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A' la guerre comme à la guerre

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Messaggio Da einrix Lun 24 Feb 2014, 09:23

Prendiamo quest'altra frase:
"... ma non della Svezia, dove le importanti riforme sono avvenute grazie anche ai liberali... occorre riconoscerlo..."

Quello che scrivi  lo leggo: che è grazie anche ai capitalisti Svedesi che la Svezia è stata riformata.
In democrazia, capitalisti e poveracci hanno un voto ciascuno. Quanti sono i capitalisti in Svezia? Non certo quanti sono i poveri o le persone delle classi medie: sono di sicuro un'infima minoranza. Quindi, se parli di riforme, i capitalisti non sono numericamente significativi per fare alcunché, salvo -grazie al potere moltiplicatore del denaro - fare gli imprenditori o i reiders (pirati). A indirizzarli sulla giusta via è stata la politica dei social democratici, che se fosse stato per Lor Signori svedesi se ne sarebbero ben guardati dall'imporre quelle tasse alte per finanziare quel welfare. Avrebebro detto che abbassando le tasse si sarebbero moltiplicate le opportunità del lavoro. Ma a loro bastava intascarsi i profitti e tanto meglio se fossero stati alti, non certo il bnessere delle persone che lavorano.
Se non ti pare questa una confutazione del tuo asserto, l'ennesima, non so che dirti.

Per essere chiaro: non c'è socialismo che funzioni senza libertà di intraprendere e libertà civili, ma non c'è pure liberlismo che funzioni senza uno stato che regoli la distribuzione delle ricchezze che vengono prodotte da una economia tenuta sotto controllo con le leggi che di fatto regolano produzioni e mercato. E se è così, che liberismo è? Mentre se non è così, può essere socialismo democratico.

I socialisti diventano comunisti, e qualche volta anche stalinisti quando i liberali diventano imperialisti, speculatori e qualche volta anche fascisti e nazisti. Il solo modo di tenere assieme chi ha le braccia e chi ha i capitali è quello di fondare uno stato sulla democrazia e sull'equilibrio dei poteri e delle classi. Senza quello sforzo collettivo la società va in rovina.

In italia sono i conflitti sociali mai sopiti, ed una classe capitalistica non rassegnata ad essere esclusivamente una classe imprenditoriale, che hanno prodotto la nostra ventennale crisi, e Berlusconi è la punta avanzata di quell'odio sociale verso quello che lui chiama comunismo, ma che non è nient'altro che un sano intervento regolatore dello stato democratico, che avrebbe dovuto impedire la deindustrializzazione e l'allargamento della forbice ricchezza-povertà.
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Messaggio Da einrix Lun 24 Feb 2014, 10:41

A la guerre...
 
A' la guerre comme à la guerre - Pagina 4 3638905378
 
Il «caso» Guidi pesa sul nuovo esecutivo come un macigno, e fa salire il termometro delle tensioni all’interno della maggioranza. La figlia di una dinastia imprenditoriale piazzata al vertice dello Sviluppo economico è già di per sé un azzardo.
 
Quando poi si tratta di un’imprenditrice di sicura fede berlusconiana, diventa davvero troppo per un esecutivo a guida Pd. Tanto che il sottosegretario Graziano Delrio è stato costretto a chiarire, specificare, rassicurare, parlando da Lucia Annunziata.
 
In buona sostanza ha detto due cose. Primo, che i dossier che potranno suscitare conflitti d’interesse, saranno seguiti direttamente dal premier. Secondo, che nella scelta dei tecnici, non si è pensato alle loro inclinazioni politiche.
 
Questione chiusa? A sentire Stefano Fassina, importante esponente della minoranza Pd, pare proprio di no. Anzi: la questione è più calda che mai.
 
Guidi si è dimessa dagli incarichi che aveva in azienda. Questo secondo lei supera il conflitto d’interessi?
«Assolutamente no, perché lei e la sua famiglia restano proprietari di un’azienda che ha molte commesse dalla pubblica amministrazione. Qui non si tratta di un manager di una public company: le dimissioni sono irrilevanti rispetto al conflitto. Sarebbe utile che il premier affronti questo problema prima di chiedere la fiducia in Parlamento».
 
Delrio ha detto che il premier seguirà i dossier più esposti al conflitto. «Immagino sia una battuta. Il conflitto non può essere evitato dall’intervento del premier....».
--------------------------------------------------------
Certo che per il ruolo che Ha Del Rio ha già incominciato la sua sfilza di svarioni. Sarà meglio che si dia una calmata, altrimenti lo rottamiamo!
 
http://www.unita.it/politica/guid-in-conflitto-d-interessi-br-e-vicina-al-cav-premier-provveda-1.553825
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Messaggio Da einrix Lun 24 Feb 2014, 13:05

Ancora qualche postilla al discorso di Amiter:
 
Quello che fino ad un certo tempo storico veniva chiamato capitalismo era ciò che era conforme allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, e quindi non era nient'altro che l'insieme delle azioni permesse in nome dello sfruttamento. Se ci poniamo la domanda se il capitalismo può sussistere anche senza lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, e la risposta è che sussista quella possibilità, allora comprendiamo che lo sfruttamento dell'uomo era perpetrato attraverso il capitalismo come mezzo, non che questo di per se ne fosse la causa, poiché la causa era da ricercarsi nei rapporti sociali che venivano si regolati dal possesso del capitale, ma in base a categorie del giudizio che determinavano quel rapporto di  sfruttamento. Infatti non si è cambiato il capitalismo come mezzo per proibire lo sfruttamento, ma si sono costruite leggi e regole che  impedissero lo sfruttamento e che consentissero al capitalismo di agire secondo gli interessi della Società. Nella società ci sono dei divieti, delle  proibizioni, ci  sono delle cose che si possono fare ma che sono vietate. Questo diritto sociale nasce dalle lotte che hanno combattuto le sinistre  contro le  destre. E' proprio li il motivo della  scelta. Sfruttare l'operaio è un diritto naturale per ogni capitalista, come è diritto naturale del leone mangiarsi la gazzella. Il diritto naturale, coincide con la potenza dell'uomo o dell'animale, ma rinvia ad uno stato di cose che non è la società come la vuole chi potenzialmente è nella condizione di poter essere sfruttato. A sinistra si lotta per promuovere le regole che impediscano lo sfruttamento, ed è li la differenza tra lo stato di natura che vuole il capitalista sfruttatore e la società socialista a cui pensava chi era sfruttato. Da quei tempi ad oggi, in meno di un secolo, ne sono stati fatti di passi da gigante per pervenire alla società democratica che si definisce fondata sul lavoro, che rispetta le libertà di pensiero e di associazione e che limita l'intervento privato all'interesse generale.
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Messaggio Da afam Lun 24 Feb 2014, 14:06

einrix ha scritto:
 Da quei tempi ad oggi, in meno di un secolo, ne sono stati fatti di passi da gigante per pervenire alla società democratica che si definisce fondata sul lavoro, che rispetta le libertà di pensiero e di associazione e che limita l'intervento privato all'interesse generale.
E speriamo che si continui! A' la guerre comme à la guerre - Pagina 4 780668378
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Messaggio Da Rom Lun 24 Feb 2014, 19:43

einrix ha scritto:E non sto parlando di destra o di sinistra, sto parlando di Lor Signori e di Essi Poveracci. Quindi, di categorie che trascendono il gioco politico del riconoscersi in un simbolo.
Vedi, caro Amiter come è difficile usare le parole, per i molti significati che hanno, e per come l'ideologia si nasconda dietro a costrutti - di parole - che perdono senso?

