Meglio uccidersi che licenziare La fine di un padrone all'antica
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Meglio uccidersi che licenziare La fine di un padrone all'antica
Fermo Santarossa, leader del settore mobili nel Nord-Est, doveva tagliare cento posti di lavoro. Una scelta dolorosa che non ha avuto cuore di fare. La penosa lista dei caduti si allunga. La grande guerra contro la crisi sta falciando vittime ovunque, perchè il fronte è ovunque.
Il nemico non bombarda. Il nemico avvelena lentamente, distrugge le difese personali, fino a soffocare persino l'istinto di sopravvivenza.
Fermo Santarossa non sembrava neppure all'ultimo stadio della disperazione. I suoi mobilifici, un mezzo impero del Nord-Est, con oltre seicento dipendenti, attraversano un momento difficile per le ragioni globali che tutti conoscono a memoria, il calo dei consumi, la concorrenza, lo stallo politico, ma gli stessi sindacati confermano: non esistono pericoli fatali. Negli ultimi tempi s'era parlato di una ristrutturazione, uno di quegli interventi sempre dolorosi, perchè comunque prevedeva il taglio di cento dipendenti, ma governabile con i paracadute del caso. Con l'aria che tira, niente di particolarmente tremendo.
Santarossa però veniva da un altro mondo e da un altro tempo. Aveva cominciato tanti anni fa con il fratello Mario, aveva superato altre fasi difficili, aveva vissuto per l'azienda: nella sua idea di imprenditore, sul suo vocabolario personale, il passo del licenziamento non era contemplato. I dipendenti più anziani lo ricordano come uno di quei padroni, chiamati ancora così senza alcun disprezzo ideologico, capaci di fermarsi a fare due parole, come va, come non va, e la famiglia, e lo sport, e le voci di paese...
Questa storia della ristrutturazione non l'aveva digerita. L'idea di cominciare i tagli a 73 anni, l'età in cui un uomo pensa di vivere in pace con se stesso, non gli dava pace. Ci sono individui foderati d'amianto che quasi si sublimano, nel momento delle decisioni forti e del braccio di ferro. Ce ne sono altri che vanno in crisi, una crisi interiore che morde molto più della crisi economica, là fuori. Come si fa a cacciare padri di famiglia e dipendenti fedeli, come si fa. E il mercato che non si schioda, e le banche che si voltano dall'altra parte, e i pensieri di sventura che la notte passano dentro le fessure, per raggrumarsi amari in fondo all'anima.
L'altra notte, una notte di queste. La moglie Graziella dormiva al suo fianco. Quando si è svegliata, di mattina presto, non l'ha trovato nel letto. Prima l'ha cercato per casa, poi ha cominciato a preoccuparsi e a chiedere aiuto. Fermo se ne stava in fondo al laghetto dell'ampio giardino, insieme ai suoi fantasmi e alle sue ossessioni. Le telecamere di sicurezza lo ripropongono negli ultimi passi: esce dalla camera, cammina in giardino, raggiunge il lago, si lascia morire nell'acqua placida. Nessuna esitazione, nessun ripensamento. In questa lunga guerra, la crisi è un nemico diabolico: non bombarda, avvelena lentamente.
Fermo Santarossa non si preoccupa più. Ha risolto la crisi a modo suo, ultimo di una macabra spoon river. Su queste lapidi c'è di volta in volta sfinimento, vergogna, debolezza. C'è anche chi non accetta le mezze misure, una mezza vita, meno ricca e meno spensierata dell'abituale. Ci stiamo accorgendo tutti quanti che non è per niente facile tornare indietro. Certo non tutti i suicidi sono eroi. Tra di loro emerge anche tanta debolezza. Ma non è permesso a nessuno giudicare, tanto meno soppesare il senso del gesto: togliersi la vita resta comunque un estremo spaventoso. Ognuno di queste vittime si porta nella tomba l'insondabile mistero della propria resa.
Il resto, in cronaca. Tutti gli stabilimenti Santarossa chiusi per lutto, fermo l'intero borgo Prata di Pordenone, il Nord-Est che aggiunge un'altra croce e sempre più s'interroga sullo sconvolgente cataclisma abbattutosi sul proprio Eldorado. Nelle stesse ore, a Roma, la politica balla tra franchi tiratori e un governo impossibile. E' il solito spettacolo. Da una parte l'Italia in guerra che conta i suoi caduti, dall'altra l'Italia che ancora non capisce. Da una parte il Paese reale, dall'altra il Paese irreale.
http://www.ilgiornale.it/news/interni/meglio-uccidersi-che-licenziare-fine-padrone-allantica-909937.html
Il nemico non bombarda. Il nemico avvelena lentamente, distrugge le difese personali, fino a soffocare persino l'istinto di sopravvivenza.
