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[DOCUMENTI] Strage di Ustica, genesi di un mistero

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Messaggio Da Guya Mer 03 Lug 2013, 15:23

I post che seguiranno provengono da varie fonti, per cercare di avere un orizzonte più ampio di quelli che sono stati i fatti.
In fondo aggiungeremo i vari link


[DOCUMENTI] Strage di Ustica, genesi di un mistero Italvica

Come nasce un mistero? Quasi sempre dai fatti di cronaca che ci toccano da vicino. Spesso dalla nostra mente, dai nostri desideri o dalle nostre paure. Forse da una realtà che, per un motivo o per un altro, ci appare diversa da com'è realmente.

Sono passati trentatré anni dalla Strage di Ustica, ed è inevitabile, guardando alla storia che questa tragedia si porta dietro, chiedersi come siamo arrivati a parlarne come di un mistero. Perché non sappiamo, certamente.

Probabilmente perché una parte di noi stessi sa che, forse, non sapremo mai.
E l’interrogativo principale, quello che la nostra memoria collettiva si porta sulle spalle come un peso indegno e gravoso è: com’è possibile che un aereo di linea con ottantuno civili a bordo possa sparire, dai radar e dal cielo, e sprofondare in uno dei punti più inaccessibili del Mar Tirreno senza che un solo responsabile di tutto questo venga assicurato alla giustizia.
O forse no, perché effettivamente più di un tribunale ha riconosciuto le responsabilità di interi apparati del nostro Stato per la mancata messa in sicurezza di quella maledetta aerovia. Ma gli assassini che materialmente hanno tirato giù quel DC-9 di una compagnia privata tutta italiana, l’Itavia, rimangono nascosti in un cono d’ombra che ha allungato i suoi margini fino ad inghiottire trent’anni della nostra storia recente.

Facendo di tutto per trasformare un fatto di cronaca in un mistero. Un mistero che inizia la sera di un venerdì di fine giugno del 1980. Il volo Itavia IH-870, partito da Bologna e diretto a Palermo con alla cloche il comandante Domenico Gatti ed il primo ufficiale Enzo Fontana, sta sorvolando il braccio di mare tra le isole di Ponza ed Ustica. Praticamente al centro del Tirreno.
Il cielo è sereno e manca circa un quarto d’ora all’atterraggio. Un volo tranquillo, che ha avuto come unico imprevisto le due ore di ritardo alla partenza. Il controllo radar di Ciampino segue la rotta del velivolo che disegna sugli schermi radar una lunga scia di puntini, in gergo “plots”. Sono le 20.58 di venerdì 27 giugno 1980, tra un paio di minuti i controllori di volo romani “cederanno” il DC-9 Itavia ai colleghi siciliani, che assisteranno i piloti nella discesa. Alle 20.59.45 succede l’inspiegabile: il segnale trasponder del volo IH-870 sparisce improvvisamente dagli schermi radar. Non un segnale di allarme, non una richiesta di aiuto.
Pochi minuti dopo, ciò che resta di quell’aereo si sarà già schiantato sulla superficie del mare.

In quanti modi può precipitare un velivolo?
Escludendo ipotesi fantasiose – dai meteoriti, agli ufo, all’impazzimento simultaneo dei piloti – non ce ne sono molti. Può essere vittima di un cedimento strutturale: la sua stessa (e delicata) struttura, sollecitata dai carichi aerodinamici cui è continuamente sottoposta, se non è mantenuta correttamente può “rompersi” in qualche punto e compromettere l’intero velivolo.
Oppure di un attentato terroristico: un ordigno dinamitardo collocato su un aereo può non lasciare scampo. Può scontrarsi in volo con altro velivolo, caso non tanto improbabile quanto si possa pensare.
O infine, può essere abbattuto da un missile. In trent’anni tutte queste ipotesi sono passate al vaglio degli inquirenti.
Finché, il 28 gennaio di quest’anno, la Cassazione ha dichiarato di ritenere “congruamente ed abbondantemente motivata la tesi del missile”, condannando i Ministeri della Difesa e del Trasporti a risarcire alcuni familiari delle vittime.
La strada che porta a questa storica sentenza non è solo lunga, ma anche tortuosa e dai contorni incerti. E soprattutto, non si ferma con questa decisione della Suprema Corte.

