed irrompevano nella piazza con le loro magliette a righe ed in mano l'uncino con cui artigliavano le merci. Era come il crollo progressivo di una diga: prima una crepa, poi l'altra, e alla fine l'intera ondata che travolgeva ogni ostacolo sfidando i caroselli delle campagnole e facendo finire parecchi poliziotti nella fontana.
Anche le scuole, per non essere da meno, erano in fibrillazione. Diverse facoltà erano occupate, ma nelle alte sfere, dopo un iniziale smarrimento, si era deciso di passare alle maniere forti. Per via della mia nuova condizione di motodotato, i compagni più anziani che guidavano il movimento mi avevano incaricato di gravitare attorno alla questura. Appena spuntava una colonna di quei camion tozzi con le grate metalliche sui vetri la tallonavo da vicino, e appena intuivo la direzione che stava prendendo la superavo in velocità e avvertivo gli occupanti della scuola in questione. Tanto per dire come funzionavano le cose in epoca pre-cellulari.
Gli studenti fuggivano di gran carriera ed i poliziotti si trovavano a disoccupare una scuola vuota, che veniva però rioccupata appena la madama se ne andava.
Certo però che usare una moto da guerra tedesca per fare la "sentinella partigiana", quale mi sentivo nella mia eroica autoesaltazione, era un bel paradosso. Forse una nemesi storica... Anche l'edificio della Questura in effetti richiamava un passato ancora non del tutto sepolto, sia per l'estetica che per i comportamenti di chi la abitava. La scritta al di sopra del portone era in origine R. QUESTURA, dove la R di Régia era stata malamente cancellata e tale appare ancora oggi. Era ed è un edificio imponente, solenne, affiancato da dei giardinetti dove alcuni barboni si erano scavati un'abitazione sotterranea clandestina alla faccia dei questurini dirimpettai, storia surreale ma vera.
***
Era divertente scorrazzare su e giù per la città col mio cavallo d'acciaio, ma se una volta o due l'avevo fatta in barba alla polizia, coi vigili mi tocca innalzare bandiera bianca. Durante una scorribanda mi si affianca la moto di un baffu (da noi i vigili li chiamavamo così) che mi fa cenno di accostare. Troppo rumore, concilia? Mi tocca pagare con la promessa di cambiare marmitta, ma non mi trattengo dal recriminare.
- Ma perchè, la sua è silenziosa?
- Beh, si sa che le Guzzi sono fatte così... - fa sorridendo come per scusarsi.
- Ma con quei cilindri a V come si trova?
- Abbastanza bene. E' che quando si cambia di marcia dà un certo scossone. Ma basta abituarsi. Buona meccanica, comunque. Le ha adottate anche la polizia americana.
- Già. Ho letto che lì le chiamano "cavallo selvaggio", proprio per quell'effetto...
Ridacchia, poi rimonta in sella. Fra motofili c'è comunque sempre una certa complicità. La multa però me l'aveva fatta. E pensare che mio papà alla Befana gli portava pure il panettone...
Era un'usanza ormai persa. Il giorno dell'Epifania i vigili che presidiavano gli incroci sulla loro pedana rotonda venivano sommersi da valanghe di panettoni e bottiglie di spumante che gli automobilisti depositavano ai loro piedi come per blandire una divinità capricciosa.
Non cambio la marmitta, ma quando mi imbatto di nuovo in quel vigile lui mi fa un cenno di burbera intesa lasciandomi andare via col mio mezzo fracassone verso il sol dell'avvenir.
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4 - La rivolta
E se vi siete detti non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno, arresteranno qualche studente
Era un periodo di forti agitazioni sindacali, ed in una città come quella il nucleo d'acciaio della rivendicazione era costituito proprio dai camalli, una forza risoluta ed indomabile, soprattutto dal punto di vista fisico. In quelle occasioni uscivano a centinaia dai recinti del porto, filtravano nei vicoli come formiche invadendo il centro storico ed emettendo il loro temibile grido di battaglia: "A moeuia!"
Un'espressione quasi intraducibile, che suona come "sta maturando", ossia è "giunto il momento", "non ne possiamo più", ma con una cupa cadenza musicale su tre note discendenti, re-do-la, che pareva il muggito di un mare in burrasca. C'era da capire come i militi che presidiavano la piazza principale ancora deserta dessero segno di nervosismo, nel sentire la città risuonare quasi fosse dotata di una voce propria. Anzi, di mille vocioni che si riecheggiavano a vicenda da un vicolo all'altro facendo intuire la propria forza offensiva prima ancora di mostrarla. Somigliava alla voce della casbah durante la Battaglia di Algeri, ma con una sonorità più profonda, vibrante come l'onda d'urto a bassa frequenza di un terremoto. "A moeuia! A moeuia!"
Quando il cuore della città vecchia si svegliava, metteva davvero paura. Nessun poliziotto si sarebbe azzardato ad inoltrarsi in uno di quei vicoli. I primi che ci avevano provato immaginando che fosse più facile bloccare la marea umana in quelle stradette larghe come un tavolino piuttosto che in campo aperto si erano visti arrivare dall'alto masserizie di ogni tipo assieme a vasi di fiori e vasi da notte spesso accompagnati dal loro contenuto.
Dopo aver annunciato acusticamente il proprio arrivo i muscolosi portuali, abituati a scaricare dalle navi pesanti sacchi di carbone reggendoli sul mignolo come Obelix, emergevano dai vicoli ed irrompevano nella piazza con le loro magliette a righe ed in mano l'uncino con cui artigliavano le merci. Era come il crollo progressivo di una diga: prima una crepa, poi l'altra, e alla fine l'intera ondata che travolgeva ogni ostacolo sfidando i caroselli delle campagnole e facendo finire parecchi poliziotti nella fontana.
Anche le scuole, per non essere da meno, erano in fibrillazione. Diverse facoltà erano occupate, ma nelle alte sfere, dopo un iniziale smarrimento, si era deciso di passare alle maniere forti. Per via della mia nuova condizione di motodotato, i compagni più anziani che guidavano il movimento mi avevano incaricato di gravitare attorno alla questura. Appena spuntava una colonna di quei camion tozzi con le grate metalliche sui vetri la tallonavo da vicino, e appena intuivo la direzione che stava prendendo la superavo in velocità e avvertivo gli occupanti della scuola in questione. Tanto per dire come funzionavano le cose in epoca pre-cellulari.
Gli studenti fuggivano di gran carriera ed i poliziotti si trovavano a disoccupare una scuola vuota, che veniva però rioccupata appena la madama se ne andava.
Certo però che usare una moto da guerra tedesca per fare la "sentinella partigiana", quale mi sentivo nella mia eroica autoesaltazione, era un bel paradosso. Forse una nemesi storica... Anche l'edificio della Questura in effetti richiamava un passato ancora non del tutto sepolto, sia per l'estetica che per i comportamenti di chi la abitava. La scritta al di sopra del portone era in origine R. QUESTURA, dove la R di Régia era stata malamente cancellata e tale appare ancora oggi. Era ed è un edificio imponente, solenne, affiancato da dei giardinetti dove alcuni barboni si erano scavati un'abitazione sotterranea clandestina alla faccia dei questurini dirimpettai, storia surreale ma vera.
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Era divertente scorrazzare su e giù per la città col mio cavallo d'acciaio, ma se una volta o due l'avevo fatta in barba alla polizia, coi vigili mi tocca innalzare bandiera bianca. Durante una scorribanda mi si affianca la moto di un baffu (da noi i vigili li chiamavamo così) che mi fa cenno di accostare. Troppo rumore, concilia? Mi tocca pagare con la promessa di cambiare marmitta, ma non mi trattengo dal recriminare.
- Ma perchè, la sua è silenziosa?
- Beh, si sa che le Guzzi sono fatte così... - fa sorridendo come per scusarsi.
- Ma con quei cilindri a V come si trova?
- Abbastanza bene. E' che quando si cambia di marcia dà un certo scossone. Ma basta abituarsi. Buona meccanica, comunque. Le ha adottate anche la polizia americana.
- Già. Ho letto che lì le chiamano "cavallo selvaggio", proprio per quell'effetto...
Ridacchia, poi rimonta in sella. Fra motofili c'è comunque sempre una certa complicità. La multa però me l'aveva fatta. E pensare che mio papà alla Befana gli portava pure il panettone...
Era un'usanza ormai persa. Il giorno dell'Epifania i vigili che presidiavano gli incroci sulla loro pedana rotonda venivano sommersi da valanghe di panettoni e bottiglie di spumante che gli automobilisti depositavano ai loro piedi come per blandire una divinità capricciosa.
Non cambio la marmitta, ma quando mi imbatto di nuovo in quel vigile lui mi fa un cenno di burbera intesa lasciandomi andare via col mio mezzo fracassone verso il sol dell'avvenir.
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Re: ***Caffé amaro***
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5 - Il forte
E c'era il sole e avevi gli occhi belli lui ti baciò le labbra ed i capelli
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi lui pose le sue mani sui tuoi fianchi
Un giorno mi accosto all'edicola della solita piazzetta. Alzo la moto sul cavalletto e mi accingo a comprare uno di quei giornali coi titoli rossi.
- Ehi, non si saluta? - mi fa una voce.
Era Laura, intenta a leggere i titoli dei giornali esposti, il modo più economico per restare informati.
- Scuusa, non ti avevo vista. Che fai?
- Così. Due passi. E' già un po' che non ti si vede.
- Ah, Non dirmi che sentivi la mia mancanza...
Non commenta, però le brillavano gli occhi.
- E questa sarebbe la famosa moto?
- Famosa?
- Mi hanno detto che fai la staffetta per il movimento...
- Più che la staffetta faccio la piccola vedetta lombarda.
Sorride ma non capisce. De Amicis non rientrava fra le sue letture d'infanzia.
- Bella, però. - fa carezzando il manubrio cromato.
Capisco cosa si aspettava, senza volerlo chiedere lei per prima.
- Vuoi fare un giro?
- Se ti va...
- Dai, monta.
Sale al volo da cavallerizza con una disinvoltura che mi conquista. Non erano molte le donne che andavano in moto in quella maniera, la maggioranza, anche quelle coi pantaloni, usavano ancora tenere le gambe reclinate su di un solo lato.
- Dove vuoi andare?
- Dove vuoi tu.
- Ok.
Vrooom, pot-pot-pot-pot...
Imbocco la galleria per piazza Corvetto, quindi via Assarotti, via Cabella, e ancora su, su, lungo le vecchie mura della città. Un motore che vibra sotto il sedere, il vento primaverile sul viso e la ragazza dei sogni alle spalle, cosa si può desiderare di più...
