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Quaderno a quadretti, di quelli col taglio rosso delle pagine

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Messaggio Da Vargas Sab 20 Apr 2013, 09:35

Questa mattina alle sette attraversavo il ponte Cavour, tradito anch'io, come gli altri romani, da un ritorno grigio e caliginoso dell'inverno, dopo l'afa luccicante dei giorni scorsi. A volte, da adolescente, capitava che si fosse invano spesa la notte prima dietro a una ragazza, in una festa o per le strade del borgo, faticando ad accettare che non ti voleva, che non su di te cadeva la sua scelta sovrana: e l'alba fumosa di nebbie era allora una tristezza dolce che quasi ci cullava con piacere nell'autocompiacimento del dolore. Questo mi sembrava, questa mattina, mentre un camion della nettezza urbana faceva retromarcia sul selciato bagnato di una piazza Navona superbamente vuota. E mi tornavano alla mente le parole di un'artista boliviana che mi rimproverava, alcuni giorni fa, per il modo in cui piangiamo di noi e sprechiamo le nostre ricchezze e le nostre forze. Per vizio, vizio di uomini e donne ancora sazi. L'Africa che tu evochi, amico Cireno, lotta ogni giorno e ogni giorno è attraversata da energie squassanti, dalla voglia di conquistare qualcosa - tutto quello che abbiamo perduto, tu, io e chi ci circonda. Una voce mezzo africana ma italianissima canta da una radio tra i negozi che aprono le serrande, in via dei Giubbonari, e dice qualcosa come senza di noi, ancora, con la smania di fuggire sola. Non lo so.
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Messaggio Da Vargas Sab 20 Apr 2013, 09:39

Che cosa avevo dimenticato del barocco, o mi sfuggiva, ed eccolo lì, guardando la massa possente e molle, petrigna e farinosa, di un bicipite del Nilo, e alle sue spalle la prospettiva della fontana dei fiumi e della facciata di Santa Agnese: così è la materia delle cose, che credevate, caotica in apparenza, e così è la matematica delle linee che la disegnano, pura creazione della mente. Chi vince, chiedono Bernini e Borromini, e sorridono, chi vince? Non lo sappiamo, voi che cosa ne dite?
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Messaggio Da Vargas Sab 20 Apr 2013, 09:46

Entro in Sant'Agnese in Agone, osservo quella Gloria del Paradiso del Ferri e del Corbellini all'interno di una cupola più grande di quel che è nella realtà delle cose e delle misure, e poi raggiungo la piccola cappella, una stanza un po' squallida da sagrestia di provincia, con la teca di argento che conserva quello scricciolo di teschio, il cranio di una bambina che sembrerebbe quasi poco più di una gattina. Quando riattraverso la piazza visito la libreria spagnola e compro La trasmigración de los cuerpos, un romanzo potente e visionario, violento e incantato, del giovane messicano Yuri Herrera. In copertina la foto di due bare tra il lusso e il kitsch. Italia, Messico, la mia Bolivia, il culto della morte.


Ultima modifica di Vargas il Sab 20 Apr 2013, 16:14 - modificato 2 volte.
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Messaggio Da Vargas Sab 20 Apr 2013, 09:54

Chissà se poi è un caso che passando da piazza Navona, che io associo arbitrariamente ai giochi di Giove e alle fughe di Venere, al Pantheon, che per me sa di Apollo e di contaminazioni ellenistiche e di culti orientali, Apollo, Amon e Ra, proprio allora si apra un coltello di sole nel cielo e proprio allora attraversi la strada, da sinistra a destra, una ragazza vestita di leggero e di colori accesi, rossi e dorati, e infuocata anche nei capelli.



Poco più indietro, non so invece da quale paese della memoria sia uscito quest'uomo che cammina a fatica, piccolo e rotondo, con un imbuto rovesciato in testa, dal quale pendono ninnoli di plastica verde e azzurra, e con sulle spalle una grancassa rivestirta di adesivi d'ogni sorta, con in su i piatti d'ottone, e l'omino-orchestra che muove e suona il tutto con le due braccia e con il macchinoso movimento dei piedi, ai quali sono assicurati lacci che scandiscono il tempo dei bastoni sul tamburo.