In un primo momento, l’ipotesi sbattuta in prima pagina è quella del cedimento strutturale di una carretta dei cieli.
Il principale imputato è l’Itavia, che soccomberà sotto il peso delle voci incontrollate e dei debiti nel giro di neanche un anno: il 21 gennaio 1981 il Ministero dei Trasporti revoca la licenza di concessione dei servizi alla compagnia, che dichiara lo stato di insolvenza il 14 aprile successivo.
Rende bene l’idea del clima in cui si trovava la compagnia dell’anconetano Aldo Davanzali una dichiarazione del Ministro Rino Formica, che promise: “taglieremo le ali all’Itavia”.
Si parlò degli aerei acquistati usati da una compagnia hawaiiana che li usava per trasportare pesce, ai quali la salinità dell’acqua marina avrebbe corroso la struttura portante.

Se ne parlò senza curarsi molto dell’effettivo percorso di manutenzione e revisione che quei DC-9 subivano una volta entrati a far parte della compagnia nostrana.
Basta poco per rendersi conto che quella del cedimento strutturale è un’ipotesi inconsistente: innanzitutto perché la destrutturazione è stata immediata, fulminea; in secondo luogo perché – ed è una conseguenza della prima motivazione – l’equipaggio non ha avuto modo alcuno di rendersene conto, non ha avvertito nessuno dei rumori che accompagnano solitamente questo tipo di eventi.
Uno scenario che viene scartato definitivamente quando due perizie, nel 1982 e nel 1987, rivelano la presenza di esplosivo sui pochi resti recuperati del DC-9. Si inizia a parlare con maggiore insistenza, quindi, delle ipotesi di una bomba esplosa a bordo e di un missile che avrebbe abbattuto l’aereo.

A livello radaristico, ed è questo uno degli aspetti più controversi e paradossali di tutta la vicenda, l’unica prova è il tracciato registrato dai radar di Ciampino.
Un documento che da solo può non dire tutto, ma che presenta sicuramente alcuni elementi di singolarità.
Come i plots doppi che vengono registrati immediatamente prima e dopo il disastro: due puntini luminosi che appaiono nelle vicinanze del DC-9 prima della sua scomparsa dai radar, ed un altro immediatamente dopo, tutti e tre posti all’incirca su una linea perpendicolare alla rotta del nostro volo.
Il primo ad attribuire un significato a queste anomalie – che qualcuno giustifica come “echi radar”, altri come un malfunzionamento dell’antenna – è un esperto americano, John Macidull, che già nel dicembre del 1980 ipotizza uno scenario di battaglia aerea: i doppi plots registrati prima e dopo il disastro altro non sarebbero che i segnali del passaggio di un aereo caccia che dapprima vola affiancato al DC-9, successivamente si pone in una rotta ad esso ortogonale, gli lancia contro un missile colpendolo nell’area compresa tra la cabina di pilotaggio e l’ala destra, e dopo averlo abbattuto prosegue oltre verso Est.
Nei primi anni, le indagini rimangono al palo.
Si dovrà aspettare il 1987 per l’inizio di una campagna di recupero del relitto che risposa in uno dei punti più profondi del Tirreno. Si da incarico all’Ifremer, una ditta francese che in seguito qualcuno riterrà legata ai servizi d’oltralpe, e si riporta in superficie il 96% dell’aereo: un’operazione che termina soltanto nel 1991.
E nel 1989 la Commissione Stragi, presieduta dal senatore Gualtieri, decide di indagare anche sui fatti di Ustica. Sono gli anni in cui iniziano ad emergere le prime inspiegabili mancanze documentali da parte dei siti di controllo radar facenti capo all’Arma Aeronautica, come quelli di Marsala e di Licola.
Non si riescono a trovare prove che lascino intendere cosa sia accaduto nei nostri cieli quella sera. Lo scenario continua a palleggiare insistentemente tra l’ipotesi di una bomba a bordo e quella dell’abbattimento: due scenari senza dubbio gravissimi, ma con implicazioni molto diverse.
Se mettere una bomba è affare da terroristi, chi è che può lanciare un missile contro un aereo civile, e perché? Nel 1990 le indagini passano al giudice istruttore Rosario Priore, che dedicherà nove anni di imponente lavoro investigativo per rispondere a questa domanda.