Le parole che perdono senso sono anche quelle che personalmente rimprovero anche al centro-sinistra di questi ultimi anni, e che ritrovo inevitabilmente anche in certi tuoi discorsi che si riferiscono proprio al "gioco politico del riconoscersi in un simbolo".
La sinistra della quale parli è molto lontana da quella che oggi si auto-definisce tale: è questa cesura che tu - insieme con l'ortodossia del PD - regolarmente eviti di approfondire, anzi semplicemente di affrontare, cavandotela con brevi accenni alla "teoria del possibile", o dissociandoti spiritualmente dagli aspetti più platealmente negativi, come se fossero accidentali.
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Messaggio Da einrix Lun 24 Feb 2014, 22:42

Rom ha scritto:

Le parole che perdono senso sono anche quelle che personalmente rimprovero anche al centro-sinistra di questi ultimi anni, e che ritrovo inevitabilmente anche in certi tuoi discorsi che si riferiscono proprio al "gioco politico del riconoscersi in un simbolo".
La sinistra della quale parli è molto lontana da quella che oggi si auto-definisce tale: è questa cesura che tu - insieme con l'ortodossia del PD - regolarmente eviti di approfondire, anzi semplicemente di affrontare, cavandotela con brevi accenni alla "teoria del possibile", o dissociandoti spiritualmente dagli aspetti più platealmente negativi, come se fossero accidentali.

-no comment.
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Messaggio Da Rossoverde Mar 25 Feb 2014, 06:42

Rom ha scritto:

Le parole che perdono senso sono anche quelle che personalmente rimprovero anche al centro-sinistra di questi ultimi anni, e che ritrovo inevitabilmente anche in certi tuoi discorsi che si riferiscono proprio al "gioco politico del riconoscersi in un simbolo".
La sinistra della quale parli è molto lontana da quella che oggi si auto-definisce tale: è questa cesura che tu - insieme con l'ortodossia del PD - regolarmente eviti di approfondire, anzi semplicemente di affrontare, cavandotela con brevi accenni alla "teoria del possibile", o dissociandoti spiritualmente dagli aspetti più platealmente negativi, come se fossero accidentali.
infatti non sono proprio accidentali, troppe accidentalità, sono i frutti del lento evolversi , della radicale trasformazione di un partito di sx ad un partito che mi astengo dal voler collocare, tanto da avere un pdc espressione più del Pdl che del Pd , con i voti del pd, visto che Berlusconi ormai è impresentabile.
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Messaggio Da Amiter Mar 25 Feb 2014, 07:36

Mi trovo in difficoltà a proseguire questa discussione perché vedo che ciascuno di noi non sta dando alle parole lo stesso significato, quindi finiamo per parlare-parlare senza capirci...
Innanzitutto devo dire che in questo momento mi sfugge il liberalismo di sinistra cui fa riferimento ROM...
In secondo luogo, se da una parte è vero che il termine capitalismo può avere un significato ambiguo, mi sorprende che einrix non sappia il significato di libero mercato che non lascia affatto spazio a chissà quante interpretazioni...
Per contro, stranamente einrix attribuisce un significato univoco al termine socialdemocrazia o socialismo democratico, che non è meno ambiguo di capitalismo, e storicamente non è affatto quell'eden che egli descrive.

Ad ogni modo, almeno dal dopoguerra credo che per capitalismo si possa tranquillamente intendere un sistema economico complesso in cui il capitale è sostanzialmente di proprietà privata. Perciò einrix quello che tu chiami capitalismo di stato non è capitalismo.. questa interpretazione fantasiosa ti fa definire l'ex URSS un paese capitalista, e giuro che è la prima volta che lo sento.
Quindi un sistema capitalista ammette, anzi agevola, considerandolo per vari motivi producente, l'iniziativa privata.
In questo senso credo che tutti siamo dei capitalisti... non solo i miliardari o quelli che ritengono che l'aver accumulato un capitale gli possa dar diritto, al fine di accumularne sempre di più, di sfruttare altre persone.

Il liberalismo dovrebbe essere (del condizionale farei a meno) l'insieme di teorie politiche, sociali ed economiche che prevedono un sistema economico capitalista, quindi antitetico al socialismo... credo che anche storicamente lo si possa ritenere tale...
Tra i principi liberali sono espressamente indicate le misure in cui lo Stato deve intervenire (anche questo einrix sembrerebbe non saperlo), perché non è affatto vero che i liberali escludono qualsiasi intervento dello stato (il motivo di questo lo dirò nel seguito), altrimenti "che liberismo è?" dice einrix... però einrix dice anche che non esiste socialismo senza libertà di intraprendere... queste mi sembrano le ennesime interpretazioni di comodo, ma sorvoliamo...

Il libero mercato è il modello economico che descrive il liberismo.
Non mi voglio soffermare più di tanto sul termine liberismo, che esiste solo in Italia; esso lo si può interpretare come la teoria economica del liberalismo.


Quando parlo di teoria economica mi riferisco esplicitamente a una teoria di tipo scientifico, essendo l'economia una scienza... ed ogni teoria scientifica è tale quando in sostanza si avvale di una struttura matematica e quando è riscontrabile sperimentalmente... la scienza non si accontenta più da secoli di descrivere i fenomeni filosofeggiando e basta...
Tutti i modelli scientifici si basano su ipotesi semplificative (einrix dovrebbe saperlo bene) al fine di poter essere agevolmente descritti con dei modelli matematici...
Quelli che descrivono i modelli economici non fanno eccezione, e complessivamente vanno sotto il nome di mercato perfetto. Per fare un esempio, è un po' come le ipotesi di fluido perfetto su cui si fondano alcuni modelli teorici (e matematici) della meccanica dei fluidi.
I modelli economici evidentemente non sono da meno... le ipotesi di libero mercato sono infatti quelle che hanno consentito lo sviluppo di una serie di modelli matematici... il più noto e quello della domanda/offerta...
Naturalmente il mercato perfetto è un qualcosa che, salvo pochissimi casi particolari, non risulta appieno aderente alla realtà... è per questo le politiche liberali propongono di rendere il modello applicabile mediante un opportuno controllo da parte dello Stato, e quindi mediante alcuni provvedimenti del medesimo.



Mi rendo conto che esiste una letteratura NON di tipo scientifico che fornisce definizioni sensibilmente differenti... ma credo che, almeno ad oggi, si possano ritenere superate...
In effetti, se da una parte è vero che l'economia in quanto scienza a sè si è sviluppata in tempi relativamente recenti, dall'altra è anche vero che vari approcci matematici alla materia economica sono fatti da secoli... ad opera di matematici e scienziati di vario tipo... ad esempio Quintino Sella era un ingegnere...
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Messaggio Da einrix Mar 25 Feb 2014, 09:46

Amiter: "mi sorprende che einrix non sappia il significato di libero mercato che non lascia affatto spazio a chissà quante interpretazioni..."
 
Sentiamo cosa ne dice Ha-Joon Chang secondo cui:
 
