Discorsi pubblici e discorsi privati
Discorsi pubblici e discorsi privati
Chiamiamola "privatizzazione della politica".
Da molti anni -dieci, venti? - il pubblico dibattito, coronato dal confronto parlamentare, riguarda i conti, i bilanci, le dotazioni di spesa, le aliquote fiscali, i tagli, in una parola "i soldi" e quel tanto di non strettamente finanziario che sta appena dietro i soldi e la loro distribuzione.
Tutto il resto, ad andar bene, sta nei disegni di legge che accumulano polvere nei cassetti, che qualche peon ancora innocente scrive nei primi mesi del proprio mandato parlamentare e si dimentica a mano a mano che diventa più organico al suo partito.
La scuola, la sanità, il lavoro, la comunicazione e l'informazione, il patrimonio culturale, l'ambiente, e la vita, la morte, la famiglia, la vecchiaia, il sesso, il futuro, la libertà, la guerra, sono diventati argomenti da trattare in conversazioni private e dibattiti corporativi, che arrivano al massimo nel retrobottega della politica, col nome di "questioni di coscienza" - o nell'archivio delle eterne riforme in attesa di giudizio.
Se in qualcuno di questi temi si mette mano a qualche cambiamento è solo per contare, spostare, togliere e mettere soldi, senza mai entrare nella carne viva della materia, senza ridiscuterne la funzionalità, senza avere mai il coraggio di avere un progetto, se non quello di ridisegnare il percorso del finanziamento, della responsabilità economica, insomma, appunto, dei soldi.
La sanità pubblica sta degradando precipitosamente, ma la cosa interessa solo ai medici e ai pazienti, e così la scuola, così l'informazione, così la qualità della vita degli anziani, dei pensionati, degli emarginati, dei disoccupati, dei lavoratori precari e dei pendolari: discorsi privati, che arrivano a livello pubblico, in via eccezionale, attraverso i "collegamenti con la piazza" durante i talkshow, con evidente fastidio degli "ospiti in studio", che appena finito il collegamento riprendono a parlare di alleanze e, appunto, di soldi.
D'altra parte, che senso avrebbe discutere di questo in chiave politica? Come potrebbero, questi temi, trovare spazio in politica?
Le riforme, i progetti, si attuano solo quando si ha il 51% dei voti, e nessuno disturba il partito dei Grandi Ingegneri: lo pensa l'Unto di Arcore, e lo pensa il guru del Movimento 5 stelle, e lo dicono, quando sono alle strette, anche i democratici a vocazione maggioritaria.
Più che realizzare, la politica è in grado al massimo a mediare, trovare un compromesso, e solo i numeri, cioè i soldi, consentono di fare addizioni e divisioni per trovare una media, che non risolve i problemi, ma consente di dire che si sono affrontati.
Parlare della vita, questo lo possiamo fare tra noi, e per una scintigrafia ossea da realizzare in tempi utili basta rivolgersi a un laboratorio, naturalmente privato.
Da molti anni -dieci, venti? - il pubblico dibattito, coronato dal confronto parlamentare, riguarda i conti, i bilanci, le dotazioni di spesa, le aliquote fiscali, i tagli, in una parola "i soldi" e quel tanto di non strettamente finanziario che sta appena dietro i soldi e la loro distribuzione.
Tutto il resto, ad andar bene, sta nei disegni di legge che accumulano polvere nei cassetti, che qualche peon ancora innocente scrive nei primi mesi del proprio mandato parlamentare e si dimentica a mano a mano che diventa più organico al suo partito.
La scuola, la sanità, il lavoro, la comunicazione e l'informazione, il patrimonio culturale, l'ambiente, e la vita, la morte, la famiglia, la vecchiaia, il sesso, il futuro, la libertà, la guerra, sono diventati argomenti da trattare in conversazioni private e dibattiti corporativi, che arrivano al massimo nel retrobottega della politica, col nome di "questioni di coscienza" - o nell'archivio delle eterne riforme in attesa di giudizio.
Se in qualcuno di questi temi si mette mano a qualche cambiamento è solo per contare, spostare, togliere e mettere soldi, senza mai entrare nella carne viva della materia, senza ridiscuterne la funzionalità, senza avere mai il coraggio di avere un progetto, se non quello di ridisegnare il percorso del finanziamento, della responsabilità economica, insomma, appunto, dei soldi.
La sanità pubblica sta degradando precipitosamente, ma la cosa interessa solo ai medici e ai pazienti, e così la scuola, così l'informazione, così la qualità della vita degli anziani, dei pensionati, degli emarginati, dei disoccupati, dei lavoratori precari e dei pendolari: discorsi privati, che arrivano a livello pubblico, in via eccezionale, attraverso i "collegamenti con la piazza" durante i talkshow, con evidente fastidio degli "ospiti in studio", che appena finito il collegamento riprendono a parlare di alleanze e, appunto, di soldi.
D'altra parte, che senso avrebbe discutere di questo in chiave politica? Come potrebbero, questi temi, trovare spazio in politica?
Le riforme, i progetti, si attuano solo quando si ha il 51% dei voti, e nessuno disturba il partito dei Grandi Ingegneri: lo pensa l'Unto di Arcore, e lo pensa il guru del Movimento 5 stelle, e lo dicono, quando sono alle strette, anche i democratici a vocazione maggioritaria.
Più che realizzare, la politica è in grado al massimo a mediare, trovare un compromesso, e solo i numeri, cioè i soldi, consentono di fare addizioni e divisioni per trovare una media, che non risolve i problemi, ma consente di dire che si sono affrontati.
Parlare della vita, questo lo possiamo fare tra noi, e per una scintigrafia ossea da realizzare in tempi utili basta rivolgersi a un laboratorio, naturalmente privato.
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