Inizialmente si teneva distante reggendosi ai sostegni del sedile, ma quando le curve e la velocità la intimoriscono mi appoggia le mani sui fianchi. Senza stringere, ma quel semplice contatto fino ad allora insperato mi entusiasma. Raggiungo in pochi minuti la parte più alta della collina su cui sorge un forte secolare che pare il castello dei crociati. Parcheggio e ci affacciamo all'ampio parapetto di pietra. Sotto si stendeva la città sullo sfondo di un mare che la leggera foschia rendeva un tutt'uno col cielo.
Al contrario di altre città che sono più belle viste da vicino, mentre dall'alto appaiono solo come un'insignificante distesa di edifici, quella era spettacolare soprattutto vista da lontano. Il golfo, le montagne spruzzate di neve, i riflessi accecanti del sole ancora basso... Da lontano non si vedevano i vicoli sudici, non si sentivano gli odori pesanti nè il rumore del traffico. Una cartolina, ma viva e reale.
Mi giro verso Laura e la scopro incantata. Neanche lei, come Sandro, era mai uscita dal suo habitat, e quel panorama le appariva inedito, quasi incomprensibile. Un po' per volta però si orizzonta, e mi indica i vari punti di riferimento.
- Guarda, lì c'è i grattacielo dell'orologio...
Era il primo mai costruito in Italia, e per molto tempo il più alto.
- Quello è il duomo! DIO TI VEDE!
- Ti vede anche qui?
- In teoria sì. Ammesso che ne abbia voglia.
- Guarda, la Torre degli Embriaci... e il campanile delle Vigne! E quello lì?
- La chiesa di Carignano. Vicino alla circonvallazione a mare.
Mi guarda radiosa, come se mi attribuisse il merito di quelle meraviglie. Poi si ricompone, era pur sempre una ragazza seria. Qualcosa però era cambiato. Da anonimo ammiratore ero passato ad eroe della nuova resistenza, per poi divenire una specie di Virgilio che le aveva fatto scoprire il lato A dell'inferno, quel paradiso di luci e di colori di un mattino di aprile.
Si fosse trattato di un'altra, le avrei già messo una mano sulla spalla, e sentivo che non sarebbe stata rifiutata. Con lei no, non potevo, c'era Luigi. Cosa avrei detto se avessi visto la mia ragazza (ma al momento non ne avevo...) sottobraccio con un altro?
- Facciamo due passi? - le propongo per bruciare l'inquietudine col movimento fisico.
- Ok.
In quella breve passeggiata mi racconta la sua vita. Genitori separati, viveva con la madre e lo zio, ma non andava d'accordo con nessuno dei due. Brave persone, per carità, ma non le perdonavano quell'atteggiamento indipendente, sia nel modo di vestire che nell'uscire di casa a qualunque ora, magari per non rientrarvi che all'alba. Ma soprattutto perchè frequentava gente ambigua e sospetta, come quello sfaccendato dai capelli lunghi del suo "galante", il povero Luigi. Studi, pochi, ma anche lei si teneva à la page con i libri in voga fra noi più istruiti, facendosi perdonare qualche strafalcione con un sorriso di scusa.
- E il lavoro, come va?
- Sono in un negozio di giocattoli, quello di Galleria Mazzini. Adesso è tranquillo, ma sotto Natale è stata dura, c'era un mare di gente.
- Sì, lo conosco. Mi fermavo sempre alla vetrina a guardare i trenini elettrici Rivarossi...
- Ti piacciono i trenini? - fa incredula.
- Beh sì... a te non piacevano le bambole?
- Mai avute. Preferivo gli orsacchiotti. Ma i trenini... - fa tracciando con aria scettica un cerchio con le dita.
- Non i trenini che vanno in tondo. Mi piacciono i plastici, con tanti scambi, semafori, passaggi a livello, il quadro di comando...
- Ah sì. Ne ho visto uno, una volta, in un altro negozio... Il nostro è troppo piccolo per tenerne uno.
- Ci sono anche i trenini piccolini, quelli scala N.
- Vero. Ne abbiamo venduti un sacco anche di quelli...
E' normale che nel primo vero dialogo a tu per tu con la ragazza che popola i tuoi sogni ci si metta a parlare di trenini? Forse no, ma anche se avessimo parlato di archeologia maya o dei poeti minori del Trecento, come mi era accaduto con ragazze della buona società, il vero dialogo avveniva sottotraccia, con quell'insieme di gesti, sorrisi, linguaggio del corpo, telepatia, cose non dette ma intuite e chissà cos'altro. Ed il significato di quel dialogo parallelo mi appariva sempre più incredibilmente esaltante, fino a condurmi alla domanda delle domande, quella più scomoda ma tuttavia ineludibile.
- Senti... con Luigi, tutto bene?
- Sì, certo. - fa stupita ma allegra.
- Pensate di sposarvi?
Ride.
- Non so... al momento non ci penso. Magari, dopo aver aperto il bar...
- Già. Il bar. Il progetto avanza?
- Sto mettendo via i soldi. Ho già anche qualcosa da parte. Avanza, avanza.
- E lui?
- Soldi non ne ha. Ci metterà il lavoro.
Arriviamo ad uno slargo semidiroccato fra le mura che formava una panchina naturale. Ci scaldiamo al sole, con lei semidraiata a pochi centrimetri da me ma ognuno immerso nei propri pensieri. Anche lì mi sarebbe bastato allungare una mano per carezzarle i capelli approfittando del suo torpore, ma non lo faccio. Forse me ne sarei pentito, ma infrangere quella bolla di sapone con un gesto che avrebbe rovinato tutto sarebbe stato imperdonabile.
***
Dopo mezz'oretta la bolla di sapone fatalmente si assottiglia da sola fino a sparire. Sarei comunque restato lì con lei fino a notte, ma ci eravamo già detti quel che c'era da dire, e la posizione un po' scomoda ci aveva indolenzito le ossa.
- Torniamo giù? - propone Laura sempre sorridente. Dio come mi piaceva.
- Va bene. Reggiti forte, in discesa.
- Ok. Tranquillo.
Vrooom, pot-pot-pot-pot...
Mi prende alla lettera cingendomi strettamente la vita. Dopo una o due curve mi appoggia persino la testa alla schiena. Per qualche irripetibile minuto mi sento come un selvaggio Marlon Brando all'italiana con la sua moto anni cinquanta e la barista sul sellino posteriore, orgoglioso dell'invidia che immaginavo di destare in chi mi avesse visto sferragliare giù per la collina.
Arrivati in piazzetta freno e faccio per scendere, ma lei mi resta abbracciata qualche decimo di secondo in più del dovuto, quasi mi si fosse appisolata addosso. Significava qualcosa? La aiuto a smontare prendendola per la mano, ma nonostante la disinvoltura mostrata fino a quel momento ora teneva gli occhi bassi. Mi coglie un malsano formicolìo, e tutti i propositi di adamantina correttezza svaniscono.
- Laura...
- Mm?
- Hai... voglia di fare un salto su da me?
- Mm-mm.
.
5 - Il forte
E c'era il sole e avevi gli occhi belli lui ti baciò le labbra ed i capelli
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi lui pose le sue mani sui tuoi fianchi
Un giorno mi accosto all'edicola della solita piazzetta. Alzo la moto sul cavalletto e mi accingo a comprare uno di quei giornali coi titoli rossi.
- Ehi, non si saluta? - mi fa una voce.
Era Laura, intenta a leggere i titoli dei giornali esposti, il modo più economico per restare informati.
- Scuusa, non ti avevo vista. Che fai?
- Così. Due passi. E' già un po' che non ti si vede.
- Ah, Non dirmi che sentivi la mia mancanza...
Non commenta, però le brillavano gli occhi.
- E questa sarebbe la famosa moto?
- Famosa?
- Mi hanno detto che fai la staffetta per il movimento...
- Più che la staffetta faccio la piccola vedetta lombarda.
Sorride ma non capisce. De Amicis non rientrava fra le sue letture d'infanzia.
- Bella, però. - fa carezzando il manubrio cromato.
Capisco cosa si aspettava, senza volerlo chiedere lei per prima.
- Vuoi fare un giro?
- Se ti va...
- Dai, monta.
Sale al volo da cavallerizza con una disinvoltura che mi conquista. Non erano molte le donne che andavano in moto in quella maniera, la maggioranza, anche quelle coi pantaloni, usavano ancora tenere le gambe reclinate su di un solo lato.
- Dove vuoi andare?
- Dove vuoi tu.
- Ok.
Vrooom, pot-pot-pot-pot...
Imbocco la galleria per piazza Corvetto, quindi via Assarotti, via Cabella, e ancora su, su, lungo le vecchie mura della città. Un motore che vibra sotto il sedere, il vento primaverile sul viso e la ragazza dei sogni alle spalle, cosa si può desiderare di più...
Inizialmente si teneva distante reggendosi ai sostegni del sedile, ma quando le curve e la velocità la intimoriscono mi appoggia le mani sui fianchi. Senza stringere, ma quel semplice contatto fino ad allora insperato mi entusiasma. Raggiungo in pochi minuti la parte più alta della collina su cui sorge un forte secolare che pare il castello dei crociati. Parcheggio e ci affacciamo all'ampio parapetto di pietra. Sotto si stendeva la città sullo sfondo di un mare che la leggera foschia rendeva un tutt'uno col cielo.
Al contrario di altre città che sono più belle viste da vicino, mentre dall'alto appaiono solo come un'insignificante distesa di edifici, quella era spettacolare soprattutto vista da lontano. Il golfo, le montagne spruzzate di neve, i riflessi accecanti del sole ancora basso... Da lontano non si vedevano i vicoli sudici, non si sentivano gli odori pesanti nè il rumore del traffico. Una cartolina, ma viva e reale.
Mi giro verso Laura e la scopro incantata. Neanche lei, come Sandro, era mai uscita dal suo habitat, e quel panorama le appariva inedito, quasi incomprensibile. Un po' per volta però si orizzonta, e mi indica i vari punti di riferimento.
- Guarda, lì c'è i grattacielo dell'orologio...
Era il primo mai costruito in Italia, e per molto tempo il più alto.
- Quello è il duomo! DIO TI VEDE!
- Ti vede anche qui?
- In teoria sì. Ammesso che ne abbia voglia.
- Guarda, la Torre degli Embriaci... e il campanile delle Vigne! E quello lì?
- La chiesa di Carignano. Vicino alla circonvallazione a mare.
Mi guarda radiosa, come se mi attribuisse il merito di quelle meraviglie. Poi si ricompone, era pur sempre una ragazza seria. Qualcosa però era cambiato. Da anonimo ammiratore ero passato ad eroe della nuova resistenza, per poi divenire una specie di Virgilio che le aveva fatto scoprire il lato A dell'inferno, quel paradiso di luci e di colori di un mattino di aprile.