Il libero mercato non esiste
- Cosa ti dicono
I mercati devono essere liberi. Quando lo stato interferisce per dettare
cosa possono o non possono fare i partecipanti al mercato, le risorse non
vengono allocate nel modo più efficiente. Se la gente non può fare ciò che
giudica più redditizio, perde ogni incentivo a investire e innovare. Così, se
il governo impone un tetto agli affitti, i proprietari non sono più incorag-
giati a fare manutenzione agli immobili o a costruirne di nuovi. Oppure,
se pone delle restrizioni al tipo di prodotti finanziari che possono essere
venduti, due contraenti in grado di trarre vantaggio da operazioni innova-
tive corrispondenti ai loro particolari bisogni non potranno cogliere i po-
tenziali guadagni del libero contratto. Le persone devono essere lasciate
«libere di scegliere», come recita il titolo del famoso libro di quel visiona-
rio del libero mercato che fu Milton Friedman.
Cosa non ti dicono
II libero mercato non esiste. Ogni mercato ha regole e confini che limita-
no la libertà di scelta. Un mercato sembra libero solo perché accettiamo
le restrizioni che lo sottendono in maniera tanto incondizionata da non
vederle più. Non si può stabilire con oggettività quanto un mercato sia
«libero». Si tratta di una definizione politica. La pretesa degli economisti
liberisti di voler difendere il mercato dalle interferenze dello stato detta-
te da motivi politici è errata. Lo stato è sempre coinvolto e gli araldi del
libero mercato sono motivati politicamente come tutti gli altri. Superare
il mito del «libero mercato» oggettivamente definito è il primo passo per
comprendere il capitalismo.
Il lavoro deve essere lasciato Ubero
Nel 1819, il Parlamento britannico discusse una nuova legislazione sul la-
voro minorile, il Cotton Factories Regulation Act. Incredibilmente «leg-
gero» per gli standard moderni, esso proibiva l'impiego dei bambini, o
almeno di quelli di età inferiore ai 9 anni, mentre i ragazzi più grandi
(da 10 a 16 anni) potevano lavorare, ma con un orario limitato a 12 ore
al giorno (sì, erano davvero benevoli verso quei ragazzi!). Queste nuove
regole valevano solo per le fabbriche di cotone, considerate eccezional-
mente pericolose per la salute degli operai.
La proposta suscitò un'enorme disputa. I contrari vi videro un attac-
co al sacro principio della libertà di contrattazione, e dunque la distru-
zione del fondamento stesso del libero mercato. Nel corso del dibattito,
alcuni membri della Camera dei Lord si opposero, obiettando che «il
lavoro deve essere lasciato libero» poiché i bambini vogliono (e hanno
bisogno di) lavorare e gli imprenditori vogliono assumerli. Dov'è il pro-
blema?
Oggi, anche ai più accesi sostenitori del libero mercato, in Gran Bre-
tagna come negli altri paesi ricchi, non verrebbe mai in mente di rein-
trodurre il lavoro minorile in quei pacchetti di liberalizzazioni che tanto
propagandano. Nondimeno, fino a fine Ottocento/inizio Novecento,
quando in Europa e in Nord America fu introdotta là prima seria rego-
lamentazione del lavoro minorile, molte persone rispettabili la conside-
ravano contraria ai principi del libero mercato.
Vista in questo modo, la «libertà» del mercato è come la bellezza: è ne-
gli occhi di chi guarda. Se credete che il diritto dei bambini a non lavora-
re sia più importante del diritto degli industriali a impiegare manodopera
più conveniente, la proibizione del lavoro minorile non vi sembrerà certo
una violazione della libertà del mercato del lavoro. Se credete il contra-
rio, vedrete un mercato «non libero», vincolato da una regolamentazio-
ne scriteriata.
Non c'è bisogno di tornare indietro di due secoli per trovare norme
che oggi diamo per scontate (e accettiamo come «rumore di fondo» del
libero mercato) ma che, quando furono introdotte, vennero furiosamente
contrastate. Quando le normative ambientaliste (cioè le regole sulle emis-
sioni inquinanti di auto e fabbriche) fecero la loro comparsa qualche de-
cennio fa, molti le contestarono come una seria violazione della libertà di
scelta, riflettendo che se la gente vuole guidare auto più inquinanti o se le
aziende trovano più redditizi i metodi di produzione inquinanti, perché
lo stato dovrebbe impedirlo? Oggi queste regole sono date per scontate
dalla maggior parte delle persone, poiché è ovvio che le azioni che provo-
cano danni agli altri, anche se non intenzionalmente (come l'inquinamen-
to), debbano essere regolamentate; è giusto usare le risorse energetiche
con accortezza, perché molte di esse non sono rinnovabili; è opportuno
ridurre l'impatto umano sul cambiamento climatico.
Se persone diverse possono vedere differenti gradi di libertà in un
medesimo mercato, non esiste un modo obiettivo per definire quanto un
mercato sia libero. In altre parole, il libero mercato è un'illusione. Se al-
cuni mercati sembrano liberi, è solo perché ne accettiamo ciecamente le
regole.
Le corde dei maestri di kungfu
Da piccolo ero affascinato da quei maestri di kung fu che sfidavano la gra-
vità nei film di Hong Kong. Come molti bambini, immagino, ci rimasi ma-
le quando venni a sapere che in realtà erano appesi a delle corde.
H libero mercato è un po' così. Accettiamo in modo talmente incon-
dizionato la legittimità di certe regole che non le vediamo più. A un esa-
me più attento però, i mercati si rivelano essere sorretti da regole. Molte
regole.
Per cominciare, esiste una lunga serie di norme su che cosa può es-
sere scambiato, e non sono solo divieti su cose «ovvie» come droghe o
organi umani: nelle economie moderne, voti elettorali, incarichi gover-
nativi e decisioni legali non sono in vendita, o almeno non apertamente, 
anche se in passato in molti paesi lo sono stati; le cattedre universitarie
non possono essere vendute, se non in qualche nazione dove possono
essere comprate sia (illegalmente) pagando i selezionatori sia (legalmen-
te) facendo una donazione all'università; molti paesi vietano il com-
mercio di armi da fuoco o bevande alcoliche; per motivi di sicurezza, i
medicinali devono essere esplicitamente autorizzati dal governo prima
di poter essere commercializzati. Tutte regole discutibili, proprio come
lo era il divieto di vendere esseri umani (la tratta degli schiavi) un seco-
lo e mezzo fa.
Ci sono limitazioni anche su chi può accedere ai mercati. Oggi, le nor-
me sul lavoro minorile vietano ai bambini il mercato del lavoro. Chi eser-
cita professioni con un'influenza significativa sulla vita umana, come i
medici e gli avvocati, deve avere un'abilitazione (che può essere rilascia-
ta da ordini professionali invece che dal governo). In molti paesi solo alle
imprese che dispongono di un certo capitale è permesso fondare banche.
Perfino il mercato azionario, la cui insufficiente regolamentazione è sta-
ta fra le cause della recessione globale del 2008, ha norme per l'accesso
agli scambi. Non si può entrare nella Borsa di New York con una valiget-
ta piena di azioni e venderle. Le aziende devono rispondere a certi requi-
siti e soddisfare rigidi controlli contabili per diversi anni prima di poter
offrire le proprie azioni. La negoziazione dei titoli viene condotta solo da
agenti di cambio e mediatori autorizzati.
Anche le modalità del commercio sono soggette a regolamentazione.
Una delle cose che mi sorpresero quando mi trasferii in Gran Bretagna a
metà degli anni ottanta fu che si poteva chiedere il rimborso integrale di
un prodotto che non soddisfaceva anche se non aveva alcun difetto, co-
sa allora impossibile in Corea, se non nei negozi più esclusivi. In Gran
Bretagna, il diritto del consumatore a cambiare idea era considerato più
importante del diritto del venditore di evitare il costo della restituzione
dell'articolo indesiderato (ma funzionante) al produttore. Molte altre re-
gole disciplinano diversi aspetti del rapporto di scambio: affidabilità del
prodotto, mancata consegna, insolvenza e così via. In molti paesi sono an-
che necessari permessi per l'ubicazione dei punti vendita, per esempio ci
sono vincoli per le bancarelle o limitazioni ad avviare attività commercia-
li in zone residenziali.
E poi ci sono le regolamentazioni sui prezzi. Non parlo solo di feno-
meni molto visibili come i controlli sugli affitti o sui salari minimi che gli
economisti liberisti si divertono a odiare.
Nei paesi ricchi i salari sono determinati più dai controlli sull'immigra-
zione che da qualsiasi altro criterio, inclusa la legislazione sui salari mini-
mi. Come viene stabilito il tetto massimo di immigrati? Non dal «libero»
mercato del lavoro,'che, se lasciato a se stesso, finirebbe per rimpiazzare
T80-90 per cento dei lavoratori locali con manodopera straniera più con-
veniente e spesso più produttiva. La soglia d'immigrazione è in gran parte
stabilita dalla politica. Se avete ancora qualche dubbio sul ruolo massiccio
dello stato nel libero mercato dell'economia, provate a pensare che tutti i
nostri salari sono, in fondo, determinati dalla politica {vedi #3).
In seguito alla crisi finanziaria del 2008, il costo del denaro (sia per i
nuovi prestiti, ammesso che si riesca a ottenerne uno, sia per quelli in es-
sere a tasso variabile) è diventato decisamente più basso in molti paesi
grazie al continuo taglio dei tassi d'interesse. Come mai? Forse la gente
non voleva più prestiti e le banche hanno dovuto abbassare i prezzi? Cer-
to che no, i tagli sono il risultato della decisione politica di stimolare la
domanda. Anche in tempi normali, nella gran parte dei paesi i tassi d'in-
teresse sono fissati dalla Banca centrale, il che significa che possono esse-
re influenzati da considerazioni politiche. Perciò, anche i tassi d'interesse
sono determinati dalla politica.
Se salari e tassi d'interesse sono (in larga parte) determinati dalla poli-
tica, allora lo sono anche tutti gli altri prezzi, visto che dipendono diret-
tamente da essi.
Il libero commercio è anche equo?
Ci accorgiamo di una regolamentazione solo quando non ne condivi-
diamo valori e implicazioni morali. Gli alti dazi doganali sugli scambi
commerciali imposti dal governo degli Stati Uniti nel XIX secolo fece-
ro infuriare i proprietari di schiavi, che non vedevano nulla di male nel-
la libera compravendita di persone sul mercato. Per chi pensava che le
persone fossero una proprietà, vietare il commercio degli schiavi era
criticabile quanto limitare lo scambio delle merci. Probabilmente i ne-
gozianti coreani degli anni ottanta hanno pensato che l'obbligo al «rim-
borso incondizionato» fosse una regola statale ingiustamente gravosa che
limitala la libertà del mercato.
Questo scontro di valori è anche alla base del dibattito contemporaneo
tra libero commercio e commercio equo. Molti americani pensano che,
sì, il commercio internazionale della Cina è libero, ma non è equo. A loro
giudizio, la Cina, pagando ai propri operai salari inaccettabilmente bassi e
facendoli lavorare in condizioni disumane, fa concorrenza sleale. La Cina
a sua volta ribatte che è inammissibile che i paesi ricchi, pur sostenendo
il libero mercato, tentino d'imporre barriere artificiali alle sue esportazio-
ni nel tentativo di limitare l'ingresso di prodotti fabbricati in condizioni
disumane, trovando ingiusto il divieto di sfruttare la sola risorsa che ha in
grande abbondanza: la manodopera a basso costo.
Il problema sta nel fatto che non esiste un metodo obiettivo per defi-
nire «salari inaccettabilmente bassi» o «condizioni di lavoro disumane».
Viste le enormi differenze internazionali nei livelli di sviluppo economico
e di tenore di vita, è ovvio che. un salario da fame negli Stati Uniti sia un
buon salario in Cina (dove lo stipendio medio corrisponde al 10 per cen-
to di quello americano) e una fortuna in India (dove è il 2 per cento). In
effetti, gran parte dei fautori americani del commercio equo non avreb-
be acquistato i prodotti realizzati dai loro nonni* che lavoravano moltis-
sime ore al giorno in condizioni disumane. Fino all'inizio del XX secolo
la settimana lavorativa media era di sessanta ore. A quel tempo (nel 1905
per essere esatti), gli Stati Uniti erano un paese in cui la Corte Suprema
dichiarava incostituzionale la legge dello stato di New York che limitava
la giornata di lavoro dei fornai a dieci ore, poiché «toglieva ai fornai la li-
bertà di lavorare quanto volevano».
Sotto questa luce, il dibattito sul commercio equo in sostanza riguar-
da valori morali e decisioni politiche, e non considerazioni economiche
nel senso stretto del termine. Anche se concerne una questione economi-
ca, il commercio equo non è qualcosa che gli economisti sono particolar-
mente adatti a padroneggiare con i loro strumenti tecnici.
Tutto questo non significa che dobbiamo assumere una posizione re-
lativista e astenerci dal fare critiche perché va tutto bene. Possiamo ave-
re un'opinione (e io ce l'ho) sull'accettabilità delle condizioni di lavoro
in Cina (o in qualsiasi altro paese) e cercare di fare qualcosa, senza pre-
tendere che chi ha un'idea diversa sia per forza in errore. Anche se la Ci-
na non può permettersi salari americani o condizioni di lavoro svedesi,
può certamente migliorare i salari e le condizioni di lavoro dei suoi ope-
rai, e sono molti i cinesi che non accettano la situazione attuale e chie-
dono regole più severe. Ma la teoria economica (almeno quella liberista)
non può dirci quali dovrebbero essere i «giusti» salari e le «giuste» con-
dizioni di lavoro in Cina.
Non siamo mica in Francia
Nel luglio 2008, quando il sistema finanziario stava crollando, il governo
degli Stati Uniti riversò 200 miliardi di dollari in Fannie Mae e Freddie
Mac, gli istituti di credito ipotecario, e li nazionalizzò. Il senatore repubbli-
cano Jim Bunning, del Kentucky, denunciò il provvedimento come qualco-
sa che poteva accadere solo in un paese «socialista» come la Francia.
La Francia era già abbastanza malvista, ma il 19 settembre 2008 l'ama-
to paese del senatore Bunning fu trasformato nel regno del male dal leader
del suo partito. Seguendo il piano annunziato quel giorno dal presidente
George W. Bush e successivamente denominato TARP, il governo stanziò
circa 700 miliardi di dollari di fondi statali per comprare i «titoli tossici»
che soffocavano i mercati finanziari.
Il presidente Bush, però, non vedeva le cose nello stesso modo di Bun-
ning: lungi dall'essere «socialista», il piano era semplicemente un'applica-
zione del sistema americano della libera impresa «basato sulla convinzione
che il governo federale debba intervenire sul mercato esclusivamente
quando necessario». E, a suo avviso, nazionalizzare una grossa fetta del
settore finanziario era proprio necessario.
La dichiarazione di Bush è un caso limite di doppiezza politica, in cui
uno dei più grandi interventi dello stato nella storia viene camuffato da
operazione di mercato di ordinaria amministrazione. A ogni modo, con le
sue parole Bush rivelò la debolezza delle fondamenta su cui poggia il mi-
to del libero mercato. Come la sua dichiarazione dimostra in modo lam-
pante, che cosa sia un intervento necessario dello stato compatibile con
il capitalismo liberista è questione di opinione. Il libero mercato non ha
confini scientificamente definiti. (...)
 
