Noi. Cittadini del mondo?
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Noi. Cittadini del mondo?
Un senso di inquietudine di fronte alle notizie. All'insieme delle notizie, o più precisamente ai mezzi di comunicazione, ai notiziari, alle segnalazioni, alla pagina di apertura di Yahoo, ai sommari concitati dei telegiornali, ai collegamenti via satellite...
Mi sono chiesto il perché di questa sensazione di disagio, che è in netto contrasto con la curiosità, il piacere di conoscere, che ho sempre avuto. Che cosa potrebbe volere di più uno come me, che da bimbo faceva viaggi immaginari scorrendo il dito sulle pagine mute di un atlante? Che cosa può volere di più chiunque, anche i nativi digitali che gli atlanti non l'hanno mai sporcati di marmellata?
Cercando di capire, mi viene in mente, chissà perché, Francesco d'Assisi. Poi, dopo un momento, lo capisco il perché: il silenzio, ma più del silenzio l'orizzonte limitato, ma vero, delle collinette umbre che sono state il suo infinito.
Mi vengono in mente le macchine con le quale ho girato, anche io, tra collinette simili, un poco più a sud, in Sabina: la Mini, la Renault 4, quelle world-car nate l'una tra gli odori di fritto fish and chips e l'altra per soddisfare gli agricoltori francesi, che avevano bisogno di una piccola station economica e ben molleggiata.
Mi vengono in mente tutti gli sport, tutte le partite di calcio, che hanno creato e alimentato un mito, nelle quali potevi riconoscere modi di giocare, facce, comportamenti diversi, così esclusivamente, totalmente brasiliani, tedeschi, spagnoli, giapponesi, americani, "ognuno col suo viaggio, ognuno diverso", e nuovo, ogni volta da scoprire, da capire.
Tutto è relativo. Anche io, bimbo col ditino sull'atlante, ero relativo se paragonato a un me stesso probabile analfabeta di cinquant'anni prima, e la mia Mini verde era relativa rispetto alla diligenza o al tram a cavalli.
Anche l'inquinamento è relativo: per quanto puro il mare di Montecristo, già al tempo di Dumas era certamente meno pulito di quello dei Fenici. Il problema è che adesso l'inquinamento uccide, o, come minimo, ti consiglia di non farti un bagno lì dove galleggiano buste di plastica e schiume giallastre.
E allora, alla fine del giro, dov'è che nasce il disagio?
Dalla sensazione che ci anneghiamo in un'illusione di consapevolezza globale, un'overdose di informazioni che uccide l'informazione.
Ma soprattutto che umilia, inavvertitamente, in valore dell'esperienza.
Ci sono tanti, troppi, fenomeni che, per diventare degni di assumere un senso, per esempio politico, devono essere raccontati e percepiti come "mondiali", con cronache e reportage intercontinentali, di dimensioni epiche.
Cerchiamo il dramma delle migrazioni nella conta dei naufragi dei barconi, nei genocidi, nell'adrenalina dei "messaggi interrotti" captati sui social network, nei video degli inviati che ansimano nei microfoni tra le folate di vento nel deserto: e non guardiamo la faccia del senegalese che ci pulisce il parabrezza al semaforo, nella quale potremmo leggere forse di più di quello che ci raccontano telegiornali e social messi insieme.
O invece la guardiamo, quella faccia, e ne facciamo un argomento di riflessione intimistica, privata, marginale, prima di tornare a casa per la nostra full immersion informativa che ci fa sentire "cittadini del mondo".
Mi sono chiesto il perché di questa sensazione di disagio, che è in netto contrasto con la curiosità, il piacere di conoscere, che ho sempre avuto. Che cosa potrebbe volere di più uno come me, che da bimbo faceva viaggi immaginari scorrendo il dito sulle pagine mute di un atlante? Che cosa può volere di più chiunque, anche i nativi digitali che gli atlanti non l'hanno mai sporcati di marmellata?
Cercando di capire, mi viene in mente, chissà perché, Francesco d'Assisi. Poi, dopo un momento, lo capisco il perché: il silenzio, ma più del silenzio l'orizzonte limitato, ma vero, delle collinette umbre che sono state il suo infinito.
Mi vengono in mente le macchine con le quale ho girato, anche io, tra collinette simili, un poco più a sud, in Sabina: la Mini, la Renault 4, quelle world-car nate l'una tra gli odori di fritto fish and chips e l'altra per soddisfare gli agricoltori francesi, che avevano bisogno di una piccola station economica e ben molleggiata.
Mi vengono in mente tutti gli sport, tutte le partite di calcio, che hanno creato e alimentato un mito, nelle quali potevi riconoscere modi di giocare, facce, comportamenti diversi, così esclusivamente, totalmente brasiliani, tedeschi, spagnoli, giapponesi, americani, "ognuno col suo viaggio, ognuno diverso", e nuovo, ogni volta da scoprire, da capire.
Tutto è relativo. Anche io, bimbo col ditino sull'atlante, ero relativo se paragonato a un me stesso probabile analfabeta di cinquant'anni prima, e la mia Mini verde era relativa rispetto alla diligenza o al tram a cavalli.
Anche l'inquinamento è relativo: per quanto puro il mare di Montecristo, già al tempo di Dumas era certamente meno pulito di quello dei Fenici. Il problema è che adesso l'inquinamento uccide, o, come minimo, ti consiglia di non farti un bagno lì dove galleggiano buste di plastica e schiume giallastre.
E allora, alla fine del giro, dov'è che nasce il disagio?
Dalla sensazione che ci anneghiamo in un'illusione di consapevolezza globale, un'overdose di informazioni che uccide l'informazione.
Ma soprattutto che umilia, inavvertitamente, in valore dell'esperienza.
Ci sono tanti, troppi, fenomeni che, per diventare degni di assumere un senso, per esempio politico, devono essere raccontati e percepiti come "mondiali", con cronache e reportage intercontinentali, di dimensioni epiche.
Cerchiamo il dramma delle migrazioni nella conta dei naufragi dei barconi, nei genocidi, nell'adrenalina dei "messaggi interrotti" captati sui social network, nei video degli inviati che ansimano nei microfoni tra le folate di vento nel deserto: e non guardiamo la faccia del senegalese che ci pulisce il parabrezza al semaforo, nella quale potremmo leggere forse di più di quello che ci raccontano telegiornali e social messi insieme.
O invece la guardiamo, quella faccia, e ne facciamo un argomento di riflessione intimistica, privata, marginale, prima di tornare a casa per la nostra full immersion informativa che ci fa sentire "cittadini del mondo".
CiRom- Moderatore
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