Si fosse trattato di un'altra, le avrei già messo una mano sulla spalla, e sentivo che non sarebbe stata rifiutata. Con lei no, non potevo, c'era Luigi. Cosa avrei detto se avessi visto la mia ragazza (ma al momento non ne avevo...) sottobraccio con un altro?
- Facciamo due passi? - le propongo per bruciare l'inquietudine col movimento fisico.
- Ok.
In quella breve passeggiata mi racconta la sua vita. Genitori separati, viveva con la madre e lo zio, ma non andava d'accordo con nessuno dei due. Brave persone, per carità, ma non le perdonavano quell'atteggiamento indipendente, sia nel modo di vestire che nell'uscire di casa a qualunque ora, magari per non rientrarvi che all'alba. Ma soprattutto perchè frequentava gente ambigua e sospetta, come quello sfaccendato dai capelli lunghi del suo "galante", il povero Luigi. Studi, pochi, ma anche lei si teneva à la page con i libri in voga fra noi più istruiti, facendosi perdonare qualche strafalcione con un sorriso di scusa.
- E il lavoro, come va?
- Sono in un negozio di giocattoli, quello di Galleria Mazzini. Adesso è tranquillo, ma sotto Natale è stata dura, c'era un mare di gente.
- Sì, lo conosco. Mi fermavo sempre alla vetrina a guardare i trenini elettrici Rivarossi...
- Ti piacciono i trenini? - fa incredula.
- Beh sì... a te non piacevano le bambole?
- Mai avute. Preferivo gli orsacchiotti. Ma i trenini... - fa tracciando con aria scettica un cerchio con le dita.
- Non i trenini che vanno in tondo. Mi piacciono i plastici, con tanti scambi, semafori, passaggi a livello, il quadro di comando...
- Ah sì. Ne ho visto uno, una volta, in un altro negozio... Il nostro è troppo piccolo per tenerne uno.
- Ci sono anche i trenini piccolini, quelli scala N.
- Vero. Ne abbiamo venduti un sacco anche di quelli...
E' normale che nel primo vero dialogo a tu per tu con la ragazza che popola i tuoi sogni ci si metta a parlare di trenini? Forse no, ma anche se avessimo parlato di archeologia maya o dei poeti minori del Trecento, come mi era accaduto con ragazze della buona società, il vero dialogo avveniva sottotraccia, con quell'insieme di gesti, sorrisi, linguaggio del corpo, telepatia, cose non dette ma intuite e chissà cos'altro. Ed il significato di quel dialogo parallelo mi appariva sempre più incredibilmente esaltante, fino a condurmi alla domanda delle domande, quella più scomoda ma tuttavia ineludibile.
- Senti... con Luigi, tutto bene?
- Sì, certo. - fa stupita ma allegra.
- Pensate di sposarvi?
Ride.
- Non so... al momento non ci penso. Magari, dopo aver aperto il bar...
- Già. Il bar. Il progetto avanza?
- Sto mettendo via i soldi. Ho già anche qualcosa da parte. Avanza, avanza.
- E lui?
- Soldi non ne ha. Ci metterà il lavoro.
Arriviamo ad uno slargo semidiroccato fra le mura che formava una panchina naturale. Ci scaldiamo al sole, con lei semidraiata a pochi centrimetri da me ma ognuno immerso nei propri pensieri. Anche lì mi sarebbe bastato allungare una mano per carezzarle i capelli approfittando del suo torpore, ma non lo faccio. Forse me ne sarei pentito, ma infrangere quella bolla di sapone con un gesto che avrebbe rovinato tutto sarebbe stato imperdonabile.
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Dopo mezz'oretta la bolla di sapone fatalmente si assottiglia da sola fino a sparire. Sarei comunque restato lì con lei fino a notte, ma ci eravamo già detti quel che c'era da dire, e la posizione un po' scomoda ci aveva indolenzito le ossa.
- Torniamo giù? - propone Laura sempre sorridente. Dio come mi piaceva.
- Va bene. Reggiti forte, in discesa.
- Ok. Tranquillo.
Vrooom, pot-pot-pot-pot...
Mi prende alla lettera cingendomi strettamente la vita. Dopo una o due curve mi appoggia persino la testa alla schiena. Per qualche irripetibile minuto mi sento come un selvaggio Marlon Brando all'italiana con la sua moto anni cinquanta e la barista sul sellino posteriore, orgoglioso dell'invidia che immaginavo di destare in chi mi avesse visto sferragliare giù per la collina.
Arrivati in piazzetta freno e faccio per scendere, ma lei mi resta abbracciata qualche decimo di secondo in più del dovuto, quasi mi si fosse appisolata addosso. Significava qualcosa? La aiuto a smontare prendendola per la mano, ma nonostante la disinvoltura mostrata fino a quel momento ora teneva gli occhi bassi. Mi coglie un malsano formicolìo, e tutti i propositi di adamantina correttezza svaniscono.
- Laura...
- Mm?
- Hai... voglia di fare un salto su da me?
- Mm-mm.
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Arzak- Messaggi : 363
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
In rispettosa attesa, stavolta, del seguito, corre l'obbligo di ricordare che la corsa in moto fa parte di quelle tre o quattro cose notoriamente adatte a suscitare desideri ed abbattere resistenze femminili. Pare che dipenda dalle vibrazioni motoristiche, che si trasmettono per via diretta alle zone erogene.
Rom- Messaggi : 996
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
Com'e' finita? Non puoi lasciarci cosi', sadicoArzak ha scritto:- Hai... voglia di fare un salto su da me?
- Mm-mm.
KillingTime- Messaggi : 5
Data d'iscrizione : 11.04.13
Località : Mille Colline
Re: ***Caffé amaro***
M'hai detto: vieni su da me
saremo soli, io e te
ti posso offrire un caffè
in fondo che male c'è...
c'è qualche cosa di diverso
adesso in me
se c'è un veleno morirò
ma sarà dolce
accanto a te
saremo soli, io e te
ti posso offrire un caffè
in fondo che male c'è...
c'è qualche cosa di diverso
adesso in me
se c'è un veleno morirò
ma sarà dolce
accanto a te
Rom- Messaggi : 996
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
Ribenvenuto fra noi! Mi stavo giusto chiedendo che fine avevano fatto i miei quindici lettori di un tempo. Fra cui il mio Fan N° 1 Adam, che dopo avermi sobillato ed istigato a scrivere di nuovo è scomparso nella nebbia.KillingTime ha scritto:Com'e' finita? Non puoi lasciarci cosi', sadicoArzak ha scritto:- Hai... voglia di fare un salto su da me?
- Mm-mm.
Mi piacerebbe poi sapere cosa ha combinato l'amico KT nel frattempo. Ero rimasto a quando avevi salutato il capo per dedicarti ad un altro avventuroso lavoro...
Arzak- Messaggi : 363
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
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6 - La soffitta
Via del Campo c'è una graziosa gli occhi grandi color di foglia
se di amarla ti vien la voglia basta prenderla per la mano
Arriviamo su col fiatone, un inconveniente che per noi coinquilini in perenne fregola era invece una preziosa risorsa. Se una ragazza acconsentiva a salire fin lì, era fatta. Dopo quell'arrampicata mozzafiato non poteva far altro che crollare sul letto senza avere la forza di reagire. Non però Laura, avvezza fin dalla nascita a quelle scalate. Conosceva la casa, ma vi era venuta solo di sera. La conduco come un cicerone sul terrazzino con vista sui comignoli della città.
Le case di quei quartieri formano un blocco unico, tanto che camminando sui tetti si raggiungeva la casa di amici che alloggiavano in altre soffitte senza fare la fatica di scendere le scale e risalirle. Di fronte poi, alla distanza di tre metri, ma separati da un abisso di venti, abitava un vecchietto che da anni non usciva di casa e con cui ogni tanto scambiavo qualche parola che lui viveva come un regalo, essendo l'unico con cui comunicava a parte la moglie. La ripidità di quelle scale, da noi giovani così apprezzata, per lui costituiva ormai un ostacolo insuperabile.
- Vuoi un tè? - chiedo alla mia amazzone. Mi guarda sorridendo, per lei quella bevanda era un vezzo di noi studenti snob con la mania dell'India.
- Un caffè, grazie.
- Quanto zucchero?
- Amaro, grazie.
Ci guardiamo al di sopra delle tazzine, ognuno forse chiedendosi cosa sarebbe accaduto due minuti dopo. Non era mica poi detto che dovesse necessariamente accadere qualcosa... Ho però la percezione fisica dei secondi che stavano inesorabilmente scivolando via come sabbia fra le dita lasciandomele vuote. O adesso o mai più, mi dico in piena fibrillazione.
- Laura...
- Mm?
- Ecco, ehm...
Mi guarda, e capisce.
Bacio morbido, umido, di labbra, appena in punta di lingua, un bacio più di testa che di bocca. Non è certo il lato fisico di un bacio ad avergli fatto acquistare quel significato consacrato dalle canzoni, dal cinema e dalla letteratura, ma il messaggio che contiene: un gradimento, un consenso, un incitamento, una premessa di emozioni ancora più intense...
- Che dici, andiamo di là? - riesco a dirle, un po' biascicando e un po' sussurrando.
L'unico "di là" di quella casa era la disadorna camera da letto. Il solo accessorio era un gracchiante e polveroso giradischi, mentre l'unico disco era Le canzoni del mare, di Santo & Johnny, una successione di pezzi sdolcinati stile chitarra hawaiana, che ripetuta all'infinito fino a far parte delle sinapsi costituiva il sottofondo delle nostre sporadiche occasioni erotiche.
Lei si accosta, mi abbraccia, e finalmente l'ho accanto a contatto di pelle, di calore, di respiro. Una pausa, per riprendere fiato e controllo. Era viva, vera, reale, calda e odorosa. Riesco a mormorarle una sola parola.
- Spogliati...
Non era un ordine, né una richiesta, ma una supplica, di cui lei percepisce il fervore. Un semplice cenno con la testa, a labbra socchiuse, poi si dedica all'operazione mentre io faccio altrettanto.
Nessun fronzolo, preliminare o ripulsa. Laura era efficiente, ma non per questo priva di grazia. Niente a che vedere con le spossanti e non sempre vincenti battaglie sostenute con altre sue coetanee. Era la prima volta che amoreggiavo in pieno giorno in quella stanza, e mentre alla sera una lampadina rossa la rendeva magica e misteriosa, la cruda luce solare la denunciava per quello che era. Eppure, con la sua tranquilla eleganza, Laura era riuscita a trasformare quel sordido stambugio nella reggia di Versailles.
Rimane in attesa, con le gambe accostate e leggermente reclinate tipo la Maja di Goya, forse per un minimo ma gradevole residuo di pudore. Poi ci ritroviamo faccia a faccia, intimiditi dalla coscienza della nostra fragrante nudità.