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Messaggio Da Guya Mer 03 Lug 2013, 15:28


[DOCUMENTI] Strage di Ustica, genesi di un mistero Ustica_2_text

Il giudice Rosario Priore è senza dubbio uno dei personaggi chiave della vicenda giudiziaria seguita alla Strage di Ustica.
Le sue attività d’indagine iniziano nel 1990, ben dieci anni dopo la Strage...

...il relitto del DC-9 è stato recuperato dal fondo del Tirreno tre anni prima, tutte le illazioni su un cedimento strutturale che sarebbe stato alla base del disastro sono scartate – ciò non di meno, la compagnia Itavia è stata chiusa – e rimangono due ipotesi a rimbalzare tra le due parti che vanno componendo questa vicenda processuale: quella dell’abbattimento causato da un missile, come era stato ipotizzato già nei primi anni ’80 da John Macidull, esperto statunitense del National Transportation Safety Board, e quella dell’esplosione interna, portata avanti con vigore, tra gli altri, anche dall’Aeronautica Militare.

Scorrendo tra le oltre 5400 pagine che compongono la sua istruttoria – per non parlare degli altri due milioni di atti da lui istruiti - è chiaro quale fosse il modus operandi di Priore: raccogliere materiale probatorio ovunque possibile, scavare nei meandri di questa vicenda, anche quelli che potrebbero ad un primo esame sembrare banali o irrilevanti, per non rischiare di lasciare strade non battute.
Il magistrato scava nella vita di quell’aereo e dei suoi passeggeri, arrivando alla conclusione che non c’è nulla di sospetto in nessuno dei due casi.
La conferma che quell’aereo fosse funzionante in ogni sua parte ci viene da un episodio emblematico: era uso presso le compagnie che i piloti comunicassero ai tecnici di terra eventuali anomalie riscontrate nel velivolo durante il volo, cosi che al prossimo scalo si potesse intervenire senza perdite di tempo. Pochi minuti prima del disastro il volo IH870 è in transito sopra Ciampino, e quando il controllo chiede al Comandante – tramite un dispositivo radio detto “charlie” – come vada l’aereo, lui risponde che è “assolutamente a posto”.
Né tantomeno risulta che qualcuno dei passeggeri potesse ragionevolmente essere veicolo per una missione suicida.
Eppure una rivendicazione c’è stata, e rappresenta sicuramente uno degli aspetti più curiosi di tutta la vicenda: intorno a mezzogiorno del 28 giugno 1980, una telefonata giunta alla redazione romana del Corriere della Sera conferma che l’attentato sarebbe opera dei Nuclei Armati Rivoluzionari, un gruppo terroristico di estrema destra, che avrebbero agito per mano di tale Marco Affatigato.
Senonché Affatigato non avrebbe potuto trovarsi su quel volo con intenzioni da kamikaze, visto che si trovava in Francia, e si premura di telefonare immediatamente alla Digos chiedendo di smentire la notizia, per rassicurare la madre.