Fermo Santarossa non sembrava neppure all'ultimo stadio della disperazione. I suoi mobilifici, un mezzo impero del Nord-Est, con oltre seicento dipendenti, attraversano un momento difficile per le ragioni globali che tutti conoscono a memoria, il calo dei consumi, la concorrenza, lo stallo politico, ma gli stessi sindacati confermano: non esistono pericoli fatali. Negli ultimi tempi s'era parlato di una ristrutturazione, uno di quegli interventi sempre dolorosi, perchè comunque prevedeva il taglio di cento dipendenti, ma governabile con i paracadute del caso. Con l'aria che tira, niente di particolarmente tremendo.
Santarossa però veniva da un altro mondo e da un altro tempo. Aveva cominciato tanti anni fa con il fratello Mario, aveva superato altre fasi difficili, aveva vissuto per l'azienda: nella sua idea di imprenditore, sul suo vocabolario personale, il passo del licenziamento non era contemplato. I dipendenti più anziani lo ricordano come uno di quei padroni, chiamati ancora così senza alcun disprezzo ideologico, capaci di fermarsi a fare due parole, come va, come non va, e la famiglia, e lo sport, e le voci di paese...
Questa storia della ristrutturazione non l'aveva digerita. L'idea di cominciare i tagli a 73 anni, l'età in cui un uomo pensa di vivere in pace con se stesso, non gli dava pace. Ci sono individui foderati d'amianto che quasi si sublimano, nel momento delle decisioni forti e del braccio di ferro. Ce ne sono altri che vanno in crisi, una crisi interiore che morde molto più della crisi economica, là fuori. Come si fa a cacciare padri di famiglia e dipendenti fedeli, come si fa. E il mercato che non si schioda, e le banche che si voltano dall'altra parte, e i pensieri di sventura che la notte passano dentro le fessure, per raggrumarsi amari in fondo all'anima.
L'altra notte, una notte di queste. La moglie Graziella dormiva al suo fianco. Quando si è svegliata, di mattina presto, non l'ha trovato nel letto. Prima l'ha cercato per casa, poi ha cominciato a preoccuparsi e a chiedere aiuto. Fermo se ne stava in fondo al laghetto dell'ampio giardino, insieme ai suoi fantasmi e alle sue ossessioni. Le telecamere di sicurezza lo ripropongono negli ultimi passi: esce dalla camera, cammina in giardino, raggiunge il lago, si lascia morire nell'acqua placida. Nessuna esitazione, nessun ripensamento. In questa lunga guerra, la crisi è un nemico diabolico: non bombarda, avvelena lentamente.
Fermo Santarossa non si preoccupa più. Ha risolto la crisi a modo suo, ultimo di una macabra spoon river. Su queste lapidi c'è di volta in volta sfinimento, vergogna, debolezza. C'è anche chi non accetta le mezze misure, una mezza vita, meno ricca e meno spensierata dell'abituale. Ci stiamo accorgendo tutti quanti che non è per niente facile tornare indietro. Certo non tutti i suicidi sono eroi. Tra di loro emerge anche tanta debolezza. Ma non è permesso a nessuno giudicare, tanto meno soppesare il senso del gesto: togliersi la vita resta comunque un estremo spaventoso. Ognuno di queste vittime si porta nella tomba l'insondabile mistero della propria resa.
Il resto, in cronaca. Tutti gli stabilimenti Santarossa chiusi per lutto, fermo l'intero borgo Prata di Pordenone, il Nord-Est che aggiunge un'altra croce e sempre più s'interroga sullo sconvolgente cataclisma abbattutosi sul proprio Eldorado. Nelle stesse ore, a Roma, la politica balla tra franchi tiratori e un governo impossibile. E' il solito spettacolo. Da una parte l'Italia in guerra che conta i suoi caduti, dall'altra l'Italia che ancora non capisce. Da una parte il Paese reale, dall'altra il Paese irreale.
http://www.ilgiornale.it/news/interni/meglio-uccidersi-che-licenziare-fine-padrone-allantica-909937.html
VERCINGETORIGE- Messaggi : 215
Data d'iscrizione : 11.04.13
Re: Meglio uccidersi che licenziare La fine di un padrone all'antica
Luigi Einaudi scriveva: ...migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli.