23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo, il saggiatore.


Ultima modifica di einrix il Mar 25 Feb 2014, 11:57 - modificato 3 volte.
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Messaggio Da Rom Mar 25 Feb 2014, 10:17

Amiter ha scritto:Mi trovo in difficoltà a proseguire questa discussione perché vedo che ciascuno di noi non sta dando alle parole lo stesso significato, quindi finiamo per parlare-parlare senza capirci...
Innanzitutto devo dire che in questo momento mi sfugge il liberalismo di sinistra cui fa riferimento ROM...

Il fatto è che le parole hanno una storia, che nel nostro caso è storia lunga e complicata. Peggio, poi, quando certe parole nascono già ambigue, complesse.
Nel corso di questa storia si è formata una vasta letteratura sui diversi livelli e significati da attribuire a ogni concetto che le parole rappresentano: difficile, quasi impossibile, riassumere questa letteratura nelle poche paginette dei nostri post. Questo è il problema, quando si affrontano argomenti su piani troppo generali: o si va avanti per affermazioni apodittiche, o ci si perde nel mare magnum delle controversie.
Ma proviamoci lo stesso, con pazienza reciproca.

Il liberalismo.
Se hai letto il mio post sulla sinistra, puoi capire la ragione per cui metto il liberalismo tra le filosofie "di sinistra", in quanto progressista: una definizione legata, ovviamente, al momento storico, in relazione all'ancien regime.
Del resto, lo stesso concetto di "borghesia" ha una connotazione storica "democratica", collocata nel contesto dei sistemi monarchici, aristocratici e assolutisti.
Le cose si complicano nel seguito, quando le divaricazioni insite nell'Illuminismo si rendono esplicite nel secolo borghese e proto-industriale. Si vede allora che il concetto di libertà e il sistema dei diritti borghesi è una rinnovata versione, ampliata, del vecchio classismo, che lascia fuori dal potere una grande parte di popolo e sostiene l'organizzazione socio-economica di sfuttamento del lavoro.
Di fronte a questa situazione, nasce una corrente liberale "illuminata", che riconosce la necessità di spigere il sistema verso una maggiore universalità democratica, e nasce il socialismo militante, che supera la prima fase di quello cosiddetto "romantico".
Entrambi sono politicamente (eticamente) divergenti e per molti aspetti opposti al liberalismo rigidamente borghese e capitalistico, che proprio in questa fase assume i connotati definitivamnte di destra conservatrice, quando non reazionaria tout court.
Con l'avvento del marxismo si accentua decisamente la differenza tra liberali illuminati e socialisti, in quanto l'analisi marxista contesta alla radice l'accumulazione capitalista, legando a questa tutta la struttura della società liberale, indipendentemente dalla sua "illuminazione".
Questo è il punto di svolta, che si nutre di una estremizzazione che è facile giudicare negativamente, ma che dev'essere collocata nella realtà del tempo in cui avvenne: la corrente progressista del liberalismo era scarsamente influente, rispetto alla condizione dei lavoratori e in generale delle classi subordinate, mentre tutta la politica delle società industriali era dominata saldamente dal liberalismo rigidamente capitalista, e il sindacalismo non aveva solo difficoltà intrinseche al proprio ruolo, ma faticava enormemente ad avere diritto alla stessa esistenza.
Per tornare allo specifico tema del nostro discorso, la corrente liberale "illuminata", tuttavia, rimase viva, sebbene schiacciata tra le due spinte contrapposte del capitalismo e del socialismo militante d'ispirazione marxista. Nella prima metà del '900 nasce, così, il liberalsocialismo come corrente politica attiva, che è assimilabile alla socialdemocrazia, ma con un contenuto etico più accentuato rispetto ai meccanismi puramente economici: da un lato il liberalsocialismo riprende il sistema dei diritti individuali del liberalismo originario e dall'altro la visione sociale e popolare della sinistra. Questo è il liberalismo che definisco "di sinistra", in chiave contemporanea, a prescindere da quello "rivoluzionario" di fine '700.
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Messaggio Da einrix Mar 25 Feb 2014, 11:55