Difficile interpretare questo episodio, ed è altrettanto difficile non pensare ad un collegamento tra Ustica ed un’altra Strage attribuita al terrorismo nero, quella che appena due mesi dopo manderà in macerie la Stazione di Bologna. Ma tant’è, allo stato attuale rimangono solo elucubrazioni.
Ma al di là delle ricostruzioni più o meno fantasiose, l’ipotesi del missile e quella della bomba hanno diviso per oltre dieci anni i collegi peritali che si sono susseguiti come supporto alle indagini. Nel 1982, la commissione Luzzatti arriva semplicemente ad escludere l’ipotesi del cedimento strutturale: l’I-Tigi è caduto vittima di un esplosione, non si capisce se interna o esterna.
Nel 1987, il collegio presieduto dall’ingegner Blasi parla di un missile a guida radar semiattiva. Ma dopo aver depositato le prime conclusioni il collegio si spacca: due componenti, gli ingegneri Blasi e Cerra, cambiano idea e propendono per l’ipotesi bomba, mentre gli altri tre, i periti Lecce, Imbimbo e Migliaccio, confermano la tesi del missile.
Il collegio dunque si spacca, e viene nominato quello guidato dal professor Misiti. Un lavoro peritale che coinvolge undici esperti in vari settori, che vanno dalla balistica, alla frattografia, alla chimica, alla medicina legale.
Nel 1994 viene siglata una relazione di migliaia di pagine in cui viene confermata l’ipotesi della bomba, che sarebbe esplosa nella toilette in coda all’aereo (particolare curioso: proprio dove avevano detto i “camerati” dell’Affatigato). Pochi mesi dopo la consegna, due membri del collegio, Carlo Casarosa e Manfred Held – progettista di missili tedesco – cambiano idea e, pur non escludendo la tesi della bomba, privilegiano quella della near collision, la quasi collisione.

Dopo aver esaminato la perizia Misiti, il giudice Priore la ritiene inutilizzabile ai fini dell’indagine, in quanto affetta “da tali e tanti vizi di carattere logico, da molteplici contraddizioni e distorsioni del materiale probatorio”. Ed in effetti questo articolatissimo lavoro presenta più di qualche aspetto incerto.
E’ lo stesso Misiti a scrivere che “la presenza nei cuscini di alcuni frammenti provenienti dai finestrini esterni, rende poco sostenibile l'ipotesi di una esplosione interna.
In questo caso, infatti, in caso di rottura dei finestrini stessi, i frammenti avrebbero dovuto essere proiettati verso l'esterno sia per effetto della pressione generata dall'esplosione, sia per effetto della maggiore pressione esistente all'interno della fusoliera rispetto all'esterno, dovuta alla pressurizzazione della fusoliera stessa”.
Ed ancora, scrive il medico legale Giusto Giusti, “tutti i dati e le considerazioni effettuate portano alla conclusione che non vi sia stata alcuna esplosione a bordo. […] Dell'esplosione non sono state trovate tracce sui corpi né sui resti ossei; le lesioni timpaniche destre riscontrate su alcuni passeggeri sono attribuibili a decompressione esplosiva per una falla sulla fusoliera.
Pertanto, qualora non si rilevassero tracce di esplosione o di incendio, si dovrebbe concludere che tale falla è stata causata da un agente esterno (missile o collisione con altro aereo o parte di esso)”.
Ma allora, cosa porta Misiti a concludere che a tirare giù il DC9 sia stata una bomba posta nella toilette di coda? Sostanzialmente perché sulla fusoliera non appaiono i segni delle schegge di un missile.
Ma è proprio qui, nella conclusione, che la perizia cade in fallo: “Per tutto quanto esposto, il CP ritiene che l'abbattimento del DC9 mediante missile sia da ritenersi come ipotesi ragionevolmente da escludersi, anche se l'abbattimento mediante impatto con missile inerte potrebbe rendere ragione delle caratteristiche di ritrovamento di esplosivo incombusto su alcuni reperti”.
Ma nessuno può dire di che tipo fosse questo ipotetico missile, magari addirittura a testata inerte. Nel concludere la sua sentenza ordinanza, Priore è lapidario: “Esclusa - attraverso l'esame critico di cento e oltre documenti tecnici elaborati con intelligenza e vigore polemico da una schiera tra le migliori di specialisti nelle varie dottrine che son servite - con più che sufficiente certezza qualsiasi altra causa di caduta del velivolo - dall'improvviso cedimento strutturale all'altrettanto improvviso cedimento psichico dei piloti, dall'esplosione interna alla precipitazione di meteoriti o altre similari, parti di fantasie tanto fervide quanto inquinanti - resta il contesto esterno”.
E mette in luce anche un altro aspetto di questa vicenda, non meno inquietante: “L'inchiesta - si legge - è stata ostacolata da reticenze e false testimonianze, sia nell'ambito dell'aeronautica militare italiana che della NATO, le quali hanno avuto l'effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto accaduto”.
Priore mette in luce anche delle mancanze documentali che è difficile spiegare.
Come il registro del sito radar di Marsala, che risulta contraffatto – la pagina del 27 giugno 1980 è stata recisa con tale precisione da non lasciare tracce ad un primo esame – oppure il registro DA1 del sito di Licola, il più vicino al punto del disastro, che non è mai stato consegnato agli inquirenti.