E' la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di denaro.
Il gusto, l'orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno.
Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritrarre spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi.
______________________________________________________________________________E' la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di denaro.
Il gusto, l'orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno.
Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritrarre spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi.
Con il pensiero di Einauidi in premessa, a mio avviso, il gesto estremo messo in atto da molti imprenditori che vedono la propria azienda spegnersi, non è generato dal pensiero di non voler accettare una mezza vita, meno ricca e meno spensierata dell'abituale.
Non è il venir meno della ricchezza, il motivo principale che attanaglia chi ha fatto impresa da una vita, come Fermo Santarossa che a 73 anni preferiva vedere ancora la propria azienda ispisrare fiducia ai propri clienti ed ai propri collaboratori che vi lavorano.
E' l'infrangersi dei fragili valori del pensiero di Einaudi contro i pensieri di sventura duri come macigni, che spesso spingono un imprenditore non foderato d'amianto, dopo introspettiva analisi del proprio passato, a indurlo alla decisione strema di togliersi la vita.
Ha ragione l'artista boliviana - citata da Vargas in un suo post - che ci rimprovera per il modo in cui sprechiamo le nostre ricchezze e le nostre forze. Per vizio, vizio di uomini e donne ancora sazi.
L'unica precisazione va fatta nell'individuare il riferimento alla sazietà, che certamente non è più da ricercare nella classe produttiva, ma in quella parassitaria del nostro Paese irreale, costruito sulla mondanità, tra i piaceri dei palazzi del dell'inossidabile, quanto vetusto potere.
Non è il venir meno della ricchezza, il motivo principale che attanaglia chi ha fatto impresa da una vita, come Fermo Santarossa che a 73 anni preferiva vedere ancora la propria azienda ispisrare fiducia ai propri clienti ed ai propri collaboratori che vi lavorano.
E' l'infrangersi dei fragili valori del pensiero di Einaudi contro i pensieri di sventura duri come macigni, che spesso spingono un imprenditore non foderato d'amianto, dopo introspettiva analisi del proprio passato, a indurlo alla decisione strema di togliersi la vita.
Ha ragione l'artista boliviana - citata da Vargas in un suo post - che ci rimprovera per il modo in cui sprechiamo le nostre ricchezze e le nostre forze. Per vizio, vizio di uomini e donne ancora sazi.
L'unica precisazione va fatta nell'individuare il riferimento alla sazietà, che certamente non è più da ricercare nella classe produttiva, ma in quella parassitaria del nostro Paese irreale, costruito sulla mondanità, tra i piaceri dei palazzi del dell'inossidabile, quanto vetusto potere.
Condor- Messaggi : 132
Data d'iscrizione : 11.04.13
Re: Meglio uccidersi che licenziare La fine di un padrone all'antica
VERCINGETORIGE ha scritto:Fermo Santarossa, leader del settore mobili nel Nord-Est, doveva tagliare cento posti di lavoro. Una scelta dolorosa che non ha avuto cuore di fare. La penosa lista dei caduti si allunga. La grande guerra contro la crisi sta falciando vittime ovunque, perchè il fronte è ovunque.
Il nemico non bombarda. Il nemico avvelena lentamente, distrugge le difese personali, fino a soffocare persino l'istinto di sopravvivenza.
Fermo Santarossa non sembrava neppure all'ultimo stadio della disperazione. I suoi mobilifici, un mezzo impero del Nord-Est, con oltre seicento dipendenti, attraversano un momento difficile per le ragioni globali che tutti conoscono a memoria, il calo dei consumi, la concorrenza, lo stallo politico, ma gli stessi sindacati confermano: non esistono pericoli fatali. Negli ultimi tempi s'era parlato di una ristrutturazione, uno di quegli interventi sempre dolorosi, perchè comunque prevedeva il taglio di cento dipendenti, ma governabile con i paracadute del caso. Con l'aria che tira, niente di particolarmente tremendo.
Santarossa però veniva da un altro mondo e da un altro tempo. Aveva cominciato tanti anni fa con il fratello Mario, aveva superato altre fasi difficili, aveva vissuto per l'azienda: nella sua idea di imprenditore, sul suo vocabolario personale, il passo del licenziamento non era contemplato. I dipendenti più anziani lo ricordano come uno di quei padroni, chiamati ancora così senza alcun disprezzo ideologico, capaci di fermarsi a fare due parole, come va, come non va, e la famiglia, e lo sport, e le voci di paese...