(...continua)
Se non c'è niente d'intoccabile nei confini del mercato in qualsiasi
epoca, il tentativo di  cambiarli è legittimo quanto. il tentativo di difender-
li. In effetti, la storia del capitalismo è l'eterno scontro sui limiti da por-
ré al mercato.
Molte delle cose che oggi sono oggetto di scambio sono state
rimosse da decisioni politiche piuttosto che dal mercato stesso: esse-
ri umani, posti di lavoro statali, voti elettorali, decisioni legali, incari-
chi universitari, medicine non omologate. Naturalmente ci sono sempre
tentativi di comprarle illegalmente (corrompendo funzionari governati-
vi, giudici o elettori) o legalmente (utilizzando prestigiosi studi legali per
vincere una causa, facendo donazioni a partiti politici ecc.). Tuttavia, an-
che se ci sono state oscillazioni, il trend e verso una minore mercificazio-
ne della società.
Per quei prodotti ancora scambiati sul mercato, nel corso del tem-
po sono state introdotte sempre più regole. In confronto anche a pochi
decenni fa, vige oggi una normativa più rigida su chi può produrre cosa
(certificazioni per produttori biologici ed equosolidali), come questa co-
sa può essere prodotta (restrizioni sull'inquinamento, sulle emissioni di
anidride carbonica) e come può essere venduta (regole sulle etichette, sui
rimborsi).
Inoltre, per la sua natura politica, il processo di ridefinizione dei limi-
ti del mercato è stato spesso caratterizzato da violenti conflitti. Gli ameri-
cani hanno combattuto una guerra civile per abolire il libero commercio
degli schiavi (anche se il libero commercio delle merci - ossia la questio-
ne delle tariffe doganali - fu un'altra causa importante della guerra).1 Il
governo britannico dichiarò guerra alla Cina per conseguire il libero com-
mercio dell'oppio (le due Guerre dell'oppio, appunto). La regolamenta-
zione del mercato del lavoro minorile fu ottenuta solo grazie alle lotte dei
riformatori sociali, come accennato prima. Rendere illegale il libero mer-
cato di posti governativi o voti ha incontrato la forte resistenza dei partiti
politici che compravano consensi o dispensavano incarichi pubblici per
ricompensare la propria clientela. Queste prassi terminarono solo grazie
a una combinazione di attivismo politico, riforme elettorali e cambiamen-
ti nella regolamentazione dell'assunzione di incarichi pubblici.
Riconoscere che i confini del mercato sono ambigui e non possono es-
sere determinati in modo oggettivo ci permette di capire che l'economia
non è una scienza pura come la fisica e la chimica, ma un fatto politico.
Gli economisti liberisti potrebbero far credere che è possibile determina-
re scientificamente i limiti esatti del mercato, ma non lo è. E se i limiti di
quello che si studia non possono essere determinati scientificamente, non
si sta facendo scienza.
In questa prospettiva, opporsi a una nuova regolamentazione equivale
a dire che lo stato delle cose, pur se ingiusto, non va cambiato. Dire che
una regola esistente deve essere abolita equivale a dire che lo spazio del
mercato va ampliato, ovvero che chi ha più denaro avrà più potere, dato
che il mercato funziona secondo il principio «un dollaro un voto».
Così, quando gli economisti liberisti affermano che una certa normati-
va non deve essere introdotta perché limita la «libertà» di un determinato
mercato, stanno semplicemente esprimendo un'opinione politica contra-
ria ai diritti che la legge proposta vuole tutelare. Il pretesto ideologico
consiste nel sostenere che la loro non sia una posizione politica, ma una
verità economica oggettiva, mentre quella degli avversari sì che è politica.
Ma non è vero: anche essi sono politicamente motivati.
Emanciparsi dall'illusione dell'oggettività del mercato è il primo pas-
so per capire il capitalismo.

 
Adesso, delle 23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo, ne restano altre ventidue. Vi consiglio di comperarvi il libro di  Ha Joon Chang, che non so neppure dove abiti e a che partito sia iscritto.
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Messaggio Da einrix Mar 25 Feb 2014, 12:20

Anche sulla nozione di Capitalismo, ci sono degli spunti che possono essere d'aiuto per chi è rimasto indietro con gli studi.
Metto solo l'incipit a cui seguono un'altra mezza dozzina di pagine...
 
Secondo Ha Joong Le aziende non vanno gestite nell'interesse degli azionisti
 
Cosa ti dicono
Gli azionisti possiedono le aziende, quindi le aziende vanno gestite nel lo-
ro interesse. Non è soltanto un giudizio morale. Gli azionisti non hanno
la garanzia della retribuzione fissa, al contrario dei dipendenti (che hanno
stipendi fissi), dei fornitori (che vengono pagati a determinati prezzi), del-
le banche finanziatrici (che ricevono tassi d'interesse fissi) e di altre parti
coinvolte dall'impresa. I redditi degli azionisti variano secondo i risulta-
ti, e questo è il massimo degli incentivi, dato loro apposta per garantire
che l'azienda ottenga dei buoni risultati. Se l'azienda fallisce, loro perdo-
no tutto, mentre gli altri stakeholder1 ricevono almeno qualcosa. Quindi gli
azionisti (stockholder o shareholder) corrono rischi che gli altri non affron-
tano, il che li sprona a ottimizzare i risultati aziendali. Quando un'impresa
è gestita nell'interesse degli azionisti, il suo utile (cioè la differenza tra co-
sti e ricavi) viene massimizzato, e ciò massimizza anche il contributo al be-
ne pubblico.
Cosa non ti dicono
Gli azionisti ne saranno anche i proprietari ma, proprio come i più occa-
sionali degli stakeholder, spesso sono quelli a cui meno interessa il futu-
ro di lungo termine dell'impresa (a condizione che la loro quota non sia
così grande che la vendita delle azioni danneggerebbe seriamente le atti-
vità dell'azienda), e quindi gli azionisti, specialmente i più piccoli, prefe-
riscono strategie societarie che massimizzano i profitti nel breve periodo
- di solito sacrificando gli investimenti di lungo periodo - e da tali pro-
fitti traggono i massimi dividendi, il che, diminuendo l'ammontare dei
profitti accumulati che possono essere reinvestiti, indebolisce ulterior-
mente le prospettive di lungo periodo dell'azienda. Gestire un'impresa
nell'interesse degli azionisti spesso ne riduce il potenziale di crescita di
lungo periodo.
Poi, seguono altri paragrafi dai temi suggestivi tra i quali, guarda un po, c'è n'é uno che lascia interdetti:
-Karl Marx difende il capitalismo
 
Ovviamente per capirlo, occorre leggere il libro.
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Messaggio Da Amiter Mar 25 Feb 2014, 12:49

In questo momento non ho il tempo di leggere tutto quello che mi avete scritto... però una cosa mi è saltata agli occhi e mi ha fatto venire il prurito ai polpastrelli: il libero mercato non esiste...

Come dicevo, il libero mercato è un modello... pertanto ESISTE in quanto tale...

