Un marziano a Roma
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Un marziano a Roma
A proposito della candidatura Tsipras, bellissima la vignetta del Manifesto: “La politica è uno di quei mestieri che gli italiani non vogliono più fare”.
Già. E che gli italiani non vedono più esercitare da tanti anni. Eppure, intorno ai vari maneggi che sostituiscono la politica, è nato un esercito di giustificazionisti, pronti a scovare argomenti a sostegno della inevitabilità di certi disastri, o della correttezza di scelte che paiono sbagliate al primo sguardo, veri maestri della digressione fideistica.
La cattiva politica è come la finanza, la cui azione speculativa prescinde da tutti i vecchi valori economici. Se si guadagnano somme enormi scommettendo sul fallimento di un settore, o si staccano dividendi sui guadagni fasulli di una quotazione gonfiata, l’economia reale è la prima vittima di questa anarchia finanziaria, così come lo è la verità in tempo di guerra.
Nello stesso modo, la cattiva politica vanifica i meccanismi democratici, speculando sul consenso, il capitale da manovrare, senza alcun legame con gli interessi di chi lo esprime.
L’Italia è deragliata dall’alveo della normalità da parecchi decenni, e nel corso del tempo si sono perfezionate le pratiche perché diventasse sempre più un ginepraio per pochi addestrati predatori.
La giustizia è stata il primo settore da spuntare, ed è comprensibile in terra di mafie. La certezza della pena, la durata dei processi, le prescrizioni, la giustizia civile come un girone dantesco, sono tutte cose accuratamente minate perché fossero funzionali alla impunità dei padrini di tutti i tipi.
Così la burocrazia, che doveva diventare la garanzia per le pratiche corruttive, lo screening per la distribuzione pilotata delle risorse.
Con il peggiorare della classe politica, alla fine, la corruzione si è esercitata addirittura senza il fall-out delle infrastrutture, e il paese ha pagato cifre esorbitanti a fronte di nulla o di cattedrali nel deserto, rimaste chiuse e destinate al degrado.
In anni più recenti, si è abbandonata la scuola ad un destino di ghettizzazione, un pascolo per meno abbienti, cui destinare saperi specialistici e non cultura, in ambienti degradati che rimandano ad uno stato colpevole.
La sanità si salva solo perché costituisce l’occasione di grossi business, in un connubio di pubblico-privato che ingurgita immense risorse.
E, per ultimo ma non ultimo, il sistema bancario e assicurativo, il polmone creditizio che doveva sostenere le attività produttive, che è invece da sempre il circolo anarchico che presidia le fortune di coloro che ne fanno parte, disinteressato al proprio ruolo di attore nella crescita dell’economia reale.
Tutte queste cose fanno dell’Italia un paese al di fuori dell’Europa, e sono tutte cose scientemente organizzate o lasciate fare, come se non fossero fondamentali ai fini dello sviluppo del paese.
Anche la legislazione del lavoro, la composizione della busta paga, la ritenuta alla fonte, l’organizzazione dell’INPS, l’anarchia tariffaria, sono tutte stupefacenti invenzioni di questi geni speculatori alle spalle di una intera società, resa inerme dallo stesso carico di disfunzioni e sperequazioni che le sono piovute addosso.
C’è da meravigliarsi di come l’Italia sia comunque riuscita a produrre eccellenze, sia comunque sopravvissuta per anni, mentre ora è al capolinea. Troppo si è sprecato, rubato, distrutto, cancellato dagli stessi orizzonti delle possibilità. Gli italiani vogliono andarsene, e si capisce.
Per coloro che invece si ostinano a sperare in un rinascimento italiano, che consisterebbe solo nel ripristino delle condizioni di normalità che vigono in altri paesi, c’è il problema di scovare la giusta rappresentanza.
Un problema quasi insolubile in un paese che ha allevato politici da batteria, inseriti in un sistema distorto, e che ha scatenato populismi e separatismi. Che ha indotto la magistratura ad un ruolo di supplenza che, diluito negli anni, cancella provvedimenti che hanno nel frattempo dispiegato tutti i loro danni.
Ci vorrebbe un marziano, un greco non basta. C’è il rischio che la comune base culturale gli faccia prendere per buone le dissertazioni sociali e costituzionali, ridotte a mezzi di distrazione di massa da almeno due decenni, mentre si continuano a licenziare provvedimenti a favore di finanzieri ed evasori, e a comprare aerei difettosi.
Il marziano incorrotto chiederebbe subito conto di questa scandalosa incongruenza, e, ripetendo un motteggio sentito nell’etere interstellare, direbbe subito: “che c’azzecca con la politica anti-crisi ed il ripristino delle condizioni per la crescita?”.
L’omino verde sarebbe subissato da un fiume di condiscendenti ricostruzioni sulla genesi dello scandalume che attenta all’immagine di una classe dirigente altrimenti specchiata ed efficiente.