Questa storia della ristrutturazione non l'aveva digerita. L'idea di cominciare i tagli a 73 anni, l'età in cui un uomo pensa di vivere in pace con se stesso, non gli dava pace. Ci sono individui foderati d'amianto che quasi si sublimano, nel momento delle decisioni forti e del braccio di ferro. Ce ne sono altri che vanno in crisi, una crisi interiore che morde molto più della crisi economica, là fuori. Come si fa a cacciare padri di famiglia e dipendenti fedeli, come si fa. E il mercato che non si schioda, e le banche che si voltano dall'altra parte, e i pensieri di sventura che la notte passano dentro le fessure, per raggrumarsi amari in fondo all'anima.
L'altra notte, una notte di queste. La moglie Graziella dormiva al suo fianco. Quando si è svegliata, di mattina presto, non l'ha trovato nel letto. Prima l'ha cercato per casa, poi ha cominciato a preoccuparsi e a chiedere aiuto. Fermo se ne stava in fondo al laghetto dell'ampio giardino, insieme ai suoi fantasmi e alle sue ossessioni. Le telecamere di sicurezza lo ripropongono negli ultimi passi: esce dalla camera, cammina in giardino, raggiunge il lago, si lascia morire nell'acqua placida. Nessuna esitazione, nessun ripensamento. In questa lunga guerra, la crisi è un nemico diabolico: non bombarda, avvelena lentamente.
Fermo Santarossa non si preoccupa più. Ha risolto la crisi a modo suo, ultimo di una macabra spoon river. Su queste lapidi c'è di volta in volta sfinimento, vergogna, debolezza. C'è anche chi non accetta le mezze misure, una mezza vita, meno ricca e meno spensierata dell'abituale. Ci stiamo accorgendo tutti quanti che non è per niente facile tornare indietro. Certo non tutti i suicidi sono eroi. Tra di loro emerge anche tanta debolezza. Ma non è permesso a nessuno giudicare, tanto meno soppesare il senso del gesto: togliersi la vita resta comunque un estremo spaventoso. Ognuno di queste vittime si porta nella tomba l'insondabile mistero della propria resa.
Il resto, in cronaca. Tutti gli stabilimenti Santarossa chiusi per lutto, fermo l'intero borgo Prata di Pordenone, il Nord-Est che aggiunge un'altra croce e sempre più s'interroga sullo sconvolgente cataclisma abbattutosi sul proprio Eldorado. Nelle stesse ore, a Roma, la politica balla tra franchi tiratori e un governo impossibile. E' il solito spettacolo. Da una parte l'Italia in guerra che conta i suoi caduti, dall'altra l'Italia che ancora non capisce. Da una parte il Paese reale, dall'altra il Paese irreale.
http://www.ilgiornale.it/news/interni/meglio-uccidersi-che-licenziare-fine-padrone-allantica-909937.html
A me questo taglio della vicenda mi fa girare un po le palle, perché tocca le corde dei sentimenti, buoni e cattivi, ma poi le persone da licenziare restano tutte li lo stesso. Per me una persona che non lascia affetti e problemi, si può anche suicidare, dato che credo che ognuno possa almeno finire la sua esistenza, come vuole. Ma se lascia dei problemi, di cui è volontariamente o involontariamente responsabile, allora, richiesto di un giudizio sulla vicenda della sua morte violenta, ne do subito uno negativo. Le aziende, nascono crescono e muoiono, e nella loro vita subiscono trasformazioni proprio per allungare l'esistenza, quando non riescano a generare imprese che siano avanti di qualche generazione tecnologica e di prodotto. Non c'è niente di innaturale in tutto questo, purché non se ne mitizzi l'immortalità, e che da qualche altra parte nasca un'altra iniziativa che possa assorbire quella manodopera. Capisco che la crisi drammatizzi tutti i fattori del problema, ma anche le crisi fanno parte di quei processi ciclici che si realizzano immediatamente, solo quando si fa di tutto per non vederle per anni.
Queste storie sono anche un po da Iliade e Odissea, ma anche l'Iliade e l'odissea possono essere viste come un racconto epico di dei ed eroi, oppure come la metafora delle scoperte del mondo greco ad oriente, l'Iliade, e ad occidente, l'Odissea. Farsi prendere dal magone, non è da illuministi, ma da romantici che proprio l'illuminismo ormai lo hanno perso e stanno imboccando la via della decadenza.
einrix- Messaggi : 10607
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Re: Meglio uccidersi che licenziare La fine di un padrone all'antica
Non sarei così perentorio nella valutazione. Ci sono sicuramente imprenditori (vedi Olivetti) che hanno fatto della loro azienda un modello (per quello che ai tempi era consentito) di buoni rapporti con i dipendenti e di umanizzazione del tempo lavorativo, lontano dagli schemi rigidi della catena di montaggio.