Ma einrix caro... ma non dici sempre di essere un ingegnere?
... e gli ingegneri generalmente che fanno?... progettano utilizzando modelli... e dunque significa che progettano avvalendosi di cose che non esistono??
Il libero mercato non esiste nella misura in cui non esiste il fluido perfetto o il solido elastico... ma è una contraddizione in termini in quanto trattasi di modelli ESISTENTI tramite i quali si progettano cose REALI e che stanno perfettamente in piedi... eccetto naturalmente casi fortunatamente piuttosto rari dovuti all'incuria o ad eventi imprevedibili...
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Messaggio Da einrix Mar 25 Feb 2014, 13:42

Amiter, sui modelli potresti leggerti
Ludwig Boltzmann - Modelli matematici - Fisica e Filosofia della serie scientifica Universale Bollati Boringhieri.

Autore stupendo! La prima volta l'ho finito di leggere il 26 Febbraio del 2003 (data annotata in copertina), e lo sto rileggendo in questi giorni per altri agganci.

Pure la religione cattolico-cristiana è un modello di genesi, quindi per favore, stiamo attenti quando parliamo di modelli, perché - estrapolandoli - è facile esserne intrappolati. Da ingegnere li ho sempre utilizzati con le pinze del ricercatore, mai nelle loro confezioni originali, che di solito devono sempre essere riviste.
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Messaggio Da Amiter Mar 25 Feb 2014, 14:18

einrix ha scritto:Autore stupendo!
Pienamente d'accordo, ma soprattutto uno scienziato di indiscutibile talento...

Pure la religione cattolico-cristiana è un modello di genesi, quindi per favore, stiamo attenti quando parliamo di modelli, perché - estrapolandoli - è facile esserne intrappolati. Da ingegnere li ho sempre utilizzati con le pinze del ricercatore, mai nelle loro confezioni originali, che di solito devono sempre essere riviste.
Stavo parlando di modelli fisici e matematici, non di modelli teologici, spirituali o filosofici...
Un ricercatore generalmente esplora ambiti che si discostano dalla prassi e quindi non supportati da un'adeguata letteratura...
In sostanza, per progettare il ponte di Messina è necessario svolgere opportune campagne sperimentali su prototipi...
Ma per progettare una passerella pedonale di 10m, o se vogliamo anche una palazzina in c.a. di 4 piani, non è che uno si mette a fare i prototipi... le uniche prove che si fanno sono quelle di schiacciamento su provini di cls, ma più che altro per verificare che le resistenze caratteristiche siano compatibili con quelle di progetto... quindi in questi casi c'è poco da "prendere con le pinze", perché si stanno applicando modelli di un ampio riscontro pratico, ovvero si tratta di vere e proprie applicazioni di modelli per progettare cose REALI che stanno in piedi... quindi i modelli non sono cose inesistenti e fantasiose, ma cose concrete che consentono di realizzare oggetti concreti...
Amiter
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Messaggio Da einrix Mar 25 Feb 2014, 15:47

Amiter ha scritto:
Pienamente d'accordo, ma soprattutto uno scienziato di indiscutibile talento...


Stavo parlando di modelli fisici e matematici, non di modelli teologici, spirituali o filosofici...
Un ricercatore generalmente esplora ambiti che si discostano dalla prassi e quindi non supportati da un'adeguata letteratura...
In sostanza, per progettare il ponte di Messina è necessario svolgere opportune campagne sperimentali su prototipi...
Ma per progettare una passerella pedonale di 10m, o se vogliamo anche una palazzina in c.a. di 4 piani, non è che uno si mette a fare i prototipi... le uniche prove che si fanno sono quelle di schiacciamento su provini di cls, ma più che altro per verificare che le resistenze caratteristiche siano compatibili con quelle di progetto... quindi in questi casi c'è poco da "prendere con le pinze", perché si stanno applicando modelli di un ampio riscontro pratico, ovvero si tratta di vere e proprie applicazioni di modelli per progettare cose REALI che stanno in piedi... quindi i modelli non sono cose inesistenti e fantasiose, ma cose concrete che consentono di realizzare oggetti concreti...

Se un po un tipo Amiter, è difficile rincorrerti.
Prima parli scrivendo:" libero mercato è un modello... pertanto ESISTE in quanto tale..." e poi affermi: "Stavo parlando di modelli fisici e matematici, non di modelli teologici, spirituali o filosofici..." A me pareva che parlassi di modelli in generale, tanto che ti invitavo ad approfondire la materia, alquanto controversa.

E poi, non sapevo davvero che il modello del libero mercato fosse un modello fisico (boh! che vorrà dì) o matematico (ari boh!). Vista la fede che ci si deve avere, assomiglia più ad una religione che non ad una scienza. Ad ogni modo qualche studio statistico lo si può fare, ma che implica variabili così da "scienze umane", che è meglio andare con i piedi di piombo, "derivati" permettendo.

Caro Amiter, se fosse così facile come la fai tu, saremmo tutti scienziati. Ma per fortuna, non è così.

Così, tanto per vedere molto da lontano ed in termini sintomatologici un problema laterale, quello della disciplina della pianificazione, in cui potrebbe rientrare un eventuale modello di libero mercato (quel libero fa un po a pugni con modello, ma anche per farlo rientrare in una pianificazione, quella si, modellizzabile per definizione) ti segnalo il link di questo pdf. Divertiti!

http://www.francoarchibugi.it/pdf/92_11_Verso_nuova_disciplina_pianificazione.pdf
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Messaggio Da Amiter Mar 25 Feb 2014, 17:06

einrix ha scritto:Se un po un tipo Amiter, è difficile rincorrerti.
Prima parli scrivendo:" libero mercato è un modello... pertanto ESISTE in quanto tale..." e poi affermi: "Stavo parlando di modelli fisici e matematici, non di modelli teologici, spirituali o filosofici..." A me pareva che parlassi di modelli in generale, tanto che ti invitavo ad approfondire la materia, alquanto controversa.

E poi, non sapevo davvero che il modello del libero mercato fosse un modello fisico (boh! che vorrà dì) o matematico (ari boh!). Vista la fede che ci si deve avere, assomiglia più ad una religione che non ad una scienza. Ad ogni modo qualche studio statistico lo si può fare, ma che implica variabili così da "scienze umane", che è meglio andare con i piedi di piombo, "derivati" permettendo.

Caro Amiter, se fosse così facile come la fai tu, saremmo tutti scienziati. Ma per fortuna, non è così.

Così, tanto per vedere molto da lontano ed in termini sintomatologici un problema laterale, quello della disciplina della pianificazione, in cui potrebbe rientrare un eventuale modello di libero mercato (quel libero fa un po a pugni con modello, ma anche per farlo rientrare in una pianificazione, quella si, modellizzabile per definizione) ti segnalo il link di questo pdf. Divertiti!

http://www.francoarchibugi.it/pdf/92_11_Verso_nuova_disciplina_pianificazione.pdf
Veramente in precedenza avevo detto che il libero mercato è un modello economico, quindi ha connotazione scientifica, essendo l'economia una scienza... e come tale ha i suoi modelli matematici... che per inciso non sono affatto facili... anzi, generalmente sono piuttosto complicati... poi, va be', per fare degli esempi sono finito per analogia ad accennare ai modelli fisici...
Avevo fatto l'esempio della domanda/offerta, che è un modello matematico vero e proprio... ma presuppone, fra le varie cose, la definizione di una funzione di domanda e di una funzione di offerta, che spesso, a seconda dei campi di applicazione, richiedono anni per essere definite... altro che "farla facile"!... poi, certo, su un forum uno cerca di sintetizzare i concetti il più possibile, ma non certo per "farla facile"... diversamente dovrei postare anch'io dei pdf di decine di pagine...

La scienza è una cosa seria, non è una cosa che serve a raffazzonare la realtà mediante modelli "inesistenti" o che la semplificano oltremodo...

... mi sono spiegato meglio, adesso?

Purtroppo noto che in Italia si fatica a riconoscere l'economia come una scienza... infatti i personaggi più stimati come economisti dalla nostra classe politica generalmente non sono economisti... ad esempio Prodi, Ciampi, Tremonti... non sono degli economisti...
Monti invece è un economista, che peraltro ha scritto delle pubblicazioni anche piuttosto interessanti... ma purtroppo non tutti si servono della scienza per il bene collettivo...