E scopro un'altra Laura, ovvero la sua seconda natura. Quanto era solare e contegnosa in pubblico nonostante il fascino che irradiava, tanto si mostrava torbida e lunare nell'intimità, quasi che le energie sopite che si percepivano a volte solo come piccoli fremiti sottopelle fossero state convogliate in quell'atto come i rivoli di un tumultuoso torrente di montagna.
Un animaletto dei boschi, una gazzella, un panda... cosce contro cosce, pube contro pube, stomaco contro stomaco, seno contro torace, ma le bocche sul collo, come se un bacio in questa fase potesse distrarci dalle emozioni che dal corpo risalivano verso la testa, infiammandola.
Non c'era nemmeno bisogno di asmatiche penetrazioni, di incastri meccanici, di orgastiche inseminazioni per comunicarmi quanto era grande e bello quello che Laura stava concedendomi. Sarebbe bastato il suo corpo asciutto, la sua schiena magra, il calore del suo abbraccio, il pizzicore del suo sesso ispido, la semplicità del suo sorriso in bilico fra la sorpresa e l'eccitazione, a caricare le batterie del mio bisogno di affetto.
***
Riprendo coscienza con lei che già mi guardava con le ciglia abbassate, di nuovo calma come una dea sazia del sacrificio umano tributatole.
- Tutto Ok? - mi chiede materna forse preoccupata per il mio aspetto sconvolto.
- Tutto Ok. Piuttosto...
- Cioè?
- Insomma. Come la mettiamo con Luigi?
Storce la bocca e si incupisce. Poi risponde a bassa voce guardando verso il muro.
- Mica è necessario dirglielo.
Era una sensazione nuova, esaltante ma anche parecchio fastidiosa quella di trovarmi per la prima volta nei panni dell'altro, dopo aver amaramente vissuto una situazione analoga sul versante opposto. In questi casi, non c'è amicizia che tenga, ma persino la vittima accettava fatalisticamente la sventura come parte di un gioco in cui si vince e si perde. Homo homini lupus, come diceva quel tale. Non arrivo però a pensare Mors tua vita mea nemmeno in senso metaforico, sarebbe stato troppo cinico. Laura non era mia, lo sentivo, e non lo sarebbe mai stata. Però...
- Senti... scusa se te lo chiedo, ma ho una curiosità.
- Sì?
- Ecco... mi domandavo... Sei stata per caso anche con Sandro?
Ride.
- Con Sandro? Ma no, figurati! Perché me lo chiedi?
- Mi era venuto quel dubbio.
- Ma no! Che idea...
Era sincera, lo sentivo. Non era tipo da nascondermi una cosa del genere, dal momento che non ero nemmeno il suo compagno ufficiale. Dunque l'amico pokerista e trafficone non mi aveva mentito, e la cosa sinceramente mi stupiva. Ma ancor più mi inorgogliva.
.
6 - La soffitta
Via del Campo c'è una graziosa gli occhi grandi color di foglia
se di amarla ti vien la voglia basta prenderla per la mano
Arriviamo su col fiatone, un inconveniente che per noi coinquilini in perenne fregola era invece una preziosa risorsa. Se una ragazza acconsentiva a salire fin lì, era fatta. Dopo quell'arrampicata mozzafiato non poteva far altro che crollare sul letto senza avere la forza di reagire. Non però Laura, avvezza fin dalla nascita a quelle scalate. Conosceva la casa, ma vi era venuta solo di sera. La conduco come un cicerone sul terrazzino con vista sui comignoli della città.
Le case di quei quartieri formano un blocco unico, tanto che camminando sui tetti si raggiungeva la casa di amici che alloggiavano in altre soffitte senza fare la fatica di scendere le scale e risalirle. Di fronte poi, alla distanza di tre metri, ma separati da un abisso di venti, abitava un vecchietto che da anni non usciva di casa e con cui ogni tanto scambiavo qualche parola che lui viveva come un regalo, essendo l'unico con cui comunicava a parte la moglie. La ripidità di quelle scale, da noi giovani così apprezzata, per lui costituiva ormai un ostacolo insuperabile.
- Vuoi un tè? - chiedo alla mia amazzone. Mi guarda sorridendo, per lei quella bevanda era un vezzo di noi studenti snob con la mania dell'India.
- Un caffè, grazie.
- Quanto zucchero?
- Amaro, grazie.
Ci guardiamo al di sopra delle tazzine, ognuno forse chiedendosi cosa sarebbe accaduto due minuti dopo. Non era mica poi detto che dovesse necessariamente accadere qualcosa... Ho però la percezione fisica dei secondi che stavano inesorabilmente scivolando via come sabbia fra le dita lasciandomele vuote. O adesso o mai più, mi dico in piena fibrillazione.
- Laura...
- Mm?
- Ecco, ehm...
Mi guarda, e capisce.
Bacio morbido, umido, di labbra, appena in punta di lingua, un bacio più di testa che di bocca. Non è certo il lato fisico di un bacio ad avergli fatto acquistare quel significato consacrato dalle canzoni, dal cinema e dalla letteratura, ma il messaggio che contiene: un gradimento, un consenso, un incitamento, una premessa di emozioni ancora più intense...
- Che dici, andiamo di là? - riesco a dirle, un po' biascicando e un po' sussurrando.
L'unico "di là" di quella casa era la disadorna camera da letto. Il solo accessorio era un gracchiante e polveroso giradischi, mentre l'unico disco era Le canzoni del mare, di Santo & Johnny, una successione di pezzi sdolcinati stile chitarra hawaiana, che ripetuta all'infinito fino a far parte delle sinapsi costituiva il sottofondo delle nostre sporadiche occasioni erotiche.
Lei si accosta, mi abbraccia, e finalmente l'ho accanto a contatto di pelle, di calore, di respiro. Una pausa, per riprendere fiato e controllo. Era viva, vera, reale, calda e odorosa. Riesco a mormorarle una sola parola.
- Spogliati...
Non era un ordine, né una richiesta, ma una supplica, di cui lei percepisce il fervore. Un semplice cenno con la testa, a labbra socchiuse, poi si dedica all'operazione mentre io faccio altrettanto.
Nessun fronzolo, preliminare o ripulsa. Laura era efficiente, ma non per questo priva di grazia. Niente a che vedere con le spossanti e non sempre vincenti battaglie sostenute con altre sue coetanee. Era la prima volta che amoreggiavo in pieno giorno in quella stanza, e mentre alla sera una lampadina rossa la rendeva magica e misteriosa, la cruda luce solare la denunciava per quello che era. Eppure, con la sua tranquilla eleganza, Laura era riuscita a trasformare quel sordido stambugio nella reggia di Versailles.
Rimane in attesa, con le gambe accostate e leggermente reclinate tipo la Maja di Goya, forse per un minimo ma gradevole residuo di pudore. Poi ci ritroviamo faccia a faccia, intimiditi dalla coscienza della nostra fragrante nudità.
E scopro un'altra Laura, ovvero la sua seconda natura. Quanto era solare e contegnosa in pubblico nonostante il fascino che irradiava, tanto si mostrava torbida e lunare nell'intimità, quasi che le energie sopite che si percepivano a volte solo come piccoli fremiti sottopelle fossero state convogliate in quell'atto come i rivoli di un tumultuoso torrente di montagna.
Un animaletto dei boschi, una gazzella, un panda... cosce contro cosce, pube contro pube, stomaco contro stomaco, seno contro torace, ma le bocche sul collo, come se un bacio in questa fase potesse distrarci dalle emozioni che dal corpo risalivano verso la testa, infiammandola.
Non c'era nemmeno bisogno di asmatiche penetrazioni, di incastri meccanici, di orgastiche inseminazioni per comunicarmi quanto era grande e bello quello che Laura stava concedendomi. Sarebbe bastato il suo corpo asciutto, la sua schiena magra, il calore del suo abbraccio, il pizzicore del suo sesso ispido, la semplicità del suo sorriso in bilico fra la sorpresa e l'eccitazione, a caricare le batterie del mio bisogno di affetto.
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Riprendo coscienza con lei che già mi guardava con le ciglia abbassate, di nuovo calma come una dea sazia del sacrificio umano tributatole.
- Tutto Ok? - mi chiede materna forse preoccupata per il mio aspetto sconvolto.
- Tutto Ok. Piuttosto...
- Cioè?
- Insomma. Come la mettiamo con Luigi?
Storce la bocca e si incupisce. Poi risponde a bassa voce guardando verso il muro.
- Mica è necessario dirglielo.
Era una sensazione nuova, esaltante ma anche parecchio fastidiosa quella di trovarmi per la prima volta nei panni dell'altro, dopo aver amaramente vissuto una situazione analoga sul versante opposto. In questi casi, non c'è amicizia che tenga, ma persino la vittima accettava fatalisticamente la sventura come parte di un gioco in cui si vince e si perde. Homo homini lupus, come diceva quel tale. Non arrivo però a pensare Mors tua vita mea nemmeno in senso metaforico, sarebbe stato troppo cinico. Laura non era mia, lo sentivo, e non lo sarebbe mai stata. Però...
- Senti... scusa se te lo chiedo, ma ho una curiosità.
- Sì?
- Ecco... mi domandavo... Sei stata per caso anche con Sandro?
Ride.
- Con Sandro? Ma no, figurati! Perché me lo chiedi?
- Mi era venuto quel dubbio.
- Ma no! Che idea...
Era sincera, lo sentivo. Non era tipo da nascondermi una cosa del genere, dal momento che non ero nemmeno il suo compagno ufficiale. Dunque l'amico pokerista e trafficone non mi aveva mentito, e la cosa sinceramente mi stupiva. Ma ancor più mi inorgogliva.
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Arzak- Messaggi : 363
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Re: ***Caffé amaro***
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7 - Il regalo
Se t'inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
in quell'aria spessa carica di sale gonfia di odori
Avevo già archiviato quell'incontro come irripetibile per poterlo in seguito rievocare nell'album dei ricordi più struggenti, ma mi sbagliavo. La incontro di nuovo qualche giorno dopo al bar assieme agli amici. Sguardi obliqui, un po' colpevoli, ma con quel brividino sottinteso che evocava il comune segreto. Evitiamo persino di parlarci, forse per non tradire quello stato d'animo davanti agli altri e non cadere di nuovo in tentazione. Sta di fatto però che quando restiamo un attimo soli e colgo un suo nuovo sguardo, il fremito fino ad allora soffocato riemerge prepotente fino a confondermi il cervello.
- Laura.
- Mm?
- Ti voglio.
Si morsica le labbra, esita e si guarda in giro.
- Vai prima tu. Poi ti raggiungo.