C’è poi la portaerei americana Saratoga, che quella sera era di fonda a Napoli, ufficialmente – e sfortunatamente – con i radar in manutenzione: a tal proposito, l’ammiraglio Flatley dichiarò: “Gli addetti alla manutenzione notarono qualcosa.
Il traffico aereo era molto sostenuto nell'aerea di Napoli, soprattutto in quella meridionale. Sul radar abbiamo visto passare moltissimi aerei”. E perché, poi, la Francia ha affermato che l’attività volativa delle loro basi è terminata alle ore 17, quando un testimone oculare, il generale dei Carabinieri Bozzo, dichiara che nella base còrsa di Solenzara il decollo dei caccia è andato avanti fino a notte?
Perché, volando di scorta al DC9 Itavia sui cieli della Toscana, due piloti dell’Aeronautica Militare, Ivo Nutarelli e Mario Naldini, lanciano un segnale di allarme codificato? Avevano notato qualcosa?
Non potremo saperlo mai, dal momento che moriranno otto anni dopo nell’incidente delle Frecce Tricolore avvenuto nella base Nato di Ramstein, in Germania, il 28 agosto 1988. Questi sono solo alcuni quesiti irrisolti su cui si scontra chi indaga su questa storia.

Ci sarebbero anche le ambigue conversazioni degli addetti al traffico aereo, ci sarebbero le manovre degli alleati sui nostri cieli. Elencare tutti questi punti oscuri in questa sede sarebbe non solo impossibile ma anche ingiustamente semplicistico.
Quel che emerge da dieci anni di indagini è che il volo IH870 è sparito in un vortice di caos, di reticenze, di “non ricordo” interminabili. Sul suo relitto e sui cadaveri dei suoi passeggeri non ci sono le tracce di un’esplosione interna, sulla sua fusoliera non ci sono i segni che ci aspetteremmo di trovare a seguito dell’impatto con un missile.
Nei suoi paraggi, in prossimità del disastro, si muovono altri velivoli sconosciuti. Potrebbe essere una semplice addizione, oppure un rebus che non sono bastati trent’anni per risolverlo.
E’ sicuramente un terreno fertile per quanti vogliono ipotizzare, speculare e, perché no, riempire qualche titolo con toni sensazionalistici. C’è chi ha messo nella Strage di Ustica perfino i satelliti spia russi e le astronavi aliene. Se la realtà può essere terribilmente dolorosa, i misteri a lungo andare diventano solo affascinanti.
Sono un terreno più comodo per far riposare delle coscienze addormentate.
E’ cosi che ai depistaggi veri si aggiungono quelli involontari o solo presunti, alle menzogne si aggiungono le mezze verità che passano per sicurezze assolute, ed agli anni passati si aggiungono i futuri. E certi miti sono davvero duri a crollare.

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Messaggio Da Guya Mer 03 Lug 2013, 15:38

[DOCUMENTI] Strage di Ustica, genesi di un mistero Perrella_ustica_3_text

Quando si frequenta un qualunque corso di giornalismo si arriva prima o poi alla meravigliosa lezione sul come fare un titolo. E viene spiegato che la prima distinzione è tra i “titoli freddi” ed i “titoli caldi”.