PS: "libero" non fa a pugni con "modello"... "libero" non significa assenza di regole, anzi...
Peraltro ammettendo che la pianificazione sia modellabile per definizione, forse senza rendertene conto, mi stai dando ragione...
Chi studia la pianificazione dei trasporti, ad esempio, impara che sui grandi numeri non c'è molta differenza tra il comportamento degli utenti in un'infrastruttura di una rete di trasporto e quello delle particelle fluide in una rete acquedottistica... questo per tornare alle analogie coi modelli fisici... in effetti anche l'elasticità della domanda è un concetto molto analogo all'elasticità meccanica...
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Messaggio Da Rom Mar 25 Feb 2014, 18:42

Ma di che state a parla'?
Einrix non mi meraviglia - fa sempre così - ma mo' ti ci metti pure tu, Amiter ...
La gara a chi ne sa di più, possibilmente su argomenti evasivi, è evidentemente una tentazione irresistibile.
Il bene e il male del mercato, e i suoi limiti, diamoli per assodati: andiamo avanti, salvo tornare su qualche aspetto specifico del mercatismo nel corso della discussione.
Non è che se uno dice "modello" si deve aprire un contenzioso infinito per distinguere il modello usato dal sarto da quello dei cieli aristotelici e da quello delle automobili presentate nei saloni dei concessionari.
Nelle nostre discussioni non c'è una regola, e questa è una cosa buona: a patto che una certa regolata ce la diamo da soli, per esempio commisurando estensione e contenuto degli interventi alla volumetria del mezzo (forum) nel quale ci troviamo.
Per quanto mi riguarda, per esempio, io mi sono dimenticato di cosa stavamo parlando, cioè qual era l'origine della discussione: l'ingegneria? la biblioteca di Einrix? le magnifiche sorti del capitalismo? l'idraulica?
Rom
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Messaggio Da Amiter Mar 25 Feb 2014, 20:44

Rom ha scritto:Ma di che state a parla'?
Einrix non mi meraviglia - fa sempre così - ma mo' ti ci metti pure tu, Amiter ...
La gara a chi ne sa di più, possibilmente su argomenti evasivi, è evidentemente una tentazione irresistibile.
Il bene e il male del mercato, e i suoi limiti, diamoli per assodati: andiamo avanti, salvo tornare su qualche aspetto specifico del mercatismo nel corso della discussione.
Non è che se uno dice "modello" si deve aprire un contenzioso infinito per distinguere il modello usato dal sarto da quello dei cieli aristotelici e da quello delle automobili presentate nei saloni dei concessionari.
Nelle nostre discussioni non c'è una regola, e questa è una cosa buona: a patto che una certa regolata ce la diamo da soli, per esempio commisurando estensione e contenuto degli interventi alla volumetria del mezzo (forum) nel quale ci troviamo.
Per quanto mi riguarda, per esempio, io mi sono dimenticato di cosa stavamo parlando, cioè qual era l'origine della discussione: l'ingegneria? la biblioteca di Einrix? le magnifiche sorti del capitalismo? l'idraulica?
Succede che, come dicevo, che per portare avanti in maniera proficua una discussione interessante come questa, è necessario dare alle parole uno stesso significato che valga per tutti...
Data la difficoltà di farlo con einrix, ho cercato di prenderlo con associazioni che riguardano una certa sua sfera formativa, più che culturale...
Perché vedi, purtroppo un altro problema delle persone di sinistra, è quello di non considerare la cultura scientifica come facente parte di una Cultura di primo livello quanto meno al pari di quella umanistica... e spesso questo fa breccia, più o meno inconsapevolmente, anche in molte persone con una preparazione di base di tipo scientifico... vuoi perché magari einrix avrà a suo tempo, prima della laurea, conseguito la maturità classica... vuoi perché ciò faceva parte dei suoi retaggi familiari... vuoi perché tale è la sua forma mentis...

Nel tuo caso la situazione è un po' diversa... almeno apparentemente sembri meno intransigente... forse è semplicemente rispetto per l'opinione altrui...


Vengo ora al tuo post di stamattina...


Rom ha scritto:

Il fatto è che le parole hanno una storia, che nel nostro caso è storia lunga e complicata. Peggio, poi, quando certe parole nascono già ambigue, complesse.
Nel corso di questa storia si è formata una vasta letteratura sui diversi livelli e significati da attribuire a ogni concetto che le parole rappresentano: difficile, quasi impossibile, riassumere questa letteratura nelle poche paginette dei nostri post. Questo è il problema, quando si affrontano argomenti su piani troppo generali: o si va avanti per affermazioni apodittiche, o ci si perde nel mare magnum delle controversie.
Ma proviamoci lo stesso, con pazienza reciproca.

Il liberalismo.
Se hai letto il mio post sulla sinistra, puoi capire la ragione per cui metto il liberalismo tra le filosofie "di sinistra", in quanto progressista: una definizione legata, ovviamente, al momento storico, in relazione all'ancien regime.
Del resto, lo stesso concetto di "borghesia" ha una connotazione storica "democratica", collocata nel contesto dei sistemi monarchici, aristocratici e assolutisti.
Le cose si complicano nel seguito, quando le divaricazioni insite nell'Illuminismo si rendono esplicite nel secolo borghese e proto-industriale. Si vede allora che il concetto di libertà e il sistema dei diritti borghesi è una rinnovata versione, ampliata, del vecchio classismo, che lascia fuori dal potere una grande parte di popolo e sostiene l'organizzazione socio-economica di sfuttamento del lavoro.
Di fronte a questa situazione, nasce una corrente liberale "illuminata", che riconosce la necessità di spigere il sistema verso una maggiore universalità democratica, e nasce il socialismo militante, che supera la prima fase di quello cosiddetto "romantico".
Entrambi sono politicamente (eticamente) divergenti e per molti aspetti opposti al liberalismo rigidamente borghese e capitalistico, che proprio in questa fase assume i connotati definitivamnte di destra conservatrice, quando non reazionaria tout court.
Con l'avvento del marxismo si accentua decisamente la differenza tra liberali illuminati e socialisti, in quanto l'analisi marxista contesta alla radice l'accumulazione capitalista, legando a questa tutta la struttura della società liberale, indipendentemente dalla sua "illuminazione".
Questo è il punto di svolta, che si nutre di una estremizzazione che è facile giudicare negativamente, ma che dev'essere collocata nella realtà del tempo in cui avvenne: la corrente progressista del liberalismo era scarsamente influente, rispetto alla condizione dei lavoratori e in generale delle classi subordinate, mentre tutta la politica delle società industriali era dominata saldamente dal liberalismo rigidamente capitalista, e il sindacalismo non aveva solo difficoltà intrinseche al proprio ruolo, ma faticava enormemente ad avere diritto alla stessa esistenza.
Per tornare allo specifico tema del nostro discorso, la corrente liberale "illuminata", tuttavia, rimase viva, sebbene schiacciata tra le due spinte contrapposte del capitalismo e del socialismo militante d'ispirazione marxista. Nella prima metà del '900 nasce, così, il liberalsocialismo come corrente politica attiva, che è assimilabile alla socialdemocrazia, ma con un contenuto etico più accentuato rispetto ai meccanismi puramente economici: da un lato il liberalsocialismo riprende il sistema dei diritti individuali del liberalismo originario e dall'altro la visione sociale e popolare della sinistra. Questo è il liberalismo che definisco "di sinistra", in chiave contemporanea, a prescindere da quello "rivoluzionario" di fine '700.
Sì, avevo letto il tuo post sulla sinistra (e sulla destra)... diciamo che sostanzialmente ci si può pure stare... da parte mia qualcosa ci sarebbe stato da dire, ma non utile più di tanto sovrapporre i miei punti di vista ai tuoi... poco cambierebbe nella sostanza e finirei cmq col ripetere cose che ho già ampiamente esposto...
Lo stesso vale per quest'altro tuo post...

