La crisi irachena del '14
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La crisi irachena del '14
da La Stampa:
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Clinton: «Nessun motivo di intervenire»
Le richieste d’aiuto arrivate da Baghdad sono allo studio, ma «si tratta di un compito delicato e difficile per il nostro governo, visto che certamente non vogliamo combattere la loro battaglia»: dopo le parole del presidente americano Obama, è Hilary Clinton a pronunciarsi sulla questione, criticando aspramente il governo di Baghdad. «Dovremmo combattere per sostenere un governo inefficace, non rappresentativo, autoritario. E non c’è una sola ragione al mondo che io conosca - conclude l’ex Segretario di Stato - perché dovremmo sacrificare una sola vita umana americana a questo scopo». Intanto, divisi tra interventisti e pacifisti, gli utenti dei social media americani aprono la polemica sugli armamenti: negli anni gli Stati Uniti hanno speso circa 14 miliardi di dollari in aiuti militari all’Iraq, armi e mezzi che erano prima in uso all’esercito regolare e ora sarebbero invece in mano agli estremisti dell’Isis, sottratti durante i combattimenti e la ritirata dei militari di Baghdad. È anche questo un terreno fertile per chi critica la politica estera condotta in Iraq dagli Stati Uniti: l’ultimo contingente ha lasciato il paese nel dicembre del 2011. "
Mica male come risposta. Se la si mette assieme a quella che parla di "Sunniti", l'etnia messa fuori causa dagli USA perché ad essa apparteneva Saddam Hussein, e non di quaedisti, come da giorni si continua a ripetere, insieme alla parola facile: "terroristi", allora i conti tornano. Il governo sciita iracheno adesso deve fare i conti con una sommossa interna che si fonda sulla forza dei sunniti, etnia un tempo dominante.
E se gli sciiti di Bagdad si stringono a quelli di Teheran, voglio vedere proprio che interessi ha l'America a farci un'altra guerra, specie oggi che il petrolio lo esportano, grazie alle nuove tecnologie (inquinanti e poco ecologiche) di estrazione.
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Clinton: «Nessun motivo di intervenire»
Le richieste d’aiuto arrivate da Baghdad sono allo studio, ma «si tratta di un compito delicato e difficile per il nostro governo, visto che certamente non vogliamo combattere la loro battaglia»: dopo le parole del presidente americano Obama, è Hilary Clinton a pronunciarsi sulla questione, criticando aspramente il governo di Baghdad. «Dovremmo combattere per sostenere un governo inefficace, non rappresentativo, autoritario. E non c’è una sola ragione al mondo che io conosca - conclude l’ex Segretario di Stato - perché dovremmo sacrificare una sola vita umana americana a questo scopo». Intanto, divisi tra interventisti e pacifisti, gli utenti dei social media americani aprono la polemica sugli armamenti: negli anni gli Stati Uniti hanno speso circa 14 miliardi di dollari in aiuti militari all’Iraq, armi e mezzi che erano prima in uso all’esercito regolare e ora sarebbero invece in mano agli estremisti dell’Isis, sottratti durante i combattimenti e la ritirata dei militari di Baghdad. È anche questo un terreno fertile per chi critica la politica estera condotta in Iraq dagli Stati Uniti: l’ultimo contingente ha lasciato il paese nel dicembre del 2011. "
Mica male come risposta. Se la si mette assieme a quella che parla di "Sunniti", l'etnia messa fuori causa dagli USA perché ad essa apparteneva Saddam Hussein, e non di quaedisti, come da giorni si continua a ripetere, insieme alla parola facile: "terroristi", allora i conti tornano. Il governo sciita iracheno adesso deve fare i conti con una sommossa interna che si fonda sulla forza dei sunniti, etnia un tempo dominante.
E se gli sciiti di Bagdad si stringono a quelli di Teheran, voglio vedere proprio che interessi ha l'America a farci un'altra guerra, specie oggi che il petrolio lo esportano, grazie alle nuove tecnologie (inquinanti e poco ecologiche) di estrazione.
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