Aveva parlato sottovoce, con quel suo tono caldo che avrebbe liquefatto un iceberg. Saluto gli amici e mi avvio ciondolando su per la salita che portava alla casa, affiancata da una chiesa ancora semidistrutta da uno spezzone bellico. Chissà nei secoli quanti prima di me avevano calpestato gli stessi sassi per recarsi ad un appuntamento amoroso in quei caruggi che ricordavano il passato mercantile della citta: via del Fieno, vico dello Zucchero, piazza delle Vigne, vico del Cioccolatte, vico delle Pietre Preziose... Non tutti i miei predecessori dovevano però aver covato lo stesso miscuglio di desiderio e di malessere, e chissà cosa stava provando Laura, oggettivamente un po' più colpevole di me. Aver infranto la monogamia era un evento ormai irreversibile. Tanto valeva fare il bis, deve aver pensato col suo senso pratico.
Mi sdraio sul letto a guardare il soffitto con le mani dietro la testa. E se invece non fosse venuta? Ne avrebbe avuto ben ragione, che senso aveva perseverare in quell'ambiguità, dal momento che entrambi sapevamo che era una storia senza sbocco? Pazienza la prima volta, un'eccezione, una fatalità, un colpo di testa, ma come avrei potuto guardare in faccia un amico di cui ero diventato rivale? A quel punto arrivo a sperare che non venisse, sollevandomi dal peso di quella situazione. E se fosse venuta, ormai avevo deciso, mi sarei preso quella difficile responsabilità. Lo dovevo a lei, a lui, ed anche un po' a me stesso. Basta, dovevo tagliare. E' deciso.
Quando sento lo scalpiccìo dei passi sulle scale mi va il cuore il gola. La vedo spuntare dalla ringhiera con i suoi occhioni timidi, poi venire esitando verso di me. Prima che potessi dire qualcosa allunga la mano a pugno.
- Ti ho portato un regalino...
Accidenti a lei. Proprio mentre stavo per piantarla. Ma cosa ma cosa mai poteva esserci nella mano serrata?
- Cos'è? Una caramella?
- Guarda tu!
Le apro le dita una per una. Sorpresa. Sul palmo della mano c'era una minuscola locomotiva a vapore, perfetta in tutti i dettagli. Scala N.
Sono a volte le piccole cose ad influenzare quelle grandi. Una palla di neve può creare una valanga, una goccia d'olio può sbloccare un meccanismo mentre un semplice sassolino può incepparlo. E persino un piccolo ma significativo regalo può trasformare una grigia storia di sesso in qualcosa di sostanzialmente diverso, ma a cui non sapevo nè volevo dare un nome. Sfioro religiosamente la mia locomotivina in preda allo smarrimento.
- Laura... Ma dove l'hai presa?
- Al mio negozio. Ti piace?
- Non dirmi che l'hai... grattata.
- E infatti non te lo dico.
In un periodo in cui erano in voga gli espropri proletari non era considerato poi tanto grave sottrarre qualcosa alla deprecata classe padronale, ma che Laura avesse commesso quel piccolo reato per me era terribilmente preoccupante. Come avrei fatto in quella situazione a dirle che doveva scomparire dalla mia vita?
- Ma... mica lo sapevi che ci saremmo visti oggi.
- Infatti l'ho in borsetta da due o tre giorni. Aspettavo di vederti.
E' il colpo di grazia. Appoggio la locomotiva sul comodino (è un eufemismo, in realtà si trattava di una tegola di ardesia appoggiata a due mattoni), ne approfitto per accostare con una manata gli scuri della finestra e la attiro a me. Per la prima volta me la trovo sopra, ed era un dolce peso.
Se il nostro primo incontro era stato in fondo un idillio da collegiali, il secondo assume tinte più fosche. Non c'erano più le esitazioni dell'inesperienza, ormai i nostri corpi si conoscevano e trovano la loro strada da soli. Sull'onda di quel nuovo afflato emotivo non ci risparmiamo nulla, dilaniandoci per circa due ore con una passione selvaggia mai provata fino a crollare sfiancati.
Gli amplessi di Laura erano struggenti. E cosa ha di diverso un amplesso struggente rispetto ad un amplesso normale, pur se coinvolgente? Il fatto che Laura l'amore lo faceva davvero con la testa, non nel senso volgare della frase, ma in quello più nobile.
Laura era capace, proprio nel pieno dell'azione, di lanciare sguardi che mi facevano credere di essere l'unico uomo della terra, e poco importava se non era vero. Di guardarmi sorpresa, per poi gemere e pronunciare monosillabi smozzicati che se ricomposti come le foglie della Sibilla avrebbero potuto costituire una dichiarazione d'amore, e forse lo erano. Di restare ad ansimare, dopo l'atto, turbata come se la violazione subita e cercata avesse rappresentato il suo primo contatto con il sesso. Di assopirsi sul mio ventre, lasciandosi coccolare come un peluche, per poi riprendere qualche minuto dopo il suo insaziabile attivismo...
- Laura... - mormoro quando ritrovo la parola.
- Mmm...
- Sei... sei...
- Non dire niente.
- Hai ragione. Ma senti...
- Mm?
- Che senso ha questa storia?
Alza le spalle con gli occhi lucidi.
- Voglio dire... quanto potrà durare?
- Non so. Finché dura, dura. - replica seria.
Tautologica, ma sincera. Non mi offriva una tresca indefinita, un ménage à trois o meno che mai la promessa di un rapporto più costruttivo. Finché dura, dura. Carpe diem, che del diman non v'è certezza.
E la storia durò e durò più di quanto avessi sperato o temuto. Una storia fatalmente clandestina, ma forse proprio per quella ragione terribilmente intensa. Laura era diventata pienamente mia, ma solo in luoghi e tempi strettamente delimitati. Al di fuori di quelli, apparteneva ad un altro.
.
7 - Il regalo
Se t'inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
in quell'aria spessa carica di sale gonfia di odori
Avevo già archiviato quell'incontro come irripetibile per poterlo in seguito rievocare nell'album dei ricordi più struggenti, ma mi sbagliavo. La incontro di nuovo qualche giorno dopo al bar assieme agli amici. Sguardi obliqui, un po' colpevoli, ma con quel brividino sottinteso che evocava il comune segreto. Evitiamo persino di parlarci, forse per non tradire quello stato d'animo davanti agli altri e non cadere di nuovo in tentazione. Sta di fatto però che quando restiamo un attimo soli e colgo un suo nuovo sguardo, il fremito fino ad allora soffocato riemerge prepotente fino a confondermi il cervello.
- Laura.
- Mm?
- Ti voglio.
Si morsica le labbra, esita e si guarda in giro.
- Vai prima tu. Poi ti raggiungo.
Aveva parlato sottovoce, con quel suo tono caldo che avrebbe liquefatto un iceberg. Saluto gli amici e mi avvio ciondolando su per la salita che portava alla casa, affiancata da una chiesa ancora semidistrutta da uno spezzone bellico. Chissà nei secoli quanti prima di me avevano calpestato gli stessi sassi per recarsi ad un appuntamento amoroso in quei caruggi che ricordavano il passato mercantile della citta: via del Fieno, vico dello Zucchero, piazza delle Vigne, vico del Cioccolatte, vico delle Pietre Preziose... Non tutti i miei predecessori dovevano però aver covato lo stesso miscuglio di desiderio e di malessere, e chissà cosa stava provando Laura, oggettivamente un po' più colpevole di me. Aver infranto la monogamia era un evento ormai irreversibile. Tanto valeva fare il bis, deve aver pensato col suo senso pratico.
Mi sdraio sul letto a guardare il soffitto con le mani dietro la testa. E se invece non fosse venuta? Ne avrebbe avuto ben ragione, che senso aveva perseverare in quell'ambiguità, dal momento che entrambi sapevamo che era una storia senza sbocco? Pazienza la prima volta, un'eccezione, una fatalità, un colpo di testa, ma come avrei potuto guardare in faccia un amico di cui ero diventato rivale? A quel punto arrivo a sperare che non venisse, sollevandomi dal peso di quella situazione. E se fosse venuta, ormai avevo deciso, mi sarei preso quella difficile responsabilità. Lo dovevo a lei, a lui, ed anche un po' a me stesso. Basta, dovevo tagliare. E' deciso.
Quando sento lo scalpiccìo dei passi sulle scale mi va il cuore il gola. La vedo spuntare dalla ringhiera con i suoi occhioni timidi, poi venire esitando verso di me. Prima che potessi dire qualcosa allunga la mano a pugno.
- Ti ho portato un regalino...
Accidenti a lei. Proprio mentre stavo per piantarla. Ma cosa ma cosa mai poteva esserci nella mano serrata?
- Cos'è? Una caramella?
- Guarda tu!
Le apro le dita una per una. Sorpresa. Sul palmo della mano c'era una minuscola locomotiva a vapore, perfetta in tutti i dettagli. Scala N.
Sono a volte le piccole cose ad influenzare quelle grandi. Una palla di neve può creare una valanga, una goccia d'olio può sbloccare un meccanismo mentre un semplice sassolino può incepparlo. E persino un piccolo ma significativo regalo può trasformare una grigia storia di sesso in qualcosa di sostanzialmente diverso, ma a cui non sapevo nè volevo dare un nome. Sfioro religiosamente la mia locomotivina in preda allo smarrimento.
- Laura... Ma dove l'hai presa?
- Al mio negozio. Ti piace?
- Non dirmi che l'hai... grattata.
- E infatti non te lo dico.
In un periodo in cui erano in voga gli espropri proletari non era considerato poi tanto grave sottrarre qualcosa alla deprecata classe padronale, ma che Laura avesse commesso quel piccolo reato per me era terribilmente preoccupante. Come avrei fatto in quella situazione a dirle che doveva scomparire dalla mia vita?
- Ma... mica lo sapevi che ci saremmo visti oggi.
- Infatti l'ho in borsetta da due o tre giorni. Aspettavo di vederti.
E' il colpo di grazia. Appoggio la locomotiva sul comodino (è un eufemismo, in realtà si trattava di una tegola di ardesia appoggiata a due mattoni), ne approfitto per accostare con una manata gli scuri della finestra e la attiro a me. Per la prima volta me la trovo sopra, ed era un dolce peso.
Se il nostro primo incontro era stato in fondo un idillio da collegiali, il secondo assume tinte più fosche. Non c'erano più le esitazioni dell'inesperienza, ormai i nostri corpi si conoscevano e trovano la loro strada da soli. Sull'onda di quel nuovo afflato emotivo non ci risparmiamo nulla, dilaniandoci per circa due ore con una passione selvaggia mai provata fino a crollare sfiancati.
Gli amplessi di Laura erano struggenti. E cosa ha di diverso un amplesso struggente rispetto ad un amplesso normale, pur se coinvolgente? Il fatto che Laura l'amore lo faceva davvero con la testa, non nel senso volgare della frase, ma in quello più nobile.