Un paio di appunti però te li devo fare...
Ti sei spinto fino alla rivoluzione francese per giustificare il liberalismo "di sinistra"... questo si può ricollegare molto alla mia frase "se fossi nato in Russia 100 anni fa sarei stato comunista anch'io" (oddio, magari ho calcato un po' la mano, ma certamente sarei stato da quella parte)...
Oltretutto ti spingi anche di molti secoli indietro ma, insomma, io non credo che i concetti politici di destra e di sinistra si spingano ancora più indietro della rivoluzione francese... e di così tanto...
E' così che si finisce per creare l'equivoco che anche lo zar Nicola II fosse "la" destra...
Persino gli oppositori del regime fascista, e Mussolini era certamente un uomo di destra, non erano solo di sinistra...
Capisco che ai tempi della rivoluzione francese gli oppositori dell'Ancien Régime, si sedevano sugli scranni a sinistra di un emiciclo, ma attenzione a confondere questo con le ideologie tipiche della sinistra e della destra così come iniziarono a "maturare" a partire dai decenni successivi...
Già ai tempi della rivoluzione russa la destra non era più generalmente identificabile col potere clericale, nobiliare e alto borghese... ad esempio non credevo che Giolitti fosse un uomo di sinistra... probabilmente tu sì, visto che fu Giolitti il primo a riconoscere il diritto di sciopero, e a concedere il suffragio universale...

Un ultima cosa sul liberalsocialismo... ti viene la vaghezza di ammettere almeno per una volta che si trattò di un'ideologia di integrazione... anzi, per dirla come la diresti tu... che si trattò dei socialisti che "si accodarono" al liberalismo??
Quanto al socialismo democratico, invece, per quanto il termine appaia intrigante e soft... in realtà i socialdemocratici di quel tempo non aprirono al liberalismo perché cominciavano ad apprezzarne le positività, ma semplicemente per compromesso temporaneo...
Il socialismo democratico era considerato un punto di transizione verso l'obiettivo finale, che comunque rimaneva il socialismo... in pratica un percorso alternativo alla rivoluzione...
Oggi si può parlare di socialdemocrazia nel senso che intendete voi (mi riferisco anche a einrix), ma non allora...
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A' la guerre comme à la guerre - Pagina 4 Empty Re: A' la guerre comme à la guerre

Messaggio Da Rom Mar 25 Feb 2014, 23:42

Amiter ha scritto:... forse è semplicemente rispetto per l'opinione altrui...

Ti sei spinto fino alla rivoluzione francese per giustificare il liberalismo "di sinistra"...
...Persino gli oppositori del regime fascista, e Mussolini era certamente un uomo di destra, non erano solo di sinistra...
Un ultima cosa sul liberalsocialismo... ti viene la vaghezza di ammettere almeno per una volta che si trattò di un'ideologia di integrazione... anzi, per dirla come la diresti tu... che si trattò dei socialisti che "si accodarono" al liberalismo??

Come dici tu: facciamo qualche obiezione interlocutoria.

Non sono sicuro di essere rispettoso delle opinioni altrui. Rispetto sicuramente le persone, o almeno i loro sentimenti, e per fare questo spesso arrivo fino al punto di non rispettare fino in fondo le "mie" opinioni - le quali, d'altra parte, sono drastiche solo in alcuni casi, mentre in altri sono piuttosto complesse e hanno in sé anche le ragioni degli altri.
E' appunto il caso della "destra", che mi appassiona da sempre, perché avverto il fascino di quella che ho chiamato "realtà", cioè la comprensione, direi perfino l'identificazione con le forze, gli istinti che muovono il mondo e dominano alcuni fondamentali comportamenti umani. Credo che questo mio atteggiamento sia dovuto all'identità della mia conoscenza, che è di tipo artistico: l'arte, a mio parere, esige una fase intellettuale improntata al "realismo", cioè al lasciarsi coinvolgere profondamnte, intimamente, nel "dato di fatto" del mondo, prima di affrontarne la trascendenza ed eventualmnte la negazione.
Per tradurre in termini di destra-sinistra questo discorso, diciamo che l'opera di un artista può trasmettere un messaggio di destra o di sinistra, ma la sua creazione esige processi mentali e letture interiori che comprendono sia l'una che l'altra componente: realismo e utopia, immedesimazione in ciò che è e immaginazione di ciò che non è, immanente e trascendente.
Ma lasciamo da parte questo capitolo, che rappresenta una prospettiva forse troppo personale, e veniamo alle tue obiezioni.

Secondo la mia rappresentazione, il liberalismo illuministico, quello della Rivoluzione, era oggettivamente sinistra, entro quel determinato quadro storico e politico. Solo la critica a posteriori lo ha collocato in maniera diversa, e nemmeno univoca: la critica marxista, adeguandosi coerentemente alla teoria, ha commesso una colpevole forzatura, sicuramente un errore politico, che però è stato ripetutamente sottolineato dalla politica stessa e dalla storia, quando si è visto che in certi momenti cruciali liberali e socialisti si sono trovati dalla stessa parte contro gli estremismi di destra. E questo risponde anche al tuo accenno circa l'opposizione al regime fascista.
Sai qual è il problema? Che la storia appare disegnata per linee di demarcazione nette solo quando viene rappresentata schmaticamente. A mano a mano che ci caliamo dentro un periodo storico, e in una nazione, tutto diventa estremamente più complesso e contraddittorio e si fa perfino fatica, spesso, a riconoscere nei diversi avvenimenti e personaggi ciò che per grandi linee sembrava così chiaro. Al punto da chiedersi quale sia la rappresentazione più vera

Quanto all'accodarsi, possiamo anche dirla come suggerisci tu. Io la vedo come l'ho raccontata nel mio post: un correre parallelo, con l'uno o l'altro che hanno fatto da battistrada alternativamente.
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Messaggio Da einrix Mer 26 Feb 2014, 10:30

C'è anche una storia socialista della Rivoluzione Francese - quella scritta da Jean Jaurès, ad esempio - che spiega le ragioni del popolo che non sempre è soltanto borghese, ma più spesso è puro proletariato. La sinistra storica si riferisce più allo sviluppo delle vicende del proletariato, che a quelle della borghesia. E anche se per un tratto le due storie si sono fuse assieme per combattere l'assolutismo, in atri momenti si sono incrociate nello scontro. Per me la sinistra dei due secoli scorsi (un secolo e mezzo) era quella del proletariato, non della borghesia liberal, liberale o borghese che fosse. Poi, le trasformazioni sociali mutano la composizione stessa delle classi del sette-ottocento, sino a renderle irriconoscibili ai tempi nostri. E' per questo che anche il linguaggio si confonde, quando non riesca a trovare le nuove identità che si sono formate. E che fatica spiegarlo a chi preferisce mantenere intatte le proprie idee. Poco male, succede anche con la scienza, e perché alcune teorie avvizziscano è necessario che scompaia chi le propugni, figurarsi se non è così anche per le materie che attengano alla politica o alle scienze idealistiche dello spirito.
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Messaggio Da Rom Gio 27 Feb 2014, 22:30

Bene, capita che nel nostro dibattito possiamo inserire il provvidenziale contributo del nuovo segretario del PD, che intanto chiarisce per tabulas che attualmente nel nostro parlamento le tracce di sinistra sono definibili come l'albumina nei referti delle analisi cliniche: tracce.
Il buon Renzi, infatti, è stato interpellato dall'editore Donzelli, per scrivere la prefazione alla ristampa del libro di Bobbio sulla questioe destra-sinistra: sfortunatamnte, Renzi l'ha fatto, invece di declinare umilmente, e prudentemente, l'invito.
Ne viene fuori, dal compitino di Renzi, un quadro desolante: il suo vorrebbe essere una specie di manifesto della "nuova sinistra", in realtà è un'accozzaglia di frasi apodittiche messe in fila senza alcun legame logico.
In una parola: chiacchiere. Pressoché incommentabili.
Già la base di partenza - Bobbio - non era esattamente un granché, lasciando spazio a un'interpretazione della sinistra molto lasca e generica, e infatti a suo tempo (metà degli anni '90) venne accolta con voluttà da un PDS che si era incamminato sulla via della dissoluzione della sinistra stessa.
Adesso, più che una prefazione al libro, quella di Renzi suona come una postfazione a questo cammino: missione compiuta.
Per riassumere, la sinistra secondo Matteo è: innovazione, movimento. Punto.
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