Se non decidesse di ritornarsene di corsa su Marte, la sua risata liberatoria potrebbe echeggiare nell’intera galassia.
Già. E che gli italiani non vedono più esercitare da tanti anni. Eppure, intorno ai vari maneggi che sostituiscono la politica, è nato un esercito di giustificazionisti, pronti a scovare argomenti a sostegno della inevitabilità di certi disastri, o della correttezza di scelte che paiono sbagliate al primo sguardo, veri maestri della digressione fideistica.
La cattiva politica è come la finanza, la cui azione speculativa prescinde da tutti i vecchi valori economici. Se si guadagnano somme enormi scommettendo sul fallimento di un settore, o si staccano dividendi sui guadagni fasulli di una quotazione gonfiata, l’economia reale è la prima vittima di questa anarchia finanziaria, così come lo è la verità in tempo di guerra.
Nello stesso modo, la cattiva politica vanifica i meccanismi democratici, speculando sul consenso, il capitale da manovrare, senza alcun legame con gli interessi di chi lo esprime.
L’Italia è deragliata dall’alveo della normalità da parecchi decenni, e nel corso del tempo si sono perfezionate le pratiche perché diventasse sempre più un ginepraio per pochi addestrati predatori.
La giustizia è stata il primo settore da spuntare, ed è comprensibile in terra di mafie. La certezza della pena, la durata dei processi, le prescrizioni, la giustizia civile come un girone dantesco, sono tutte cose accuratamente minate perché fossero funzionali alla impunità dei padrini di tutti i tipi.
Così la burocrazia, che doveva diventare la garanzia per le pratiche corruttive, lo screening per la distribuzione pilotata delle risorse.
Con il peggiorare della classe politica, alla fine, la corruzione si è esercitata addirittura senza il fall-out delle infrastrutture, e il paese ha pagato cifre esorbitanti a fronte di nulla o di cattedrali nel deserto, rimaste chiuse e destinate al degrado.
In anni più recenti, si è abbandonata la scuola ad un destino di ghettizzazione, un pascolo per meno abbienti, cui destinare saperi specialistici e non cultura, in ambienti degradati che rimandano ad uno stato colpevole.
La sanità si salva solo perché costituisce l’occasione di grossi business, in un connubio di pubblico-privato che ingurgita immense risorse.
E, per ultimo ma non ultimo, il sistema bancario e assicurativo, il polmone creditizio che doveva sostenere le attività produttive, che è invece da sempre il circolo anarchico che presidia le fortune di coloro che ne fanno parte, disinteressato al proprio ruolo di attore nella crescita dell’economia reale.
Tutte queste cose fanno dell’Italia un paese al di fuori dell’Europa, e sono tutte cose scientemente organizzate o lasciate fare, come se non fossero fondamentali ai fini dello sviluppo del paese.
Anche la legislazione del lavoro, la composizione della busta paga, la ritenuta alla fonte, l’organizzazione dell’INPS, l’anarchia tariffaria, sono tutte stupefacenti invenzioni di questi geni speculatori alle spalle di una intera società, resa inerme dallo stesso carico di disfunzioni e sperequazioni che le sono piovute addosso.
C’è da meravigliarsi di come l’Italia sia comunque riuscita a produrre eccellenze, sia comunque sopravvissuta per anni, mentre ora è al capolinea. Troppo si è sprecato, rubato, distrutto, cancellato dagli stessi orizzonti delle possibilità. Gli italiani vogliono andarsene, e si capisce.
Per coloro che invece si ostinano a sperare in un rinascimento italiano, che consisterebbe solo nel ripristino delle condizioni di normalità che vigono in altri paesi, c’è il problema di scovare la giusta rappresentanza.
Un problema quasi insolubile in un paese che ha allevato politici da batteria, inseriti in un sistema distorto, e che ha scatenato populismi e separatismi. Che ha indotto la magistratura ad un ruolo di supplenza che, diluito negli anni, cancella provvedimenti che hanno nel frattempo dispiegato tutti i loro danni.
Ci vorrebbe un marziano, un greco non basta. C’è il rischio che la comune base culturale gli faccia prendere per buone le dissertazioni sociali e costituzionali, ridotte a mezzi di distrazione di massa da almeno due decenni, mentre si continuano a licenziare provvedimenti a favore di finanzieri ed evasori, e a comprare aerei difettosi.
Il marziano incorrotto chiederebbe subito conto di questa scandalosa incongruenza, e, ripetendo un motteggio sentito nell’etere interstellare, direbbe subito: “che c’azzecca con la politica anti-crisi ed il ripristino delle condizioni per la crescita?”.
L’omino verde sarebbe subissato da un fiume di condiscendenti ricostruzioni sulla genesi dello scandalume che attenta all’immagine di una classe dirigente altrimenti specchiata ed efficiente.
Se non decidesse di ritornarsene di corsa su Marte, la sua risata liberatoria potrebbe echeggiare nell’intera galassia.
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