Ultima modifica di Vargas il Dom 21 Apr 2013, 08:32 - modificato 1 volta.
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Messaggio Da Vargas Sab 20 Apr 2013, 10:00

Davanti a Montecitorio c'è la ressa, le televisioni, telecamere e microfoni, la vecchietta coi capelli cotonati che rilascia interviste indignata star, l'uomo con la maschera della vendetta, o meglio di Guy Fawkes atrocemente messo a morte ma qui stilizzato e ghignante, le urla ritmate. Mi passa davanti un senatore eletto all'estero, uno di quelli importanti, per la sinistra. E' affannato, cupo in volto, va via veloce senza riconoscermi: d'altronde quando mi incontrò la prima volta ero in giacca e cravatta e lui, sbracciato, nelle assemblee dei patronati, e oggi almeno il vestire si è rovesciato, ma non lo invidio davvero.
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Messaggio Da Lara Sab 20 Apr 2013, 12:57

Caro vargas,
le passeggiate romane sono un cibo dell'anima che ha nutrito tantissimi illustri e anonimi viaggiatori.
Mi hai riportato ai miei anni universitari quando, invece di frequentare le noiose lezioni di diritto di Aldo Moro, vivacizzzate solo da qualche estemporaneo sit-in di Pannella, passeggiavo per Roma, infilandomi in chiese e musei, nella perfetta, ricca solitudine di una giovane anima in cerca di bellezza.
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Messaggio Da cireno Sab 20 Apr 2013, 14:14

Lara ha scritto:Caro vargas,
le passeggiate romane sono un cibo dell'anima che ha nutrito tantissimi illustri e anonimi viaggiatori.
Mi hai riportato ai miei anni universitari quando, invece di frequentare le noiose lezioni di diritto di Aldo Moro, vivacizzzate solo da qualche estemporaneo sit-in di Pannella, passeggiavo per Roma, infilandomi in chiese e musei, nella perfetta, ricca solitudine di una giovane anima in cerca di bellezza.

e perchè non mi hai chiamato? sarebbe bastato un fischio...............mannaggia...
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Messaggio Da Vargas Lun 22 Apr 2013, 06:45

Vanno sempre in coppia, spesso ormai in quadriglia, due uomini e due donne. Raccoglitori del Ventunesimo secolo, li vedo battere il quartiere di prima mattina. Una squadra è qui, a pochi metri da me, e si dirige ai cassonetti, mentre sullo sfondo una coppia attraversa la strada da destra a sinistra, come personaggi di dettaglio in un paesaggio di Teniers, che però non puoi non vedere, almeno con una porzione periferica dell'occhio. Gonne lunghe a disegnini rossi o verdi, ciabatte scalcagnate, fazzoletto sul capo, le donne perlopiù grosse, gli uomini magri, spersi nei pantaloni di tela che scendono a sbalze sui polpacci. Le donne trascinano carrelli per la spesa o spingono vecchie carrozzine sgangherate. Hanno quei bastoni di metallo con la punta ricurva per rimestare e pescare in fondo ai contenitori della raccolta differenziata. Un uomo stamattina impugnava un bastone, con un atteggiamento difensivo, come se si attendesse da un momento all'altro l'insulto di un'imboscata. Si incrociano per un attimo, si scambiano informazioni in una lingua che non afferro, forse slava, uno degli uomini indica alle sue spalle, mi sembra di capire quel che dice, questi li abbiamo già fatti noi, andate sull'altro lato della strada. Sono centinaia, organizzati, sciamano dalle borgate scendendo dagli autobus. Sotto il cavalcavia della Salaria è spuntata una cittadella, centinaia di baracche di legno e lamiera ordinate lungo cardi e decumani, tra le auto rottamate, con stradine interne di terra battuta, incroci e piazzette, e intorno un muro di cinta come fosse un Medioevo. Escono da lì, all'alba, esercito che si ingrossa. Sono qui attorno, e far finta di non vederli non serve a niente. Io ripenso alle città africane dove ho vissuto anni della mia vita, agli slum di Kariobangi e Korogocho, e non so che cosa dire.
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Messaggio Da cireno Lun 22 Apr 2013, 12:45

Sono stato a Korogocho, qualche anno fa, accompagnato da un addetto della Mohamed Five, un'agenzia di noleggio auto di Nairobi. Ho camminato in quelle "strade" cosparse di tutto, sterco compreso e non solo di animali. Ho parlato con qualche comboniano italiano che sta lì a cercare di alleviare la miseria che danza nell'aria. A parte la prostituzione perfino giovanilissima, a parte la disperazione di molti uomini, attaccati alla sigaretta come a una canna di ossigeno, sono gli occhi dei bambini, nudi la gran parte, e delle bambine con solo un ciuffetto di capelli sulla nuca che mi hanno ferito il cuore. Ho tentato di fare delle fotografie, ma non ci sono riuscito, non ce l'ho fatta, del resto non mi sarebbero servite, quegli occhi, quella miseria, li ho ancora impressi nella mente
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Messaggio Da Vargas Gio 13 Giu 2013, 13:06


Ossimoro, ornitologia, artisti e perditempo


_______________ 


L’ossimoro è un ossimoro. Tutti vogliono usare la parola, quasi nessuno si ricorda come si deve pronunciare (la verità è che sono corrette entrambe le letture, sia ossimòro che ossìmoro).