I primi dicono il fatto nudo e crudo, e c’è poca speranza che rimangano a futura memoria.
I secondi sono quelli che prendono contenuto dell’articolo, ne colgono il gli aspetti emotivi e lo spediscono dritto agli occhi del lettore tramite metafore, similitudini ardite, ampio uso di locuzioni spesso logore ed esasperate.
E’ un piccolo peccato di vanità in cui cadiamo tutti prima o poi.
Ed alla vicenda della Strage di Ustica sono stati dedicati tanti “titoli caldi”. Alcuni molto fortunati, altri molto meno. “Taglieremo le ali all’Itavia”, ad esempio, è il titolo roboante di un’intervista rilasciata nel 1981 dal ministro dei trasporti Rino Formica. “Battaglia aerea poi la tragedia” scrive il 12 febbraio 1992 Nino Tilotta, cronista dell’Ora, spiegando che, secondo dichiarazioni rilasciategli da un ex militare in servizio allo SHAPE di Mons, in Belgio, causa della tragedia sarebbe stato lo scontro aereo avvenuto tra due caccia F-14 Tomcat della US Navy ed un Mig23 libico.

Ma la parola più (ab)usata tra titoli, sottotitoli ed occhielli è sicuramente “verità”.
Verità “inconfessabile”, verità “affondata”, ma soprattutto verità “negata”.
Cercando su Google “Ustica verità negata” appariranno articoli di giornale, un documentario (tra l’altro molto ben fatto) e qualche trasmissione televisiva dedicata al caso.
Solo nei titoli, non nei testi.
Riferirsi di una verità negata non è del tutto sbagliato.
Lo può diventare quando si parla di una verità totalmente negata che lascia il posto all’alone del mistero.
Quando la verità finisce per dissolversi nei rivoli delle verità, che assumono un significato del tutto relativo.
Ed allora chiediamoci: conosciamo una verità che possiamo assumere come assoluta?
Al momento no. Ma questo non vuol dire che non esista, e soprattutto che sia del tutto intangibile. Per non scadere nelle fazioni del “secondo me è andata cosi” atteniamoci alla realtà accertata processualmente.

Nel 1999 il giudice istruttore Rosario Priore conclude le sue indagini. L’ipotesi di reato per cui si indaga, ovviamente, è quella di strage. Per questo capo d’accusa, però, non si trovano sospettati.
Non si riescono ad individuare i possibili esecutori materiali, o i mandanti del massacro. E dato che un processo penale non può essere celebrato senza un imputato, il procedimento penale sulle cause della Strage non ha mai avuto luogo.
Priore ritiene, però, che ci siano stati dei soggetti che, a vario titolo, possano aver operato in maniera evidentemente illecita per depistare le indagini. Il 28 settembre 2000 compaiono nell’aula bunker del carcere romano di Rebibbia, in qualità di imputati, i generali dell’Aeronautica Militare Lamberto Bartolucci, Franco Ferri, Corrado Melillo e Zeno Tascio.
La sentenza di primo grado arriva il 30 aprile 2004 ed assolve i generali Melillo e Tascio “per non aver commesso il fatto”, mentre Bartolucci e Ferri vengono ritenuti colpevoli, ma di un reato caduto in prescrizione essendo passati più di quindici anni. Un verdetto che lascia tutti insoddisfatti: presentano ricorso in Appello gli imputati, la Procura e le parti civili.
A dicembre 2005 arriva il giudizio di secondo grado: assolti gli imputati Bartolucci e Ferri “per non aver commesso il fatto”. Verdetto confermato nel 2007 dalla prima sezione della Cassazione penale.
Si chiude cosi il processo sui presunti depistaggi alle indagini.
Un processo, quindi, che non ha riguardato direttamente le cause della Strage.