Laura era capace, proprio nel pieno dell'azione, di lanciare sguardi che mi facevano credere di essere l'unico uomo della terra, e poco importava se non era vero. Di guardarmi sorpresa, per poi gemere e pronunciare monosillabi smozzicati che se ricomposti come le foglie della Sibilla avrebbero potuto costituire una dichiarazione d'amore, e forse lo erano. Di restare ad ansimare, dopo l'atto, turbata come se la violazione subita e cercata avesse rappresentato il suo primo contatto con il sesso. Di assopirsi sul mio ventre, lasciandosi coccolare come un peluche, per poi riprendere qualche minuto dopo il suo insaziabile attivismo...
- Laura... - mormoro quando ritrovo la parola.
- Mmm...
- Sei... sei...
- Non dire niente.
- Hai ragione. Ma senti...
- Mm?
- Che senso ha questa storia?
Alza le spalle con gli occhi lucidi.
- Voglio dire... quanto potrà durare?
- Non so. Finché dura, dura. - replica seria.
Tautologica, ma sincera. Non mi offriva una tresca indefinita, un ménage à trois o meno che mai la promessa di un rapporto più costruttivo. Finché dura, dura. Carpe diem, che del diman non v'è certezza.
E la storia durò e durò più di quanto avessi sperato o temuto. Una storia fatalmente clandestina, ma forse proprio per quella ragione terribilmente intensa. Laura era diventata pienamente mia, ma solo in luoghi e tempi strettamente delimitati. Al di fuori di quelli, apparteneva ad un altro.
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Re: ***Caffé amaro***
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8 - La sfida
Hey Babe, take a walk on the wild side,
Said hey honey, take a walk on the wild side.
Dal momento che tutto ruotava attorno alla piazzetta del quartiere era inevitabile che dovessi incontrarla diverse volte assieme al legittimo compagno. Lei dissimulava bene, ma per me l'imbarazzo era mortale.
Una sera addirittura capitano su da noi durante una jam session improvvisata con chitarre e bonghi. E meno male che la vecchietta del piano di sotto era sorda e a fianco non viveva nessuno. In un ambiente così raccolto era però più difficile evitare di incrociare gli occhi con Laura. Cerco di mantenermi indifferente, ma quando dopo un'ennesima occhiata mi accorgo che Luigi aveva assunto un'aria pensosa e malinconica mi sento sprofondare. Capisco che aveva capito, senza tuttavia darlo a vedere. Scambia invece qualche battuta con la compagna, forse per dissimulare o per attenuare il trauma. Poi si fa passare una chitarra e attacca un pezzo molto soft, un Cat Stevens, assai gradito dal pubblico. Dopodichè mi passa lo strumento invitandomi a proseguire.
Sapeva che strimpellavo anch'io, negli ultimi tempi avevo anche migliorato le mie capacità, ma in quel contesto pareva un duello da spaghetti western. Non potendo fare a botte come si usava altrove, mi sfidava sul suo terreno. Rifiutare era impossibile, mi tocca rispondere con un mio cavallo di battaglia, Harvest. L'emozione però mi inceppa, e dopo due o tre battute perdo il filo del testo. Una magra figura, ma nel frattempo Luigi si era fatto passare un'altra chitarra e aveva ripreso la strofa, a cui mi unisco in un duetto di tempi e controtempi che alla fine scatena un applauso. In pratica, mi aveva salvato. O meglio, risparmiato.
Sull'onda del successo attacco Take a walk in a wild side, assai più ritmata, subito seguito dall'amico-rivale. Cori e coretti da parte degli amici, du-dudu-dudu, nuovo successo ed altri travolgenti duetti.
Che senso dovevo dare a tutto questo? Che la musica unisce anche ciò le donne dividono? Forse. O piuttosto si trattava di quella sindrome per cui non potendolo battere si fraternizza con l'avversario? No, intuivo che si trattava d'altro: di quel sentimento primitivo di solidarietà fra cacciatori del paleolitico, rinforzato dall'ostilità del mondo esterno e dalle difficoltà della sopravvivenza, per cui la condivisione delle prede cementava la coesione del gruppo.
Comunque fosse, dopo la serata della verità mi era ormai impossibile proseguire una relazione non più clandestina. Laura era di Luigi, ed era giusto che lo rimanesse. E sua ridiventò, senza ulteriori condivisioni.
Neanche commentiamo la svolta di quella sera. Nessuno di noi tre aveva fatto cenno a penose storie di tradimenti o riconciliazioni. Non ce n'era bisogno, fra noi figli dei fiori all'amatriciana ci si prendeva, ci si lasciava e ci si capiva con uno sguardo.
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8 - La sfida
Hey Babe, take a walk on the wild side,
Said hey honey, take a walk on the wild side.
Dal momento che tutto ruotava attorno alla piazzetta del quartiere era inevitabile che dovessi incontrarla diverse volte assieme al legittimo compagno. Lei dissimulava bene, ma per me l'imbarazzo era mortale.
Una sera addirittura capitano su da noi durante una jam session improvvisata con chitarre e bonghi. E meno male che la vecchietta del piano di sotto era sorda e a fianco non viveva nessuno. In un ambiente così raccolto era però più difficile evitare di incrociare gli occhi con Laura. Cerco di mantenermi indifferente, ma quando dopo un'ennesima occhiata mi accorgo che Luigi aveva assunto un'aria pensosa e malinconica mi sento sprofondare. Capisco che aveva capito, senza tuttavia darlo a vedere. Scambia invece qualche battuta con la compagna, forse per dissimulare o per attenuare il trauma. Poi si fa passare una chitarra e attacca un pezzo molto soft, un Cat Stevens, assai gradito dal pubblico. Dopodichè mi passa lo strumento invitandomi a proseguire.
Sapeva che strimpellavo anch'io, negli ultimi tempi avevo anche migliorato le mie capacità, ma in quel contesto pareva un duello da spaghetti western. Non potendo fare a botte come si usava altrove, mi sfidava sul suo terreno. Rifiutare era impossibile, mi tocca rispondere con un mio cavallo di battaglia, Harvest. L'emozione però mi inceppa, e dopo due o tre battute perdo il filo del testo. Una magra figura, ma nel frattempo Luigi si era fatto passare un'altra chitarra e aveva ripreso la strofa, a cui mi unisco in un duetto di tempi e controtempi che alla fine scatena un applauso. In pratica, mi aveva salvato. O meglio, risparmiato.
Sull'onda del successo attacco Take a walk in a wild side, assai più ritmata, subito seguito dall'amico-rivale. Cori e coretti da parte degli amici, du-dudu-dudu, nuovo successo ed altri travolgenti duetti.
Che senso dovevo dare a tutto questo? Che la musica unisce anche ciò le donne dividono? Forse. O piuttosto si trattava di quella sindrome per cui non potendolo battere si fraternizza con l'avversario? No, intuivo che si trattava d'altro: di quel sentimento primitivo di solidarietà fra cacciatori del paleolitico, rinforzato dall'ostilità del mondo esterno e dalle difficoltà della sopravvivenza, per cui la condivisione delle prede cementava la coesione del gruppo.
Comunque fosse, dopo la serata della verità mi era ormai impossibile proseguire una relazione non più clandestina. Laura era di Luigi, ed era giusto che lo rimanesse. E sua ridiventò, senza ulteriori condivisioni.
Neanche commentiamo la svolta di quella sera. Nessuno di noi tre aveva fatto cenno a penose storie di tradimenti o riconciliazioni. Non ce n'era bisogno, fra noi figli dei fiori all'amatriciana ci si prendeva, ci si lasciava e ci si capiva con uno sguardo.
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Arzak- Messaggi : 363
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Re: ***Caffé amaro***
Aha. Bella storia. Laura torbida e lunare. Bravo Arzak. Come fai a ricordarti cosi' bene le cose di cosi' tanto tempo fa? Io non ci riesco quasi piu'
KillingTime- Messaggi : 5
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Località : Mille Colline
Re: ***Caffé amaro***
KillingTime ha scritto:Aha. Bella storia. Laura torbida e lunare. Bravo Arzak. Come fai a ricordarti cosi' bene le cose di cosi' tanto tempo fa? Io non ci riesco quasi piu'
Siamo in due KT.
Quello che meraviglia di Arzak è la freschezza dei ricordi, custoditi così teneramente.
Una dimensione, quella della tenerezza, difficilissima da conservare nel tempo.
Io ne conosco poche di persone così.
Lara- Messaggi : 198
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Re: ***Caffé amaro***
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9 - La tenda
Ed arrivarono quattro gendarmi con i pennacchi con i pennacchi
ed arrivarono quatto gendarmi con i pennacchi e con le armi
La notizia era in prima pagina a titoli cubitali. Cos'era accaduto? Alcuni giovani, ragazzi e ragazze, avevano fatto una gita, avevano piantato la tenda sul cocuzzolo di una collina e alla sera si erano fatti uno spinello. Tutto qui.
Disgrazia volle che qualcuno, infastidito dalla presenza di giovani dai capelli eccessivamente lunghi, abbia chiamato i carabinieri. Risultato: arresti, denunce e gran sollazzo per la benpensante stampa cittadina. La tenda da campeggio diventa così un luogo di orge e di depravazione, mentre i gitanti vengono definiti come dei drogati da additare al pubblico disprezzo quali nefasto esempio della degenerazione morale in corso e meritevoli di pene esemplari.
Notizia preoccupante, visto il clima di caccia alle streghe in cui tutti vivevamo. Spulcio i nomi dei protagonisti e vi scopro con emozione quello di Luigi.
Non era un segreto che indulgesse a quel vizietto, come dimostrava lo sguardo sempre un po' lucido e sognante. Ma finire in galera per uno spino era davvero agghiacciante, soprattutto per uno come Luigi, una delle persone più inoffensive ma anche più fragili che conoscessi. Quale danno aveva mai fatto alla società per meritare quel trattamento...
Questo però significava che Laura al momento era libera. E magari bisognosa di conforto, penso istintivamente prima di darmi dello sciacallo. Sarebbe stato troppo facile circuirla, in quelle condizioni. Ero in fondo l'unico per cui provasse un certo feeling, oltre all'amico del cuore al momento al fresco.
O al contrario, sarei potuto passare per un profittatore anche solo nell'esprimerle la mia solidarietà. Cercarla per darle una mano sfidando quel rischio o lasciare che se la sbrigasse da sola proprio quando ne avrebbe avuto più bisogno?
In realtà non temevo le sue reazioni. Temevo le mie. E non la cerco.
A convincermi aiutano poi le foto che scopro nella cronaca cittadina: in una vi erano gli imputati, ammanettati e trascinati in aula in una fila che li univa l'uno all'altro con delle catene, come schiavi dell'antichità. Nell'altra appariva Laura, che travolgendo il cordone di carabinieri era corsa da Luigi per abbracciarlo senza che lui potesse ricambiare.