A me l’ossimoro ha sempre fatto pensare a un uccello, tipo un incrocio tra oriolo e assiolo, oppure l’ossifraga. O ancora, il canarino che affila il becco sull’osso di seppia. Non è poi così strano che più si imparano nozioni di diverso tipo – l’ornitologia, per esempio – più facilmente ci si sbagli nel valutare il significato delle parole: è solo un ossimoro, tutto qui.

Ossìfraga: procellariforme lunga fino a 90 cm, vola sopra i mari antartici nutrendosi di pesci, calamari, carne di balena e rifiuti delle navi (Macronectes giganteus).



L’ornitologia è una di quelle scienze il cui possesso ci si vergogna di mettere in mostra, nemmeno si trattasse di pornografia. Appunto.

Non sarà che l’ornitologo è visto come quello che ha tempo da perdere in cose futili, che ha sempre la testa per aria, perso nel tentativo di cogliere il volo di un uccello raro? Insomma, uno che ha troppo tempo libero e farebbe bene a spendere le sue capacità in qualcosa di più serio e utile per la collettività?

Abbiamo tutti bisogno di più tempo libero, eppure facciamo a gara a darci di gomito indicando con disprezzo chi riesce davvero ad avercelo, bollandolo come scansafatiche e persona poco seria, salvo poi invidiarlo in segreto. Il guaio è che così finiamo per sprecare il poco tempo realmente libero un po’ a pensare come giustificare il fatto che ce lo siamo conquistato, un po’ a ideare nuove strategie per danneggiare quelli che ne hanno più di noi. E’ un ossimoro.

Il tempo è inversamente proporzionale al potere. Più disponi di tempo (più te ne resta libero), meno potere ti spetta (ossimoro).

Oggi il potere è sempre più difficile da gestire e richiede una presenza continua nella stanza dei bottoni. Perciò è inevitabilmente in mano a chi ha meno tempo libero. Ne deriva che in genere le norme adottate e le decisioni assunte tendono a espandere il lavoro a discapito del riposo e a penalizzare chi vorrebbe staccare la spina.

Altro ossimoro: aumentano i settori economici dedicati al tempo libero, dal turismo allo sport, dai multimedia alle invenzioni più stravaganti. Contemporaneamente, diminuisce il tempo libero a disposizione di coloro che – lavorando di più e in posti di maggior prestigio, e perciò guadagnando meglio – sarebbero i naturali fruitori di questa crescente industria del lusso. C’è più tempo ma meno tempo per utilizzarlo.

Magari lavorare meno – soprattutto qualcuno – potrebbe risultare di maggiore utilità per la collettività (falso ossimoro).

A proposito di pubblica utilità: l’artista lavora o si diverte? In un calciatore, per esempio, non si può separare l’aspetto ludico – quel correre dietro alla palla che è comune al campione e al ragazzino che gioca in cortile – dal rispetto per la professionalità; altrimenti viene meno la fantasia, che è dote essenziale del bravo calciatore, e finisce per essere penalizzato il rendimento, dunque la professionalità stessa. Per l’artista vale l’identica considerazione: se sta tutto un giorno davanti a una tela o a progettare un’installazione, per poi magari lacerare i pochi bozzetti partoriti, cosa avrà fatto? Avrà perso tempo? Avrà sprecato preziose risorse intellettive? Avrebbe fatto meglio a impiegare la giornata zappando l’orto o archiviando appunti d’ufficio? O magari si è dimostrato un vero professionista, degno di giocare in serie A?

Gli inglesi hanno meno problemi. To play vale per giocare, suonare, recitare, avere un ruolo. Inevitabilmente, nella patria di Shakespeare il divertimento e il tempo libero sono sublimati ad arte. Tanto rumore per nulla.

Anche i francesi sono a posto: mentre Proust andava alla Ricerca del tempo perduto, i suoi sublimi personaggi davano l’idea di non fare nulla tutto il giorno, volume dopo volume.