Un discorso a parte merita invece il secondo ramo di questa complessa storia giudiziaria, quello dei processi civili. Si deve insomma capire se ci siano dei soggetti direttamente o indirettamente responsabili del disastro di cui è stato vittima il DC9 dell’Itavia ed i suoi passeggeri, tenuti quindi a risarcire i danni derivati.
Già nell’aprile 1981, infatti, la compagnia di Aldo Davanzali chiede conto della perdita nel suo aereo ai Ministeri della Difesa, dei Trasporti e dell’Interno. Danni che vanno ben oltre il valore di quel bimotore, dal momento che la Strage ha portato l’Itavia direttamente nel baratro del fallimento. Senza alcuna responsabilità da parte della compagnia.
Solo nel 2003 il Tribunale di Roma condanna i ministeri convenuti a risarcire la l’Itavia per oltre 108 milioni di euro. Nel 2007 la corte di Appello ribaltala sentenza, sostenendo che, qualora la Strage fosse stata causata da un’azione di abbattimento, non esistono elementi che colleghino l’evento con la sfera di prevedibilità che rientra negli oneri di controllo degli enti preposti a vigilare sulla sicurezza dei nostri cieli.

La Cassazione emette sentenza nel 2009 cambiando nuovamente scenario. La Suprema Corte rileva che – attenzione - essendo stata esclusa l’ipotesi della bomba a bordo da un terrorista, non si può ravvisare alcuna responsabilità da parte del Ministero dell’Interno. Vengono però accolti quasi per intero i ricorsi verso i Ministeri della Difesa e quello dei Trasporti, responsabili della mancata sicurezza di quell’aerovia civile.
L’Itavia viene quindi definitivamente “scagionata” da ogni possibile responsabilità. Ventotto anni dopo la sua chiusura. Il 28 gennaio 2013 si conclude invece il primo processo civile che vede come attori i familiari di alcune vittime della Strage. La Cassazione, confermando la precedente sentenza d’Appello, condanna i Ministeri della Difesa e dei Trasporti ritenendo “congruamente ed abbondantemente motivata la tesi del missile”.
Viene quindi accertato in via definitiva lo scenario lo scenario dell’abbattimento da parte di un aereo militare. Nel 2007 prende il via a Palermo un secondo processo civile, per alcuni aspetti simile a quello arrivato a sentenza definitiva.
Il 10 settembre 2011 il giudice Paola Proto Pisani della terza sezione civile del tribunale di Palermo condanna i Ministeri della Difesa e dei Trasporti a risarcire circa 110 milioni di euro nei confronti di quarantadue familiari delle vittime della Strage.
Come leggiamo nel testo della sentenza, si può ritenere “provato che l’incidente occorso al DC9 si sia verificato a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia, che nella parte finale della rotta del DC9 viaggiavano parallelamente ad esso, di un velivolo militare precedentemente nascostosi della scia del DC9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell’esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto ed il DC9”.
Quel che rende estremamente importante questa sentenza – soprattutto qualora venisse confermata in Appello ad aprile 2014 – è che il giudice riconosce non solo la responsabilità dei ministeri convenuti per la mancata messa in sicurezza dell’aerovia civile, ma anche per l’occultamento e la distruzione degli elementi probatori che avrebbero potuto concorrere al raggiungimento della verità.

In altre parole, la violazione del diritto alla verità viene considerata alla stregua di un danno ingiusto, suscettibile di essere risarcito economicamente. E’ qui che le cause della Strage vengono accertate processualmente.
Quando si pensa ad un processo civile si tende a considerarlo solo come portatore di istanze di risarcimento. Un luogo comune che va troppo stretto ai procedimenti civili legati alla Strage di Ustica.
Perché qui le richieste degli attori non sono che un veicolo per accertare una verità che fino a poco tempo fa è mancata del tutto. Anzi, la verità. Verità che per molti anni è stata sì negata, ma che ora non lo è più del tutto.
Acclarato lo scenario, mancano i nomi degli esecutori materiali. Ci manca sapere chi è stato, e possibilmente anche perché era li quella sera con il suo aereo da caccia nel bel mezzo di un’aerovia civile. La verità c’è. E’ un sentiero tortuoso e poco battuto che stiamo percorrendo con difficoltà.
Ciò non di meno, sarebbe molto sbagliato decidere a priori di non poter raggiungere la fine.