Per non sentirmi un caino chiamo tuttavia Sandro, che per via delle turbolente vicende personali aveva spesso occasioni di incontro con avvocati. Ne contattiamo uno del giro, ed in qualche maniera organizziamo un "collegio di difesa" per assistere gli amici.
Di più, non riuscivo a fare. Quella città ormai mi stava stretta, ed il desiderio di allontanarmene era diventato lancinante.
9 - La tenda
Ed arrivarono quattro gendarmi con i pennacchi con i pennacchi
ed arrivarono quatto gendarmi con i pennacchi e con le armi
La notizia era in prima pagina a titoli cubitali. Cos'era accaduto? Alcuni giovani, ragazzi e ragazze, avevano fatto una gita, avevano piantato la tenda sul cocuzzolo di una collina e alla sera si erano fatti uno spinello. Tutto qui.
Disgrazia volle che qualcuno, infastidito dalla presenza di giovani dai capelli eccessivamente lunghi, abbia chiamato i carabinieri. Risultato: arresti, denunce e gran sollazzo per la benpensante stampa cittadina. La tenda da campeggio diventa così un luogo di orge e di depravazione, mentre i gitanti vengono definiti come dei drogati da additare al pubblico disprezzo quali nefasto esempio della degenerazione morale in corso e meritevoli di pene esemplari.
Notizia preoccupante, visto il clima di caccia alle streghe in cui tutti vivevamo. Spulcio i nomi dei protagonisti e vi scopro con emozione quello di Luigi.
Non era un segreto che indulgesse a quel vizietto, come dimostrava lo sguardo sempre un po' lucido e sognante. Ma finire in galera per uno spino era davvero agghiacciante, soprattutto per uno come Luigi, una delle persone più inoffensive ma anche più fragili che conoscessi. Quale danno aveva mai fatto alla società per meritare quel trattamento...
Questo però significava che Laura al momento era libera. E magari bisognosa di conforto, penso istintivamente prima di darmi dello sciacallo. Sarebbe stato troppo facile circuirla, in quelle condizioni. Ero in fondo l'unico per cui provasse un certo feeling, oltre all'amico del cuore al momento al fresco.
O al contrario, sarei potuto passare per un profittatore anche solo nell'esprimerle la mia solidarietà. Cercarla per darle una mano sfidando quel rischio o lasciare che se la sbrigasse da sola proprio quando ne avrebbe avuto più bisogno?
In realtà non temevo le sue reazioni. Temevo le mie. E non la cerco.
A convincermi aiutano poi le foto che scopro nella cronaca cittadina: in una vi erano gli imputati, ammanettati e trascinati in aula in una fila che li univa l'uno all'altro con delle catene, come schiavi dell'antichità. Nell'altra appariva Laura, che travolgendo il cordone di carabinieri era corsa da Luigi per abbracciarlo senza che lui potesse ricambiare.
Per non sentirmi un caino chiamo tuttavia Sandro, che per via delle turbolente vicende personali aveva spesso occasioni di incontro con avvocati. Ne contattiamo uno del giro, ed in qualche maniera organizziamo un "collegio di difesa" per assistere gli amici.
Di più, non riuscivo a fare. Quella città ormai mi stava stretta, ed il desiderio di allontanarmene era diventato lancinante.
Ultima modifica di Arzak il Mer 05 Feb 2014, 10:33 - modificato 1 volta.
Arzak- Messaggi : 363
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Re: ***Caffé amaro***
Davvero quella della foto è Laura?
Leggendo, l'avevo immaginata esattamente, dettagliatamnte così, compreso il kilt.
Leggendo, l'avevo immaginata esattamente, dettagliatamnte così, compreso il kilt.
Rom- Messaggi : 996
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
Quella della foto è la persona che ho descritto. Che ovviamente però non si chiama Laura. Entro breve comunque rimuoverò la foto per ragioni comprensibili.Rom ha scritto:Davvero quella della foto è Laura?
Leggendo, l'avevo immaginata esattamente, dettagliatamente così, compreso il kilt.
Arzak- Messaggi : 363
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
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10 - La fuga
Guardare ogni giorno se piove o c'e' il sole,
per saper se domani si vive o si muore
e un bel giorno dire basta e andare via.
Mi ritrovo sullo svincolo di Cornigliano con uno zaino in spalla e duecentocinquanta dollari fruscianti nascosti nella cintura. Avevo anche con grande dolore venduto la moto, proprio per recidere ogni legame col passato.
Dopo una mezz'ora di attesa si ferma una giardinetta guidata da un anziano con la faccia aperta del tranquillo rappresentante di commercio.
- Dove è che se ne va, con quello zaino?
- Kathmandu.
- Ah. Io vado fino a Bolzaneto...
- Va bene uguale.
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10 - La fuga
Guardare ogni giorno se piove o c'e' il sole,
per saper se domani si vive o si muore
e un bel giorno dire basta e andare via.
Mi ritrovo sullo svincolo di Cornigliano con uno zaino in spalla e duecentocinquanta dollari fruscianti nascosti nella cintura. Avevo anche con grande dolore venduto la moto, proprio per recidere ogni legame col passato.
Dopo una mezz'ora di attesa si ferma una giardinetta guidata da un anziano con la faccia aperta del tranquillo rappresentante di commercio.
- Dove è che se ne va, con quello zaino?
- Kathmandu.
- Ah. Io vado fino a Bolzaneto...
- Va bene uguale.
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Arzak- Messaggi : 363
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
...uguale
Questa di vendere la moto per espatriare mi ha provocato una fitta al fianco. Lo feci anche io, nel 1990 o giu' di li', e fu terribile perche' con quella moto avevo passato dieci anni assieme, giorno dopo giorno.
Sigh.
Questa di vendere la moto per espatriare mi ha provocato una fitta al fianco. Lo feci anche io, nel 1990 o giu' di li', e fu terribile perche' con quella moto avevo passato dieci anni assieme, giorno dopo giorno.
Sigh.
KillingTime- Messaggi : 5
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Re: ***Caffé amaro***
Arzak ha scritto:Peggio. In un momento di ristrettezze ho dovuto vendere la mia chitarra semiacustica bianca anni 50, una rarità. Per fare lo wow non aveva ancora la leva, come le Fender successive, ma aveva il manico incernierato, tanto che bastava piegarlo un po' per ottenere l'effetto. Un affare così oggi varrebbe un cinquemila euro. Allora ci ho tirato fuori quindicimila lire...KillingTime ha scritto:...uguale
Questa di vendere la moto per espatriare mi ha provocato una fitta al fianco. Lo feci anche io, nel 1990 o giu' di li', e fu terribile perche' con quella moto avevo passato dieci anni assieme, giorno dopo giorno.
Sigh.
Ultima modifica di Arzak il Mar 04 Feb 2014, 09:35 - modificato 1 volta.
Arzak- Messaggi : 363
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Re: ***Caffé amaro***
Sì, credo che nella descrizione di "Laura" tu sia riuscito a cogliere l'immaginario di tutti noi... in particolare anche il mio, dato che la mia prima fidanzatina si chiamava proprio Laura... benché fossimo poco più che dei bimbi...
Cmq non dargli retta a KT... se questa storia l'avessi pubblicata ai tempi dei concorsini letterari te l'avrebbe stroncata spietatamente...
Cmq non dargli retta a KT... se questa storia l'avessi pubblicata ai tempi dei concorsini letterari te l'avrebbe stroncata spietatamente...
Amiter- Messaggi : 456
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Età : 28
Re: ***Caffé amaro***
Non c'è problema, me la stronco da solo. Ce lo so puro io che non sono Castaneda... L'importante è che ci sia qualcuno che queste storielle le legge. Giusto per avere lo spunto per chiacchierare fra di noi.
Arzak- Messaggi : 363
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
Io sto aspettando in rispettoso silenzio, per commentare, che la storia cresca: non è come l'altra vicenda, centrata su due (anzi uno, femmina) personaggi, qui c'è un tempo, una città, una moto, una (per il momento) donna, un amico fragile, insomma un piccolo grande mondo antico.
Fra poco entreranno in campo i miei ritratti. Credo.
Fra poco entreranno in campo i miei ritratti. Credo.
Rom- Messaggi : 996
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
Arzak, e valli a prendere tu per la collottola quei 15-20 che leggono senza intervenire, dici sempre questo fatto. Non puoi forzare le persone.
In tutti i modo questa storia è molto avvincente.
In tutti i modo questa storia è molto avvincente.
tessa- Messaggi : 315
Data d'iscrizione : 01.06.13
Re: ***Caffé amaro***
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11 - Il ritorno
Eravamo quattro amici al bar
che volevano cambiare il mondo
Mancavo dalla città ormai da qualche anno. In quel frattempo mi ero trasferito al nord, avevo incontrato una donna che mi faceva impazzire e con lei ero partito alla scoperta del pianeta. Curiosamente, dopo aver visitato casbah, medine e bazar di mezzo mondo sentendomi sempre a casa dappertutto, era proprio la mia città natale ad apparirmi estranea, rinnovata ed invecchiata al tempo stesso. Per rievocare i vecchi fasti mi ero comprato una rumorosa Guzzi Alcione 500, un residuato bellico del 1939, così chiamata per avere un manubrio anche per il sellino posteriore che la faceva somigliare ad un'alce, caratteristica unica al mondo di cui andavo giustamente fiero.
Torno al bar della piazzetta con la mia "nuova" moto con un certo timore, come quando svelavo lentamente le cinque carte del poker. Incredibilmente erano ancora quasi tutti lì, a sognare donne e motori con qualche disillusione in più. C'era anche lei, sciupata, con le occhiaie, ma ancora affascinante. Mi fa un distratto cenno di saluto, come se ci fossimo visti il giorno prima.
- Ciao Laura.
- Ciao. Tutto bene?
- Beh sì. Ho pensato di fare una piccola rimpatriata.
- Bravo.
- Tu, piuttosto. Come stai?
- Come mi vedi.
- E il bar?
- Eccolo qui. E' rimasto dov'era.
- Intendevo il bar che dovevi mettere su.
- Anche lui è rimasto dov'era.
- Ah. E Luigi?
Fa un gesto di disinteresse, quasi di fastidio che mi indispone ma allo stesso tempo mi fa palpitare. Certo, normale, le cose cambiano. Non è bello lasciarsi, soprattutto se capita a noi stessi. Ma se capita ad un altro? Fosse accaduto qualche anno prima, nonostante il dispiacere per l'amico, mi sarei sentito al settimo cielo. Ora quello impegnato ero io, niente da fare. Evito comunque di approfondire, capivo che non lo gradiva. Parliamo per qualche minuto, o piuttosto parlo io. Le racconto le mie peripezie esotiche, poi le chiedo di qualche amico comune. Ma neanche ascolto le risposte. Cercavo nel suo viso le tracce di quello che era stata, ma che faticavo ad individuare. Le ritrovo tuttavia dentro di me come un'eco lontana, ed il demone riaffiora.