E noi? Lavorare stanca, secondo Pavese. Che però non era poi questo gran buontempone.

In un bellissimo testo di Gianni Rodari, per colpa di un apostrofo mancante L’ozio è il padre dei vizi diventò Lo zio è il padre dei vizi. Vorremmo tutti essere nipoti di uno zio così, ma ci tocca essere figli del superlavoro. Lo zio sfaccendato, fico e divertente viene invidiato e preso a segreto modello, ma poi a conti fatti si deve ubbidire al padre.

Gianni Rodari ha scritto uno dei più bei libri sul tempo liberato, Marionette in libertà.

Tutti dicono: «Bisognerebbe andare in pensione da giovani, quando ci si può godere la vita, e lavorare da vecchi». Poi naturalmente, si correggono e dicono: «Be’, purtroppo non si può, perché i vecchi produrrebbero meno dei giovani, e tutto il meccanismo salterebbe». Ma non la raccontano mica giusta: l’unico motivo per cui non si può adottare questo sistema è che i giovani, invecchiando, si assuefarebbero a tal punto alle meraviglie della vita oziosa che poi, venuto il loro turno di abbandonarla per mettersi a lavorare, si ribellerebbero. Il che sarebbe un’inequivocabile prova della saggezza acquisita con la vecchiaia. Altro inestricabile ossimoro.

Ma non è che in questo testo l’ossimoro viene spesso e volentieri confuso con il paradosso?

Ossìmoro o ossimoro [vc. dotta, gr. oxymoron, nt. sost. di oxymoros “acuto sotto un apparenza di stupidità, comp. di oxys “acuto” (V. ossalico) e morós “stupido” (di etim. incerta); 1598] s.m.: (ling) Figura retorica che consiste nel riunire in modo paradossale due termini contraddittori in una stessa espressione: ghiaccio bollente; con le braccia colme di nulla / farò da guida alla felicità (UNGARETTI).

Paradosso (1) [vc. dotta, gr. parádoxon, nt. sost. di parádoxos “contrario alla comune opinione, all’aspettativa”, comp. di para- “para” e dóxa “opinione” (V. dossologia); 1541] A s.m. 1 argomentazione, in apparenza logicamente corretta, che deduce conclusioni contraddittorie da premesse plausibili: il p. di Zenone.

Sì, c’è contraddizione tra l’uso dell’osimoro e del paradosso in questo testo. Anzi, dovremmo parlare più correttamente di reductio ad absurdum. Esercizio: quanti ossimori e/o paradossi contiene questa frase?


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Messaggio Da Vargas Mer 18 Set 2013, 14:24


Sul 628 semivuoto, a Largo Argentina, sale una donna, minuta, i capelli ingrigiti raccolti a crcocchia, due borse della spesa grandi. Bonjour à tout le monde, dice a voce alta, ma senza gridare. Nessuno risponde, qualcuno sorride alla matta gentile. Bonjour, insiste lei, bonjour à tout le monde. Nessuno le risponde.

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Messaggio Da einrix Sab 16 Nov 2013, 20:45

Quell'uomo, basso, tarchiato, con l'imbuto in testa, fisarmonica e una grancassa sulla schiena, l'ho visto comparire all'improvviso, dopo avere udito un frastuono di accordi sonori da banda, sulla spiaggia di Viserba, a Rimini, un giorno d'agosto. Pareva una figura scappata da una pittura del Bruegel raffigurante nozze contadine, ma che poteva essere, proprio in ragione di quell'imbuto, anche un personaggio imprigionato dalla fantasia di Hieronymus Bosh in una delle sue bellissime e terrificanti tele. E' passato quasi inosservato nell'indifferenza e nel distacco di tutti, e neppure i bambini, che un tempo gli sarebbero corsi incontro per partecipare alla festa, e per seguirlo sino a che gli sguardi delle madri li avessero potuti tenere d'occhio, sono rimasti ai loro giochi, senza degnarlo neppure di uno sguardo. E lui stesso, che si era conciato a quel modo proprio come un omino orchestra -  pareva disinteressarsi di quella mascherata, guardava avanti a se cercando di riconoscere, tra quella indifferenza, uno sguardo felice o compassionevole che potesse ricompensare la sua fatica. E procedeva a zig zig nella sabbia, tra gli ombrelloni, col suo passo cadenzato a suon di musica.
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Messaggio Da einrix Dom 17 Nov 2013, 18:56

Come ricordo quell'incontroQuaderno a quadretti, di quelli col taglio rosso delle pagine D11
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