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Messaggio Da Guya Mer 03 Lug 2013, 15:44


[DOCUMENTI] Strage di Ustica, genesi di un mistero Ustica_4_text

Negli ultimi decenni della nostra storia recente si è fatto un gran parlare di "misteri italiani".
La Stazione di Bologna, Piazza Fontana, Capaci e Via d'Amelio, il rapimento di Aldo Moro, l'Italicus ed il Rapido 404, per arrivare al G8 di Genova.

E la Strage di Ustica, ovviamente. Misteri italiani. Il titolo perfetto per una collana di romanzi noir.
E' cosi che la realtà, la nostra storia, il fardello che tutti noi, anche gli italiani nati ieri, si portano sulle spalle, volenti o nolenti, si distacca dal nostro vissuto, viene riposizionato in una dimensione astratta, che non ci appartiene più di tanto.
O non ci appartiene affatto. Proviamo a riconsiderare questi fatti di cronaca sotto un'altra luce. Quello della Strage di Ustica non è un mistero italiano.
E' un'ingiustizia italiana. E' una privazione dei più fondamentali diritti civili che dura da trentatré anni.
Non solo il diritto alla vita di cui si sono visti privati gli ottantuno passeggeri del volo Itavia IH870, che viaggiava in uno spazio aereo più simile ad un campo minato che ad un'aerovia civile sulla cui sicurezza dovrebbero vigilare determinati organi di Stato.
In quell'istante di una sera di trentatré anni fa è stato ucciso il diritto, che appartiene a tutti, di guardare con sicurezza alla nostra storia. George Carlin, comico e pensatore statunitense scomparso qualche anno fa, diceva che, in realtà, "i diritti non esistono".
Li abbiamo inventati, come i personaggi delle favole, perché parlarne ci fa sentire al sicuro. La giustizia, la verità, non sono diritti, ma sono doveri che dobbiamo esercitare giorno per giorno.
E troppo spesso ci dimentichiamo che, quando un diritto non appartiene a tutti, non è più tale.
E' un privilegio di pochi.
Le sentenze hanno spazzato via le teorie sulle bombe o i cedimenti strutturali, hanno chiarito il contesto in cui si è consumata la Strage, ma mancano ancora i nomi dei responsabili.
E non sarà facile trovarli, inutile negarlo, perché non esiste al mondo un assassino tanto efferato che lascia per trent'anni la sua firma in calce ad un massacro simile. Ed allo stesso modo non sarà facile fare luce sulle altre morti sospette legate a questa vicenda.

Come quella di Mario Naldini ed Ivo Nutarelli, piloti dell'Aeronautica Militari che la sera del 27 giugno 1980 volarono diversi minuti in conserva al DC9 Italia, lanciando più volte un segnale di allarme.
Chiamati a testimoniare dal giudice Priore, morirono pochi giorni prima nel tragico incidente delle Frecce Tricolore nella base tedesca di Ramstein, il 28 agosto 1988, in circostanze tutt'altro che chiare. Non sarà facile capire cosa volesse dire il maresciallo Dettori, controllore di turno la sera della Strage presso la base di Grosseto, quando rincasando la mattina successiva disse a sua moglie che "stava per scoppiare la guerra".
E non potremo più chiederlo, dal momento che è morto suicida, impiccandosi in una maniera che la scientifica definì "innaturale".
Questi sono solo due esempi di storie e di vittime "collaterali", legate alla Strage da un filo sottile ma persistente. Per questo è importante esercitare giorno per giorno la memoria, non solo quella abbastanza sterile e retorica degli anniversari. Questo vale per i fatti di Ustica come per le altre ingiustizie italiane.
Perché nessuna verità ha ragione di esistere se nessuno vuole conoscerla.
E solo la memoria può tenere in vita questa ricerca incessante di risposte che dura da tre decenni.

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Messaggio Da Guya Mer 03 Lug 2013, 15:48

Senato della Repubblica Camera dei deputati
- X LEGISLATURA - INDICE GENERALE ATTI COMMISSIONE TERRORISMO E STRAGI

DOCUMENTAZIONE RELATIVA AL DISASTRO AEREO DI USTICA


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Messaggio Da Guya Mer 03 Lug 2013, 15:51








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Messaggio Da Guya Mer 03 Lug 2013, 15:55






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