- Senti... Lo so che è passato un bel po' di tempo...
- Allora?
- Ecco. Mi domandavo... hai voglia di fare un salto su in soffitta?
- Come vuoi.
- Beh, come vuoi tu, piuttosto.
- Per me è uguale.
- Non sei incoraggiante. Se è così lasciamo perdere. Anzi, scusami, non dovevo neanche chiedertelo. Sono stato stupido.
Mi guarda qualche secondo, poi sospira e mi prende una mano.
- Andiamo, dai.
Facciamo l'amore in modo rabbioso, disperato, come se con i nostri movimenti volessimo spostare all'indietro le lancette dell'orologio di quella macchina del tempo che era la nostra soffitta, con gli eterni Santo & Johnny che cercavano inutilmente di rievocare un'atmosfera ormai impolverata.
Quando mi allontano ansante Laura aveva gli occhi chiusi e le braccia ripiegate con i pugni serrati sul seno, come in difesa. La guardo cercando di leggerle dentro, e mi coglie un sospetto. Le prendo una mano cercando di farle distendere il braccio. Lei prima resiste, poi cede rassegnata. Nell'incavo del gomito vi erano alcuni puntini rossi.
Diomio no. Senso di vuoto e temporanea afasia.
- E questi?
Alza entrambe le spalle.
- Non è niente.
- Laura...
- Non importa, smetto quando voglio.
- E allora smetti, che cazzo!
- Non ho detto che voglio.
- Lo sai che non va bene. Perché hai iniziato?
- Così. Perché mi andava.
Non aggiunge "fatti i fatti tuoi", era troppo beneducata.
- Non dovresti. Mi spiace davvero, sai.
- A me no.
Era del tutto nuova, quella durezza in lei. Non le aveva fatto bene lasciarsi con l'amico. O era magari stato lui? Impossibile...
- Senti... Hai qualcuno adesso?
- Qualcuno chi?
- Un uomo. Ne avevi un sacco che ti giravano attorno.
- Girano anche adesso. Solo che ora mi pagano.
Mi guarda seria negli occhi senza abbassarli. Non li abbasso neanch'io, faticando ad assimilare la seconda notizia. E non era nemmeno l'ultima.
- Scherzi?
Alza di nuovo le spalle con un sorrisino amaro.
Non sapevo cosa dire. Per attenuare il colpo cerco di prenderla con la stessa incosciente leggerezza che aveva usato lei, sentendomi però subito pateticamente fuori luogo.
- Pazzesco... Non ci posso credere...
- E' così.
- Spero solo che alla fine tu riesca a comprarti il bar, così poi la smetti.
- Quanto pensi che riesca a mettere via una che si buca?
- Laura... E' successo per via di Luigi? Ti ha lasciato?
Si mette le mani giunte sul viso.
- Lasciamo perdere.
- Scusa se insisto, ma vorrei capire, visto che in qualche modo sono stato anche parte in causa. L'hai lasciato tu? Che fine ha fatto?
Mi sarei poi mangiato la lingua per aver detto quella frase.
- Non hai saputo?
- Sono stato via dall'Italia sei mesi e sono appena tornato. Non so niente. E il processo?
Storce la bocca, come nel rievocare un episodio insignificante.
- Non ha fatto molto. Quando è uscito però non era più lo stesso...
- Cioè?
- C'era su tutti i giornali. Un giorno ha preso un acido. E' salito in piedi sulla finestra perché pensava di poter volare. Solo che non aveva le ali.
.
11 - Il ritorno
Eravamo quattro amici al bar
che volevano cambiare il mondo
Mancavo dalla città ormai da qualche anno. In quel frattempo mi ero trasferito al nord, avevo incontrato una donna che mi faceva impazzire e con lei ero partito alla scoperta del pianeta. Curiosamente, dopo aver visitato casbah, medine e bazar di mezzo mondo sentendomi sempre a casa dappertutto, era proprio la mia città natale ad apparirmi estranea, rinnovata ed invecchiata al tempo stesso. Per rievocare i vecchi fasti mi ero comprato una rumorosa Guzzi Alcione 500, un residuato bellico del 1939, così chiamata per avere un manubrio anche per il sellino posteriore che la faceva somigliare ad un'alce, caratteristica unica al mondo di cui andavo giustamente fiero.
Torno al bar della piazzetta con la mia "nuova" moto con un certo timore, come quando svelavo lentamente le cinque carte del poker. Incredibilmente erano ancora quasi tutti lì, a sognare donne e motori con qualche disillusione in più. C'era anche lei, sciupata, con le occhiaie, ma ancora affascinante. Mi fa un distratto cenno di saluto, come se ci fossimo visti il giorno prima.
- Ciao Laura.
- Ciao. Tutto bene?
- Beh sì. Ho pensato di fare una piccola rimpatriata.
- Bravo.
- Tu, piuttosto. Come stai?
- Come mi vedi.
- E il bar?
- Eccolo qui. E' rimasto dov'era.
- Intendevo il bar che dovevi mettere su.
- Anche lui è rimasto dov'era.
- Ah. E Luigi?
Fa un gesto di disinteresse, quasi di fastidio che mi indispone ma allo stesso tempo mi fa palpitare. Certo, normale, le cose cambiano. Non è bello lasciarsi, soprattutto se capita a noi stessi. Ma se capita ad un altro? Fosse accaduto qualche anno prima, nonostante il dispiacere per l'amico, mi sarei sentito al settimo cielo. Ora quello impegnato ero io, niente da fare. Evito comunque di approfondire, capivo che non lo gradiva. Parliamo per qualche minuto, o piuttosto parlo io. Le racconto le mie peripezie esotiche, poi le chiedo di qualche amico comune. Ma neanche ascolto le risposte. Cercavo nel suo viso le tracce di quello che era stata, ma che faticavo ad individuare. Le ritrovo tuttavia dentro di me come un'eco lontana, ed il demone riaffiora.
- Senti... Lo so che è passato un bel po' di tempo...
- Allora?
- Ecco. Mi domandavo... hai voglia di fare un salto su in soffitta?
- Come vuoi.
- Beh, come vuoi tu, piuttosto.
- Per me è uguale.
- Non sei incoraggiante. Se è così lasciamo perdere. Anzi, scusami, non dovevo neanche chiedertelo. Sono stato stupido.
Mi guarda qualche secondo, poi sospira e mi prende una mano.
- Andiamo, dai.
Facciamo l'amore in modo rabbioso, disperato, come se con i nostri movimenti volessimo spostare all'indietro le lancette dell'orologio di quella macchina del tempo che era la nostra soffitta, con gli eterni Santo & Johnny che cercavano inutilmente di rievocare un'atmosfera ormai impolverata.
Quando mi allontano ansante Laura aveva gli occhi chiusi e le braccia ripiegate con i pugni serrati sul seno, come in difesa. La guardo cercando di leggerle dentro, e mi coglie un sospetto. Le prendo una mano cercando di farle distendere il braccio. Lei prima resiste, poi cede rassegnata. Nell'incavo del gomito vi erano alcuni puntini rossi.
Diomio no. Senso di vuoto e temporanea afasia.
- E questi?
Alza entrambe le spalle.
- Non è niente.
- Laura...
- Non importa, smetto quando voglio.
- E allora smetti, che cazzo!
- Non ho detto che voglio.
- Lo sai che non va bene. Perché hai iniziato?
- Così. Perché mi andava.
Non aggiunge "fatti i fatti tuoi", era troppo beneducata.
- Non dovresti. Mi spiace davvero, sai.
- A me no.
Era del tutto nuova, quella durezza in lei. Non le aveva fatto bene lasciarsi con l'amico. O era magari stato lui? Impossibile...
- Senti... Hai qualcuno adesso?
- Qualcuno chi?
- Un uomo. Ne avevi un sacco che ti giravano attorno.
- Girano anche adesso. Solo che ora mi pagano.
Mi guarda seria negli occhi senza abbassarli. Non li abbasso neanch'io, faticando ad assimilare la seconda notizia. E non era nemmeno l'ultima.
- Scherzi?
Alza di nuovo le spalle con un sorrisino amaro.
Non sapevo cosa dire. Per attenuare il colpo cerco di prenderla con la stessa incosciente leggerezza che aveva usato lei, sentendomi però subito pateticamente fuori luogo.
- Pazzesco... Non ci posso credere...
- E' così.
- Spero solo che alla fine tu riesca a comprarti il bar, così poi la smetti.
- Quanto pensi che riesca a mettere via una che si buca?
- Laura... E' successo per via di Luigi? Ti ha lasciato?
Si mette le mani giunte sul viso.
- Lasciamo perdere.
- Scusa se insisto, ma vorrei capire, visto che in qualche modo sono stato anche parte in causa. L'hai lasciato tu? Che fine ha fatto?
Mi sarei poi mangiato la lingua per aver detto quella frase.
- Non hai saputo?
- Sono stato via dall'Italia sei mesi e sono appena tornato. Non so niente. E il processo?
Storce la bocca, come nel rievocare un episodio insignificante.
- Non ha fatto molto. Quando è uscito però non era più lo stesso...
- Cioè?
- C'era su tutti i giornali. Un giorno ha preso un acido. E' salito in piedi sulla finestra perché pensava di poter volare. Solo che non aveva le ali.
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Arzak- Messaggi : 363
Data d'iscrizione : 10.04.13
Re: ***Caffé amaro***
Arzak ha scritto:- Non ha fatto molto. Quando è uscito però non era più lo stesso...
- Cioè?
- C'era su tutti i giornali. Un giorno ha preso un acido. E' salito in piedi sulla finestra perché pensava di poter volare. Solo che non aveva le ali.
Ho spento la sigaretta, quando ho letto queste ultime righe: ho avuto d'improvviso la bocca amara.
Ho pensato che non era leale, non era giusto. Uscire dal gioco per buttare dentro la vita vera, quella che a un certo punto ci costringe ad ammettere che esiste la morte.
Lo so, il realismo impone che il racconto, la vita, continui più o meno come prima, con la successione di chiaro e di scuro.
Io ho seguito fin qui il racconto con affetto: era la vicenda di tutti noi, con qualche amico in più, qualche moto in meno, gli stessi amori, gli stessi tradimenti. Era come se scrivessi il tuo racconto insieme con te.
Adesso, io, lo farei finire su quelle ali inutili.
Rom- Messaggi : 996
Data d'iscrizione : 10.04.13
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