Ci sono imprenditori che soffrono il fallimento dell'azienda e lo vedono come un problema del cui peso si fanno interamente carico. A volte questo peso viene visto in chiave individuale come un fallimento personale e una sorta di vergogna nei confronti dei dipendenti e delle loro famiglie.
Il suicidio vuole, forse, essere una sorta di riparazione. Una pena espiata per una colpa probabilmente non completamente propria. Una vergogna che, accompagnata alla probabile depressione, non lascia intravvedere altre soluzioni, se non quella definitiva.
Ci sono imprenditori che soffrono il fallimento dell'azienda e lo vedono come un problema del cui peso si fanno interamente carico. A volte questo peso viene visto in chiave individuale come un fallimento personale e una sorta di vergogna nei confronti dei dipendenti e delle loro famiglie.
Il suicidio vuole, forse, essere una sorta di riparazione. Una pena espiata per una colpa probabilmente non completamente propria. Una vergogna che, accompagnata alla probabile depressione, non lascia intravvedere altre soluzioni, se non quella definitiva.
Osservatore- Messaggi : 155
Data d'iscrizione : 01.05.13
Re: Meglio uccidersi che licenziare La fine di un padrone all'antica
Conviene allora parlare di suicidio, per quello che è, indipendente dalle cause che lo producono, e lascio volentieri il compito agli psicologi.
E' ovvio che vi sia una correlazione tra gravità e durata della crisi, con il numero dei suicidi, ma ciò che merita la nostra analisi è la crisi.
Tra l'altro chi si ammazza, sfugge proprio alla crisi nel modo più diretto, e la lascia a tutti gli altri, che di norma continuano a vivere, in qualche modo.
Massimo rispetto per chi muore, ma se se ne parla per avvalorare qualche aspetto etico della persona, già mi trovo in difficoltà.
Tra i suicidi rituali, ho preso in considerazione quello del bonzo che in Vietnam si dava fuoco. Ma non era un problema soltanto suo, individuale, quello dell'occupazione militare americana, ma di tutti i vietnamiti. Quindi il suo sacrificio era un atto eroico, non una fuga dalla realtà. E lo stesso vale per quel tunisino che ha iniziato le rivolte del Nord Africa. Non voleva sfuggire ad una personale condizione, ma protestava per quei diritti che venivano calpestati. E via di questo passo.
Insomma, se la propria vita la si dona agli altri, chi lo fa è degno di essere onorato come un eroe, ma se lo si fa per sfuggire dagli altri e dalla realtà, è un atto che va rispettato, ma che non può assurgere a valori emblematici, che non può certo avere.
A me pare invece che sia proprio questo quello che si voglia fare, e in ciò sta il mio dissenso.
E' ovvio che vi sia una correlazione tra gravità e durata della crisi, con il numero dei suicidi, ma ciò che merita la nostra analisi è la crisi.
Tra l'altro chi si ammazza, sfugge proprio alla crisi nel modo più diretto, e la lascia a tutti gli altri, che di norma continuano a vivere, in qualche modo.
Massimo rispetto per chi muore, ma se se ne parla per avvalorare qualche aspetto etico della persona, già mi trovo in difficoltà.
Tra i suicidi rituali, ho preso in considerazione quello del bonzo che in Vietnam si dava fuoco. Ma non era un problema soltanto suo, individuale, quello dell'occupazione militare americana, ma di tutti i vietnamiti. Quindi il suo sacrificio era un atto eroico, non una fuga dalla realtà. E lo stesso vale per quel tunisino che ha iniziato le rivolte del Nord Africa. Non voleva sfuggire ad una personale condizione, ma protestava per quei diritti che venivano calpestati. E via di questo passo.
Insomma, se la propria vita la si dona agli altri, chi lo fa è degno di essere onorato come un eroe, ma se lo si fa per sfuggire dagli altri e dalla realtà, è un atto che va rispettato, ma che non può assurgere a valori emblematici, che non può certo avere.
A me pare invece che sia proprio questo quello che si voglia fare, e in ciò sta il mio dissenso.
einrix- Messaggi : 10607
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